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5 leggi approvate durante la XVII legislatura, che è terminata ieri

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Il momento è ormai arrivato: la XVII legislatura è giunta al termine e il prossimo 4 marzo gli italiani saranno chiamati alle urne. Tra alti e bassi, immancabili polemiche e tante critiche, l’attuale formazione parlamentare ha segnato gli ultimi cinque anni della storia politica del Paese e, con essa, della vita stessa degli italiani. Di oggi e domani.
La legislatura che ci lasciamo alle spalle, al netto di ciò che si possa pensare e del colore politico di appartenenza, si è mostrata abbastanza attiva, come si evince dai numeri. In 5 anni il Parlamento ha approvato 358 leggi in totale. Di queste 80 sono state di iniziativa parlamentare, 275 di iniziativa governativa e 3 di iniziativa popolare.

Numeri che, da soli, non dicono nulla. Naturalmente, come è noto, la storia della XVII legislatura è stata profondamente segnata dalla vicenda legata al referendum costituzionale del 4 dicembre 2016, quello che gli stessi promotori si auspicavano portasse all’approvazione della “madre di tutte le riforme” e che ha invece portato alle dimissioni del governo Renzi (il quarto più longevo nella storia della Repubblica).

A proposito di esecutivi, bisogna considerare altri numeri. In questi 5 anni si sono avvicendati al governo tre presidenti del Consiglio: Enrico Letta (dal 28 aprile 2013 al 22 febbraio 2014), Matteo Renzi (dal 22 febbraio 2014 al 12 dicembre 2016) e Paolo Gentiloni (dal 12 dicembre 2016 ad oggi). Proprio il 2016, l’anno in cui il governo (ma non solo) si aspettava la vittoria del Sì alla riforma costituzionale di dicembre, è l’anno solare in cui sono state approvate più leggi: ben 96.

A prescindere dai giochi interni ai partiti, dalle coalizioni di governo e dallo storico primo ingresso in Parlamento del Movimento 5 Stelle, la XVII legislatura passerà alla storia per alcune importanti leggi che, non senza difficoltà, sono state approvate in questi anni.

Ecco una breve selezione di atti da ritenere significativi e che, per un motivo o per un altro, segneranno il destino degli italiani nell’immediato futuro.

 

La Buona Scuola

 

 

Nel maggio del 2015 Matteo Renzi, che aveva detto ormai da oltre un anno al suo predecessore e compagno di partito Enrico Letta di “stare sereno”, sale letteralmente in cattedra per illustrare i principi della nuova riforma scolastica proposta dal governo. Si tratta della cosiddetta Buona Scuola, che si propone l’obiettivo di combattere la precarietà degli insegnanti nelle scuole e modernizzare le modalità di reclutamento del personale.

Uno dei punti cardine della riforma è proprio la centralità attribuita alla figura del dirigente scolastico il quale può gestire con maggiore autonomia l’istituto di cui è preside. La riforma permette infatti a questa figura di proporre le cattedre e i posti partendo dalla consultazione degli albi territoriali costituiti dagli Uffici Scolastici Regionale in base ad una valutazione del preside stesso.

La Buona Scuola provvede ad eliminare le graduatorie che creano da anni liste d’attesa lunghissime per gli insegnanti che si ritrovano così ad ottenere una cattedra anche in età abbastanza avanzata. Tuttavia, con le assunzioni straordinarie del settembre 2015, sono esplose le prime proteste soprattutto da parte di quei docenti che si sono visti “deportare” (per usare un termine in voga all’epoca) da una parte all’altra del Paese per supplenze o docenze da tenere lontano dalla propria regione (in un flusso drammaticamente sbilanciato di personale che dal Sud era destinato agli istituti scolastici del Nord).

La riforma sostituisce la vecchia abilitazione nota con l’acronimo di TFA con il FIT (Formazione Iniziale e Tirocinio) secondo cui i docenti seguono una sorta di concorso-corso della durata di 3 anni durante il quale affiancheranno un collega nelle ore di insegnamento in aula. Alla fine del periodo di formazione, si può procedere all’eventuale assunzione.

Le novità che riguardano la scuola sono tuttavia molto numerose: dai 500 euro annui messi a disposizione degli insegnanti per la propria formazione professionale, ai bonus di merito, passando per i criticatissimi progetti di alternanza scuola-lavoro che riguardano direttamente gli studenti e che hanno visto anche negli ultimi mesi esplodere la rabbia e le proteste di questi ultimi in molte piazze d’Italia.

Senza dimenticare la possibilità di non ottenere la cattedra. La decisione è infatti a discrezione del dirigente scolastico di turno il quale può anche non assumere gli aspiranti docenti la cui valutazione non verrà ritenuta positiva. I tanti cambiamenti portati da La Buona Scuola sono stati quindi soggetti a numerose critiche, che riguardano soprattutto il ruolo del dirigente scolastico e le modalità di reclutamento.

Il governo Renzi puntò moltissimo sulla riforma scolastica che lo stesso premier espose in un video che suscitò non poche ilarità (anche per un errore grammaticale di cui avrete sicuramente sentito parlare):

 

 

Qui il sito ufficiale dedicato a La Buona Scuola.

 

Jobs Act

 

 

Prendendo spunto da una legge dell’amico Obama datata 2012, Matteo Renzi promuove anche l’approvazione del Jobs Act. La riforma del lavoro, con i suoi 8 decreti legislativi approvati nel corso del 2015, ha rivoluzionato diversi aspetti del mondo lavorativo in Italia andando a toccare anche quei particolari che da decenni costituivano un punto molto delicato nelle trattative tra governi e sindacati (vedi articolo 18).

Uno dei punti dolenti del Jobs Act riguarda i licenziamenti: i lavoratori assunti dopo l’entrata in vigore che regola questa materia, se coinvolti in licenziamenti economici, non hanno la possibilità di vedersi reintegrati a lavoro e possono beneficiare di un indennizzo economico certo e crescente in base all’anzianità di servizio. La reintegrazione riguarda i licenziamenti nulli e discriminatori e alcuni casi di licenziamento disciplinare ingiustificato.

Ma gli otto decreti che compongono il Jobs Act regolamentano anche le politiche attive, l’erogazione degli ammortizzatori sociali, la limitazione della cassa integrazione e i contratti di lavoro. Uno degli obiettivi principali della riforma, infatti, era quello di ridurre le tipologie di contratti esistenti (ad esempio i famosi co.co.pro. spesso nominati da Renzi) e combattere la precarietà. In questo modo il governo mirava a far aumentare i contratti a tempo indeterminato (con sgravi fiscali per le imprese) e, come nel caso della scuola, combattere la precarietà in tutti i settori.

Alla teoria, come sempre, deve seguire la pratica. Se da un lato i numeri forniti dai due esecutivi che si sono susseguiti dal 2014 al 2017 parlano di aumento delle assunzioni, dall’altro c’è da considerare la tediosa questione dei voucher, che con la precarietà ci vanno a braccetto.

E a proposito di critiche contro il Jobs Act, potrebbe risultare interessante – a più di due anni dall’entrata in vigore della riforma – riascoltare questo breve faccia a faccia tra Matteo Renzi e Marco Travaglio:

 

 

Qui il sito ufficiale che illustra i principi del Jobs Act.

 

Legge contro il caporalato

 

 

Il cosiddetto caporalato è punito come reato penale in Italia dal 2011, anno in cui è stato introdotto l’articolo 603-bis nel Codice penale italiano. Questo fenomeno, definito come intermediazione illecita e sfruttamento del lavoro, è stato però regolamentato in maniera alquanto confusionaria. Per questo la legge approvata il 18 ottobre 2016 alla Camera dei Deputati ha cercato soprattutto di fare ordine in un ambito molto intricato le cui numerose specificità permettevano di rendere facilmente aggirabile la norma introdotta nel 2011.

Negli ultimi anni, soprattutto in seguito all’esplosione della crisi economica, il fenomeno del caporalato – soprattutto in agricoltura, ma anche nel settore edile – ha iniziato ad interessare sempre di più anche gli italiani, e non soltanto i cittadini stranieri che vivono nel nostro Paese in condizioni di estrema povertà.

Alla disperazione e alla necessità di lavorare, spesso per mantenere la propria famiglia o per sopravvivere, si legano diverse forme di caporalato, tra cui quello strettamente connesso all’attività della criminalità organizzata.

La legge contro il caporalato approvata durante l’ultimo anno del governo Renzi consta di 12 articoli e semplifica il reato dandogli un base comune che prescinde da comportamenti violenti, minacciosi o intimidatori previsti nella norma precedente. I casi di caporalato che includono anche queste specificità costituiscono invece un sottogenere della fattispecie base. Tra le grandi novità della legge c’è anche la sanzionabilità del datore di lavoro, oltre che dell’intermediario, e l’attenuante prevista in caso di collaborazione con le autorità. Inoltre sono previsti l’arresto obbligatorio in flagranza di reato e la confisca dei beni in casi particolari.

Come già accennato, prima del 2016 l’opinione pubblica era stata scossa da alcune inchieste giornalistiche che testimoniavano lo sfruttamento anche di lavoratori italiani, soprattutto in campi da coltivare da parte dei cosiddetti caporali. Tra i numerosi servizi, anche Piazzapulita si è occupata della questione. Di seguito un breve filmato andato in onda nel 2015 nella trasmissione di La7 condotta da Corrado Formigli.

 

 

Qui il dettaglio della legge contro il caporalato.

 

Unioni civili

 

 

L’11 maggio 2016 è il giorno in cui anche l’Italia approva il decreto legge sulle Unioni Civili. La proposta parte dalla senatrice del Partito Democratico Monica Cirinnà che si impegna affinché i diritti degli omosessuali siano rispettati anche dal punto di vista legale.

Dopo decenni di polemiche e discussioni, che non terminano certo nella primavera del 2016, vengono introdotti in Italia diritti e doveri per le coppie di fatto che sono molto simili a quelli delle persone eterosessuali che si sono unite in matrimonio.

Le novità più importanti riguardano la reversibilità della pensione del partner, i congedi parentali, la graduatoria all’asilo nido e in materia di successione ed eredità: una serie di diritti e doveri che, senza le Unioni Civili, non avrebbe potuto conoscere realizzazione. Tra i doveri, ad esempio, il partner è chiamato ad assistere moralmente e materialmente l’altro mentre la coabitazione diventa obbligatoria per entrambe le parti della coppia.

Se una parte della popolazione italiana ha accolto positivamente, o con indifferenza, la novità delle Unioni Civili, non sono mancate le polemiche e le proteste. Tra queste, l’indimenticabile (?) Family Day che vide una Giorgia Meloni (allora incinta del suo compagno) impegnata in prima fila. Ma non solo. Una conseguenza del grante dibattito sulle Unioni Civili è anche la nascita del Popolo della Famiglia di Mario Adinolfi che, mentre la comunità LGBT riempie le piazze di euforia ed entusiasmo, tiene comizi carichi di indignazione e rabbia. Così:

 

 

Qui maggiori dettagli sulle Unioni Civili.

 

Biotestamento

 

 

La XVII legislatura si chiude con un atto molto importante, atteso ormai da diversi decenni. Il 14 dicembre 2017 la legge sul fine vita viene approvata in Parlamento, tra la gioia e la commozione di persone che per anni si sono battute per i loro cari costretti a prendere una decisione estrema.

Dopo l’ultimo caso, quello di Dj Fabo costretto ad andare in Svizzera per mettere fine alle sue sofferenze, l’opinione pubblica è tornata a far pressione sui legislatori in merito ad un tema rimandato per troppo tempo. Nonostante l’opposizione dei parlamentari più conservatori, tra cui Giovanardi, la legge sul biotestamento viene approvata con 180 voti favorevoli e 71 contrari.

Dopo quest’evento ritenuto, a ragione, storico, Emma Bonino ha concesso un’intervista a Bianca Berlinguer nella puntata di #cartabianca andata in onda il 19 dicembre 2017 su Rai Tre. Di seguito la prima parte:

 

 

Qui è possibile consultare il testo della legge articolo per articolo.

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