NAPOLI. Armando Izzo, calciatore militante tra le file genoane, che in seguito al gol segnato a Pepe Reina è stato minacciato dai tifosi del Napoli, è stato rinviato a giudizio con l’accusa di frode sportiva e concorso esterno in associazione mafiosa. Nell’udienza Maurizio De Marco, in veste di pubblica accusa, ha chiesto al gup Marcello De Chiara di condannare altri due ex giocatori, Luca Pini a tre anni e mezzo, e Francesco Millesi a cinque anni: i due hanno scelto il rito abbreviato. Anche il boss Umberto Accurso è stato rinviato a giudizio, con l’accusa di aver organizzato il raid contro la caserma dei carabinieri di Secondigliano mentre allontanavano i suoi bambini per scampare ogni pericolo di uccisione. Il processo si avvierà il 2 febbraio prossimo dinanzi al collegio A della IX sezione del Tribunale, mentre la sentenza per Pini, Millesi e Antonio Accurso, fratello di Umberto e collaboratore di giustizia (per il quale sono stati chiesti quattro mesi dal pm) potrebbe arrivare il 13 dicembre, quando è prevista la discussione dei loro avvocati.
La vicenda giudiziaria è tutt’altro che lineare: essa va ad intrecciarsi con un fatto di sangue, il duplice omicidio di Raffaele Stanchi e Luigi Montò, elementi di spicco del clan Abete-Abbinante, i cui corpi, il 9 gennaio 2012, sono stati trovati bruciati nel bagagliaio di una Fiat Punto rubata a Melito di Napoli. Da qui è partita la terza faida di Scampia, scontro tra la Vanella Grassi e gli Abete-Abbinante-Notturno. Il gup Eliana Franco, per il delitto, ha condannato all’ergastolo otto persone alla fine di un processo con rito abbreviato: tra di essi, spicca il nome di Umberto Accurso. Il giudice, inoltre, ha sospeso a tutti loro la patria potestà. Per il duplice omicidio, inoltre, proprio ieri la squadra mobile ha notificato un’ordinanza di custodia cautelare al baby boss Salvatore Russo, diciassettenne all’epoca dei fatti. A sua volta, Russo è stato rinviato a giudizio assieme ad Accurso e Izzo per le partite truccate.
Le vicende si sono svolte nella zona della Vanella Grassi, territorio dove operava anche il clan di Umberto Accurso. Stando alla ricostruzione dei fatti, il boss aveva convinto Izzo, Millesi e Pini, con all’epoca lo stemma dei lupi sulla casacca, a combinare il match Avellino-Reggiana del 25 maggio 2014. La cosca aveva intenzione di riciclare nelle scommesse il denaro ottenuto con le estorsioni e lo spaccio. L’obiettivo era ottenere la vittoria dell’Avellino, sulla quale Antonio Accurso aveva scommesso 400.000 euro, per guadagnarne in totale 550.000. Secondo l’accusa, i tre calciatori erano «stabilmente a disposizione» del gruppo della Vanella Grassi «allo scopo di influire fraudolentemente sui risultati delle partite di calcio» fornendo «un concreto, specifico, consapevole e volontario contributo» a rafforzare il clan. Difeso dai forensi Fabio Fulgeri e Lia Colizzi, Pini ha ammesso di avere consegnato il denaro a Millesi, che a sua volta lo aveva spartito con Izzo, sottolineando che l’unico vantaggio personale era quello di conoscere anticipatamente i risultati delle partite per poi scommettere in modo sicuro.