“Decisi di raggiungere mio fratello in Olanda dopo aver picchiato il figlio di un boss che andò in coma: fui costretto a cambiare aria perché il clan Cesarano non poteva più proteggermi”, è questo il racconto di Raffaele Imperiale, il boss dei Van Gogh in seguito agli arresti di ieri, lunedì 10 luglio. Lo riporta l’odierna edizione del Mattino.
Castellammare di Stabia, colpo al clan Cesarano: il racconto di Raffaele Imperiale
Stabiese, proveniente da una famiglia di imprenditori edili ha ricostruito i suoi trascorsi giovanili e i rapporti con la camorra della zona e le conoscenze tra gli altri con i boss Ferdinando e Gaetano Cesarano, oggi ristretti al 41-bis.
I rapporti con il clan
I rapporti con il clan locale tornano anni dopo, come ricostruito dalle indagini e confermato dal verbale di interrogatorio nel fascicolo della DDA di Napoli. Nel 2019 racconta il cugino, era stato vittima di una richiesta di pizzo: “Volevano 50mila euro ha spiegato Imperiale. Chiesi aiuto al clan Amato-Pagano e il boss Vincenzo Cesarano o mussone prese le distanze dalla richiesta. Per ringraziarlo, tramite un emissario di Bruno Carbone, gli mandai 20mila euro in un cesto di Natale. In realtà gli volevo mandare 50mila euro, ma Carbone disse di non esagerare“.
“Alcuni cani sciolti di Gragnano o di Casola tentarono di rapirmi. Mio padre era un costruttore e, per lavorare tranquillo, pagava tutti. Ha costruito palazzi a Castellammare e un parco (un intero quartiere che porta il suo cognome) a Gragnano. Ricordo che regalava anche appartamenti ai camorristi ed è stato presidente della Juve Stabia. Molti affiliati ai D’Alessandro e ai Cesarano frequentavano casa mia”.
“A casa mia venivano i figli dei D’Alessandro, Liberato Paturzo, Renato Battifredo, gli Spagnuolo, ma anche i boss Ferdinando e Gaetano Cesarano” ha raccontato. E proprio con i Cesarano nasce la prima «esperienza» di camorra: “Spacciavo droga a Pompei con Vincenzo Procida. I miei genitori volevano per me una vita retta. Ricordo di un ragazzo che veniva a comprare droga da me e che fu picchiato selvaggiamente da me, Procida e un altro. Questo ragazzo andò in coma e, siccome era figlio di un boss di Santa Maria la Carità, lui si rivolse ai Cesarano per chiedere soddisfazione, così Gaetano Cesarano chiamò mio padre per dirgli che il clan non poteva più proteggermi e che quindi la soluzione migliore era che mi allontanassi. Così mi trasferii in Olanda, dove mio fratello aveva un coffee-shop”.