Dall’Australia arriva una ricerca destinata a rivoluzionare l’annoso problema dell’emergenza cinghiali, grazie alla collaborazione tra Università Federico II di Napoli, Università del Queensland e Istituto Zooprofilattico Sperimentale del Mezzogiorno di Portici. Per ridurre il proliferare dei mammiferi selvatici potrebbe essere somministrato un anticoncezionale attraverso esche alimentari. Lo rende noto Coldiretti Campania dopo aver incontrato il professor Giuseppe Campanile, professore ordinario di zootecnia presso il Dipartimento di Medicina Veterinaria e Produzione Animale dell’Università Federico II. Il ricercatore campano è tornato dalla terra dei canguri con in tasca un progetto di ricerca che è stato finanziato dal Ministero della Sanità e dall’Assessorato alla Sanità della Regione Campania. Per una singolare coincidenza l’omologo australiano del professor Campanile è il professore Michael D’Occhio, originario di Torrecuso in provincia di Benevento. A completare il gruppo di lavoro tutto campano c’è Antonio Limone, direttore generale dell’IZSM.
Emergenza cinghiali in Campania
Il sistema di immunosterilizzazione del cinghiale – spiega Coldiretti Campania – ha l’obiettivo di ridurre l’attività riproduttiva attraverso la somministrazione di boli specifici che contengono un anticoncezionale in grado di bloccare la follicologenesi, agendo sia sui maschi che sulle femmine. Le esche saranno “selettive”, ovvero in grado di agire solo sui cinghiali. L’effetto dell’anticoncezionale specifico è reversibile. Dopo sei mesi di mancata distribuzione delle esche, l’attività riproduttiva torna alla normalità. Tra circa dodici mesi saranno consegnati i dati della ricerca, ma le prove preliminari già lasciano ben sperare. Si tratta di un sistema già esistente, ma utilizzato per via intramuscolare. L’innovazione della somministrazione per via orale è destinata a semplificare la gestione della fauna selvatica.
“Accogliamo con interesse questo lavoro di ricerca – commentano il presidente di Coldiretti Campania Gennarino Masiello e il direttore regionale Salvatore Loffreda – perché offre una possibile soluzione ad un problema divenuto ormai insostenibile. I danni all’agricoltura e i rischi per la pubblica incolumità sono andati ben oltre ogni previsione. Ferma restando la necessità di far partire nel più breve tempo possibile il piano faunistico regionale, la ricerca scientifica apre strade nuove ed interessanti. Se i risultati confermeranno l’intuizione dei ricercatori, occorrerà ragionare rapidamente sulle risorse necessarie per rendere applicabile il nuovo sistema”.