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Emergenza lavoro sommerso: 3,3 milioni di lavoratori “in nero”. Campania tra le prime

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NAPOLI. Continua a farsi sentire l’emergenza del lavoro sommerso in Italia. Mentre il ministro Luigi Di Maio giura battaglia al precariato col decreto dignità, la piaga del “lavoro in nero” continua ad affliggere l’intero Paese con conseguenze e numeri che assumono – ancora una volta – proporzioni tragiche soprattutto al Sud.
I lavoratori in nero in tutta Italia sono 3,3 milioni e sono occupati, in maniera del tutto inadeguata e non registrata, in diversi settori: dall’agricoltura all’edilizia, passando per l’assistenza ad anziani e disabili nelle abitazioni. Ma la lista non si ferma certo qui. Lavoratori che, naturalmente, producono effetti economici “importanti e pesantissimi”, come sottolineato dalla Cgia.

Lavoro in nero in Italia: le stime Cgia

L’ufficio studi della Cgia ha elaborato numeri che continuano a preoccupare in merito all’annosa questione del lavoro sommerso.

I numerosi lavoratori impiegati senza regolare contratto generano ben 77,3 miliardi di fatturato in nero all’anno. Al di là degli aspetti etici e morali, a risentirne sono anche le casse del fisco che si ritrova così con un gettito mancante di 42,6 miliardi di euro, sarebbe a dire più del 40% dell’evasione di imposta annua stimata dai tecnici del ministero dell’Economia e delle Finanze. Secondo i dati del Mef, infatti, l’evasione di imposta in Italia equivale a circa 100 miliardi di euro all’anno. A questo proposito, la Cgia si schiera a favore del ripristino dei voucher.

Il lavoro in nero e i danni ad attività e servizi

Il lavoro in nero comporta anche numerosi danni alle attività produttive e ai servizi. Chi esercita in maniera regolare, naturalmente, viene enormemente danneggiato dalla concorrenza sleale di questi soggetti.

La Cgia spiega che “questi lavoratori in nero, infatti, non essendo sottoposti ai contributi previdenziali, a quelli assicurativi e a quelli fiscali consentono alle imprese dove prestano servizio – o a loro stessi, se operano sul mercato come falsi lavoratori autonomi – di beneficiare di un costo del lavoro molto inferiore e, conseguentemente, di praticare un prezzo finale del prodotto/servizio molto contenuto”.

Prestazioni “che chi rispetta le disposizioni previste dalla legge non è in grado di offrire” chiarisce la Cgia. Tre milioni di persone, evidenzia quindi la Cgia, costituite da lavoratori dipendenti che fanno il secondo/terzo lavoro, da cassaintegrati o pensionati che arrotondano le magre entrate o da disoccupati che in attesa di rientrare nel mercato del lavoro sopravvivono ‘grazie’ ai proventi riconducibile a un’attività irregolare”.

“Per contrastare questo fenomeno la reintroduzione dei voucher potrebbe essere una prima risposta” segnalano gli analisti dell’associazione. Per la Cgia, oltre ai voucher, ovviamente, per contrastare questo fenomeno c’è la necessità, in particolar modo, di abbassare le tasse e i contributi previdenziali, di ridurre il carico amministrativo e di incentivare le misure dissuasive e di stimolo all’emersione, sostenendo, soprattutto, l’attività di controllo eseguita dagli organi preposti. Senza contare, infine, che è necessario mettere in campo una grande operazione educativa in tutti gli ambiti sociali per promuovere la cultura della legalità.

Il lavoro in nero in Campania e nelle altre regioni

Il lavoro in nero, come detto, dilaga soprattutto nel Sud Italia. Ecco, secondo le stime della Cgia, la classifica delle regioni in cui questo fenomeno impiega più persone e, di conseguenza, crea anche più danni, ai lavoratori e all’erario:

Il territorio meno interessato dalla presenza dell’economia sommersa, infine, è il Veneto: i 199.400 lavoratori in nero ‘causano’ 5,2 miliardi di euro di valore aggiunto sommerso (pari al 3,8 per cento del Pil regionale) che sottraggono al fisco quasi 2,9 miliardi di euro.

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