Una lunga intervista a Raffaele Cutolo, boss di Ottaviano con numerosi ergastoli sulle spalle per condanne di associazione camorristica e omicidi. Attualmente è detenuto nel supercarcere di Parma.
Intervista a Raffaele Cutolo, le parole de “‘O professore”
“Come sto? Aspettiamo la morte. È assurdo che dobbiamo fare questo colloquio con questo vetro in mezzo. Non è meglio la pena di morte? Un attimo di coraggio e poi finisce tutto, così invece è una sofferenza continua. Mia figlia? La prossima volta che verrà a trovarmi sarà l’ultima in cui potrò stare accanto a lei ed abbracciarla; poi quando avrà 12 anni e un giorno, si dovrà accomodare dall’altra parte del vetro.
“Ho seminato odio e morte ammette – ed è giusto che paghi. Ma che significa ridurmi in questo stato? L’ora d’aria? Ma che ci vado a fare? Tanto vale che resto nella mia cella, un ambiente stretto e lungo quanto questa stanza. Mi sono allontanato solo per un periodo, un po’ rumorosamente dall’Opg di Aversa”.
Il carcere di Poggioreale
“Lì sono cresciuto, e quel luogo lo sento un po’ come casa mia. Stavo nel padiglione Milano stanza 13 e poi mi passarono alla numero 1. A Poggioreale divenni un boss perché non sopportavo l’arroganza dei mammasantissima dell’epoca che volevano imporre la loro legge all’interno di quelle mura. La mia fu una ribellione. Il mio compagno di stanza (che in effetti era un vero e proprio inserviente, ndr) si chiamava Menichiello ed era di Pianura. Ancora non sono riuscito a capire come riusciva a fare un caffè così buono”.
Il brigadiere Pasquale Cafiero citato da De André
“Veniva da me e mi esponeva i suoi problemi, mi diceva che guadagnava poco e non riusciva a tirare avanti. Don Elvio Damoli? La mattina si passava da Cutolo e si prendeva il caffè, quando ancora non era arrivato all’apice della sua fama”.
Falcone, Borsellino e altre vittime
“Erano – dice – due grandi giudici. Ma Totò Riina era spietato, lo incontrai due volte durante la latitanza e una volta gli buttai la pistola addosso. Giancarlo Siani era un bravo giornalista. Scrisse degli articoli anche contro di me, ma non me la presi perché faceva il suo mestiere”.
L’omicidio Salvia
“Mi faceva sempre perquisire – dice – ogni volta che entravo e uscivo dalla cella, e non ne potevo più. Provavo rancore. Mi dispiace ma che potevo fare? Seppi da uno dei componenti della banda della Magliana, un tale Nicolino Selis, il covo dove era nascosto lo statista, e lo feci sapere ad Antonio Gava che però mi mandò a dire: don Rafè fatevi i fatti vostri”.