NAPOLI. Le imprese di media dimensione del Mezzogiorno risultano finalmente competitive quanto le omologhe del Centro-Nord, come attesta l’incidenza del costo del lavoro sul valore aggiunto, ma sono ancora numericamente insufficienti (265 sulle 3.376 attività esistenti in Italia, con un calo del 27% nel 2016 rispetto al 2008). Non tutte le Regioni, inoltre, hanno mostrato la stessa capacità di adattamento alle difficoltà create dalla crisi economica internazionale: mentre l’industria di Campania, Puglia e Sicilia fa registrare valori assimilabili a quelli delle regioni del Centro-Nord, il resto del Sud arranca e in qualche caso arretra. Sono questi i principali dati emersi dal Settimo Rapporto La Malfa, realizzato dall’omonima fondazione, in collaborazione con l’Area Studi di Mediobanca e Matching Energies, e presentata oggi a Napoli, presso la sede del Mattino, da Paolo Savona e Giorgio La Malfa, rispettivamente presidente e consigliere della Fondazione Ugo La Malfa, Marco Zigon, Cavaliere del lavoro, patron del Gruppo Getra e presidente della Fondazione Matching Energies, alla presenza dell’assessore regionale alle Attività produttive Amedeo Lepore.
Medie imprese, il Settimo Rapporto La Malfa
La riconquistata competitività dell’industria meridionale, secondo il Rapporto La Malfa, apre prospettive interessanti per nuove politiche del Mezzogiorno, area in cui persiste un evidente malessere per le condizioni economiche del territorio e l’elevata disoccupazione soprattutto giovanile.
Delinea uno scenario a tinte rosa l’economista Paolo Savona che sintetizza così i dati che attestano come l’industria meridionale abbia completato il proprio adattamento alle difficoltà create dalla crisi economica internazionale (2008 – 2014): buona ripresa del valore aggiunto, buoni margini operativi lordi e netti complessivi; miglioramento della redditività (anche grazie a una minore incidenza di oneri finanziari e imposte). Nonostante la diminuzione degli investimenti, le cui spese stazionano intorno alla metà dei loro livelli pre-crisi, si registra, inoltre, un significativo impulso alle esportazioni, aumentate in valore assoluto di un buon 20% rispetto al 2008 (compensando una quasi analoga diminuzione della domanda interna). Spiragli anche sul fronte dell’occupazione: nel 2016, dopo un minimo registrato nel 2014, ha ripreso a crescere pur restando inferiore di 2.807 unità ai livelli pre-crisi, con una concentrazione nel settore delle costruzioni. E veniamo ora alle “ombre”: se Campania, Puglia e Sicilia fanno registrare valori assimilabili a quelli delle regioni industriali del Centro-Nord, il resto delle Regioni arranca e ci sono parti del territorio meridionale che arretrano. “Si delinea – dice Savona – un nuovo dualismo all’interno del dualismo meridionale che pone seri problemi alla politica da intraprendere”
Istituire Asi (Aree di Sviluppo industriale) con incentivi simili alle Zes è la proposta di Giorgio La Malfa che accende i riflettori sulla scarsa consistenza numerica delle attività industriali al Sud. “A differenza di quanto accadeva in passato, la competitività delle imprese meridionali di media dimensione è pari a quella del resto d’Italia e addirittura marginalmente migliore che nel Nord Est e Centro. Tuttavia il fenomeno dell’industrializzazione ha consistenza ancora limitatissima nelle regioni meridionali. Basta dare uno sguardo ai numeri: nel 2008 le imprese medie industriali in Italia erano 4.109, al Sud 361. Otto anni dopo il totale nazionale si attesta a quota 3.376 (con un calo del 18%), il contributo del Mezzogiorno scende a 265 (crollando del 27%). Senza considerare che l’apporto meridionale alla lotta alla disoccupazione è davvero trascurabile: poco più di 32.000 dipendenti nelle medie imprese; poco meno di 80.000 negli stabilimenti con più di 500 dipendenti; in totale poco più di 110.000 dipendenti fra tutte le otto Regioni meridionali”.
“E’ anche vero – aggiunge La Malfa – che le imprese che hanno resistito alla crisi si sono rivelate le più forti, ovvero quelle in grado di recuperare produttività, e che l’industria meridionale ha un potenziale di sviluppo notevole in termini di fatturato, esportazione, profitti”. La ricetta per il recupero di competitività, conclude La Malfa, non richiede “politiche generiche di sostegno della domanda, né semplici politiche infrastrutturali. Meglio prevedere poche Asi per ciascuna Regione piccola, due in quelle più grandi, in cui concentrare tutti gli sforzi come con le Zes: infrastrutturazione; formazione professionale; dotazione di infrastrutture informatiche; stimolo all’insediamento bancario; collegamento con le Università e la ricerca”.
“Le medie imprese meridionali sono ormai pienamente competitive – dice Marco Zigon -. Sono aziende eccellenti in una misura non diversa da quelle del Nord. Ma sono poche “isole felici” nel mare magnum di un contesto meridionale ostile allo sviluppo. Industria 4.0 non basta da sola se il cambiamento si limita al perimetro aziendale. Occorre anche un’amministrazione pubblica 4.0, in grado di stare al fianco delle imprese che innovano e che per vincere le sfide di una concorrenza sempre più dura hanno bisogno di un ambiente più competitivo, capace di favorire gli investimenti e l’occupazione. La formazione è una delle principali chiavi di crescita”.
“Non possiamo crescere con il freno a mano tirato mentre altri territori volano – aggiunge Zigon -. Per ridurre in fretta il divario con il Nord, nel Mezzogiorno è necessario adottare soluzioni “non convenzionali”. Occorre un patto compensativo tra imprese e istituzioni di governo. Credito d’imposta, benefici fiscali e incentivi a tempo per allineare le condizioni di contorno alle attività economiche del Mezzogiorno alle medie nazionali ed europee”, conclude il presidente di Matching Energies Foundation.