“Fannulloni”, “nullafacenti”, “sfaticati”, “un peso per l’economia del Paese” e chi più ne ha più ne metta. Ovunque si sprecano etichette dispregiative all’indirizzo degli abitanti del Sud Italia, giudicati fin troppo inoperosi, qualcosa di simile ad un elemento di disturbo per un Nord che ci traina a fatica e che si libererebbe volentieri di questa zavorra.
Eppure quella che emerge dai dati è una realtà ben diversa da quella stereotipata che a molti fa comodo dipingere. Il Sud si rivela la terra natia di tutti coloro che percorrono chilometri e chilometri in cerca di fortuna, che si rassegnano a trasferte improbabili per cimentarsi in concorsi pubblici dalle scarsissime possibilità di successo, la patria del lavoro in nero, di chi si arrangia accettando compensi miseri e forme di tutela pressoché inesistenti.
E i numeri di certo non mentono.
Il fenomeno dell’emigrazione
Ciò che più ferisce, probabilmente, è sentire parlare chi appoggia queste idee quasi come se si trattasse di un problema di DNA, ignorando una realtà che vede migliaia e migliaia di ragazzi arrendersi al disagio sociale e allo stato di abbandono politico e trasferirsi altrove, spesso senza fare ritorno.
A certificare queste affermazioni è il rapporto Svimez 2018 sul Mezzogiorno. Lo studio rivela che negli ultimi 16 anni hanno lasciato il Sud Italia 1 milione e 883mila residenti. Di questi, la metà è costituita da giovani di età compresa tra i 15 e i 34 anni, mentre quasi un quinto può vantare un titolo di laurea.
Si tratta di uomini partiti con un bagaglio colmo di sogni, voglia di riscatto e soprattutto desiderio di lavorare. Di questi quasi 800mila non sono tornati.
L’odissea dei concorsi pubblici
Un’idea molto chiara delle dimensioni del sacrificio a cui sono costretti spesso e volentieri aspiranti lavoratori di tutte le età provenienti dal meridione ci viene data inoltre dall’odissea a cui vanno incontro tutti coloro che si cimentano nei sempre più proibitivi concorsi pubblici.
A balzare agli onori della cronaca, in tempi recenti, è stata l’avventura dei giovani infermieri meridionali in cerca di un posto fisso al Nord. In quell’occasione, oltre cinquemila partecipanti si sono sobbarcati ore e ore di viaggio per dividersi gli appena 5 posti messi a disposizione in ospedale.
Un tentativo dettato dalla dedizione e dalla forza della disperazione, che per molti non è potuto che rivelarsi un misero buco nell’acqua.
La prassi del lavoro in nero
Numeri alla mano, secondo gli studi condotti dalla Cgia di Mestre, il Sud Italia è inequivocabilmente la patria del lavoro in nero, sinonimo il più delle volte di sfruttamento, paghe indegne e nessuna forma di tutela.
Sul podio nazionale troviamo Calabria, Campania e Sicilia, che da sole vantano un esercito di irregolari pari alla bellezza di 800mila uomini.
Tra questi molti sono in prima linea a rimboccarsi le maniche, giorno per giorno, in attesa di un futuro migliore.