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Quali sono i clan di camorra più potenti della zona di Mugnano di napoli | La storia e i protagonisti, il clan Amato-Pagano

Mugnano di Napoli panoramica

Mugnano di Napoli panoramica

Quali sono i clan di camorra più potenti della zona di Mugnano di Napoli? L’organizzazione criminale più potente del mondo è la camorra. A dichiararlo è la Dia, il Reparto di Investigazione di massimo livello, la cui relazione 2023 aggiornata è stata di recente pubblicata dal Ministero dell’Interno. Le indagini svolte su oltre 200 famiglie di camorra hanno permesso di identificare migliaia di affiliati operanti in Campania, in altre regioni italiane e nazioni. Inoltre, la camorra, presente in diversi continenti, fattura annualmente centinaia di migliaia di milioni di euro. Il resoconto che segue riguarda il più potente clan di Mugnano di Napoli, il clan Amato-Pagano

Camorra: il clan più potente della zona di Mugnano di Napoli, il clan Amato-Pagano, la storia

Il clan Amato-Pagano, chiamato in modo sprezzante dai rivali come gli “Spagnoli”, venne fondato da Raffaele Amato,detto “o Spagnolo”,insieme alla sua famiglia, con suo cognato Cesare Pagano, e diversi altri sottogruppi, tra gli anni ‘90 e gli anni 2000. Raffaele Amato, nato a Napoli giovedì 11 novembre 1965, iniziò la sua “carriera” criminale come sicario per la famiglia Di Lauro e in breve tempo raggiunse ruoli sempre più importanti all’interno dell’organizzazione, il suo operato venne considerato significativo allo scopo di ottenere l’egemonia sul territorio e riuscì, così, a conquistare la fiducia del boss Paolo Di Lauro.

Paolo Di Lauro

La faida di Mugnano di Napoli

La faida di Mugnano, ebbe origine nel grembo del clan Di Lauro. Tra dicembre 1991 e maggio 1993, periodo nel quale si verificarono diversi scontri, agguati e omicidi, che fecero più di 20 vittime. La faida avvenne durante la fase di massima espansione economica del clan Di Lauro, che avvenne dopo l’uccisione del boss Aniello La Monica. Il conflitto fu causato da una scissione interna che portò alla formazione del clan Ruocco, il quale volle conquistare territori sotto il controllo del clan Di Lauro, a causa di uno sgarro che Antonio Rucco, detto “Capa ‘e Ceccia”, subì nella primavera del ‘91.

Aniello La Monica

Gli scontri furono molto cruenti e molti morti si ebbero in pochi mesi. Tra gli episodi più simbolici ci fu l’uccisione e la decapitazione del cavallo del fratello di Antonio Ruocco da parte dei Di Lauro, i quali vollero imitare la famosa scena del film “Il Padrino”, emblema dell’avvertimento mafioso. Uno degli agguati più feroci della faida avvenne lunedì 18 maggio 1992, quando un commando armato del clan Ruocco fece fuoco con kalashnikov, pistole ed esplosivi contro il Bar Fulmine, luogo di ritrovo degli affiliati al clan Di Lauro. In quell’attentato venne lanciata anche una bomba a mano, morirono 4 persone e altre 3 rimasero ferite, una delle quali morì in seguito alle ferite riportate.

Tra le vittime ci fu Raffaele Prestieri, braccio destro di Paolo Di Lauro, e il fratello. Una settimana dopo la strage, un commando armato del clan Di Lauro uccise la madre di Antonio Ruocco, raggiunta da 11 colpi d’arma da fuoco, alcuni dei quali la centrarono in volto, e prima di fuggire, uno dei sicari si chinò per controllare se la donna fosse morta. Molti clan camorristici non condivisero quella mossa. Mesi dopo sequestrarono Alfredo Negri, membro del clan Ruocco, il quale venne prima torturato per 15 ore e poi dato alle fiamme e bruciato vivo dentro la sua auto, vicino al carcere di Secondigliano.

Lunedì 3 agosto 1992, Antonio Ruocco venne arrestato a Milano dagli Operatori dell’Arma dei Carabinieri, in seguito divenne collaboratore di giustizia e chiese che insieme a lui venissero messi sotto “protezione testimoni” circa 140 parenti. Il clan Di Lauro uscì vincitore dalla guerra, nonostante le diverse e gravissime perdite subite.

L’arresto del boss Paolo Di Lauro e il passaggio di potere al figlio Cosimo Di Lauro

Paolo Di Lauro, dopo un periodo di latitanza, venne arrestato durante un’operazione dei Ros dell’Arma dei Carabinieri, venerdì 16 settembre 2005. Il comando e la gestione degli affari passarono nelle mani dei figli, prevalentemente in quelle di Cosimo Di Lauro (Napoli 8 dicembre 1973 – Opera 13 giugno 2022).

Secondigliano e Scampia erano le piazze di spaccio più grandi d’Europa, e organizzate in modo preciso, seguivano schemi e regole, accordi e alleanze che Paolo Di Lauro, “Ciruzzo ‘o milionario”, aveva con intuito e determinazione realizzato. Il sistema, “o Sistema”, ovvero, una macchina criminale che faceva affari illeciti di diverso tipo, che trafficava prevalentemente in sostanze stupefacenti e che con le sue piazze guadagnava miliardi di euro, un vero e proprio impero, costruito, testato e consolidato, con il passaggio di potere, iniziò il suo periodo di decadimento.

Cosimo Di Lauro

Anche se già qualche anno prima, dei contrasti si erano presentati, Ciruzzo ‘o Milionario era sempre riuscito a mediare e rimediare, cosa che con il figlio Cosimo Di Lauro al comando non si verificò. Cosimo, noto anche come “The Designer Don”, per la sua passione per gli abiti firmati, sempre vestito di nero, con un lungo cappotto in pelle, ad imitare il protagonista del film “Il Corvo”, aveva molti vizi, era spregiudicato, non era attento e non riuscì a dirigere il clan Di Lauro come il padre Paolo, e con i suoi comportamenti si fece molti nemici, e iniziò a perdere la fiducia dei vecchi alleati.

Le conseguenze dei cambiamenti apportati da Cosimo Di Lauro, il decadimento dell’impero criminale realizzato dal padre Paolo Di Lauro e la scissione

Quando ebbe il comando, Cosimo Di Lauro, iniziò a cambiare i capi delle piazze, a modificare accordi e modalità di suddivisione dei proventi illeciti e a fare un vero e proprio ricambio generazionale degli affiliati, mettendo ai vertici nuove leve di sua fiducia. Ovviamente, queste modifiche apportate dal figlio Cosimo, al Sistema realizzato da “Ciruzzo o milionario”, crearono una vera e propria frattura con i “vecchi” e storici fedelissimi di Paolo Di Lauro, che si ribellarono. Si formarono gruppi di opposizione, che presero il nome di “scissionisti di Secondigliano”.

Gli “scissionisti di Secondigliano”, formarono un cartello, un insieme di clan di camorra, che dopo anni di alleanza con la famiglia di Paolo Di Lauro, nel 2004, si staccarono per diventare autonomi. Capeggiati dal clan Amato-Pagano, il cartello, in modo indipendente e antagonista, dal periodo della scissione, iniziò ad essere attivo a Napoli, nelle zone di Secondigliano, ma anche in aree di Arzano, Melito di Napoli, a Mugnano di Napoli, in Spagna, Costa del Sol, Galicia e Barcellona.

Prima faida di Secondigliano

Da una parte il clan Di Lauro con a capo Cosimo Di Lauro e dall’altra gli “scissionisti di Secondigliano”, con a capo Raffaele Amato e Cesare Pagano, la prima faida di Secondigliano, o anche “faida di Scampia”, finì per diventare presto uno degli scontri più efferati della storia della camorra, una vera e propria guerra combattuta soprattutto nel quartiere di Scampia e Miano. Il conflitto coinvolse altre zone e altri clan, tra i quali gli Abbinante di Marano, i Pariante di Bacoli, i Ferone di Casavatore e le famiglie referenti di Melito di Napoli.

Numerose furono le vittime, quasi 100, e non mancarono errori, scambi di persone e vittime innocenti.

Vittime innocenti della faida di Secondigliano

Antonio Landieri vittima innocente
Attilio Romanò vittima innocente
Dario Scherillo vittima innocente

Ispirazione per best seller, film e serie Tv

Il giornalista e autore di diversi libri diventati best seller e collaboratore di diverse serie Tv di successo, Roberto Saviano, iniziò la sua carriera proprio denunciando i traffici illeciti controllati da diversi clan di camorra. Autore di “Gomorra”, suo primo libro di successo, poi portato, con l’omonimo titolo, sul grande schermo al cinema, riscuotendo ottimi risultati, successivamente è diventato anche una serie Tv di successo mondiale.

Roberto-Saviano

Roberto Saviano ha proseguito scrivendo altri diversi libri che raccontano le dinamiche dei sistemi della camorra. Ispirandosi sempre su fatti reali, ha realizzato, romanzando diverse storie vere, opere che da libri avevano l’esigenza di diventare immagini, suoni, per coinvolgere completamente il pubblico, per immergere completamente nelle vicende raccontate gli spettatori, per far vedere al mondo scene molto realistiche e rendere davvero l’idea degli scenari vissuti dai protagonisti.

A volte si ha l’impressione di sentire gli odori, i profumi dei luoghi descritti e di provare le emozioni dei soggetti raccontati. L’opera “Gomorra” è basata su molti fatti reali della scissione dai Di Lauro e della storia degli scissionisti di Secondigliano, anche se ne è una versione romanzata, l’opera non perde l’aroma originale dei fatti storici.

Il trasferimento in Spagna dei vertici del clan Amato-Pagano

La famiglia Di Lauro mise in giro la voce tra le proprie fila, che esponenti degli Amato-Pagano avevano “preso indebitamente” dagli incassi illeciti comuni, ovvero senza dirlo, quindi rubandoli, 3 milioni di euro.

Questo spinse Raffaele Amato e diversi suoi uomini di fiducia a trasferire la regia degli scontri in corso, nonché la direzione degli affari e dei traffici del clan, in Spagna. E da quella mossa, che vennero denominati gli “Spagnoli”. Sul posto, cioè a Napoli e altri comuni come Mugnano di Napoli, gli Amato-Pagano rimasero un esercito di fedelissimi affiliati e fiancheggiatori, killer professionisti, dotati di armi da guerra ed esplosivi e personale sulle piazze di spaccio per garantire un costante afflusso di denaro, tra sentinelle, pusher e trasportatori di “rifornimenti”.

Raffaele Amato

Le regole e le tecnologie di protezione del boss Raffaele Amato

Venne accertato che Raffaele Amato acquistò, nel corso di una fiera a Londra, aperta ai dirigenti dei servizi segreti di Israele, Germania e Stati Uniti, un dispositivo, del costo di 150 mila euro, utilizzato per annichilire, in un raggio molto ampio, i segnali elettrici provenienti da radio, cellulari e microspie. Tempo addietro, Raffaele Amato, quando era ancora uno dei trafficanti al servizio del boss Paolo Di Lauro, il telefono era costretto ad utilizzarlo, seppur con le dovute precauzioni.

Al cellulare, si faceva chiamare “Michele il napoletano”. Il collaboratore di giustizia Antonio Pica,dichiarò agli inquirenti che dieci anni dopo, distrutta l’organizzazione di Ciruzzo ’o milionario e conquistato il potere criminale a Secondigliano, Raffaele Amato diventò ancora più sospettoso nei confronti della tecnologia.

Le precauzioni che il boss degli “scissionisti” adottava durante gli incontri con i suoi uomini di fiducia, erano rigidissime, il boss chiedeva di requisire tutti i cellulari in possesso dei ragazzi sulle piazze di spaccio per un totale di 200, 300 cellulari minimo. Il boss ‘o Spagnolo si preoccupava del fatto che qualcuno potesse parlare “troppo” e mettere le Forze dell’Ordine sulle sue tracce.

Disposizioni di massima sicurezza riguardavano non solo le prevenzioni da far adottare agli affiliati sull’uso delle utenze telefoniche, delle quali erano responsabili gli stessi capi piazza, che dovevano anche punire chiunque trasgredisse gli ordini, ma riguardavano anche le intercettazioni ambientali. Infatti, sempre secondo le dichiarazioni di Pica, Amato si avvaleva dei servizi di due tecnici specializzati, ognuno dei quali ricompensato con mille e cinquecento euro a intervento. I tecnici dovevano effettuare “bonifiche” periodiche e verificare la presenza di dispositivi d’intercettazione, sia audio che video, nei covi in cui si riunivano affiliati e responsabili dei turni di spaccio.

Altri, tra i quali Prestieri, riferirono di un dispositivo in grado di segnalare, tutte le telefonate effettuate nel raggio di un chilometro, in grado anch’esso di individuare microspie che trasmettevano i segnali sulla linea telefonica. Inoltre, i vertici del gruppo degli “Spagnoli” avevano disponibilità di cellulari criptati, dai costi di circa 2 mila euro, che rendevano particolarmente ostiche le attività di spionaggio delle conversazioni, perché si appoggiavano su linee diverse da quelle classiche.

I contatti per i traffici internazionali

Raffaele Amato, ‘o Spagnolo, importò tonnellate di hashish dalla Spagna in Italia. Nel tempo iniziò a mediare con i cartelli sudamericani per l’acquisto di colossali partite di cocaina, e infine, come capo assoluto di una holding criminale con sede a Secondigliano e ramificazioni in tutt’Italia e all’estero riuscì a realizzare una struttura tentacolare, che monopolizzò il mercato della vendita delle sostanze stupefacenti al dettaglio nella provincia di Napoli.

I collaboratori di giustizia che ne parlarono, descrissero Raffaele Amato come un boss carismatico, dalla grande esperienza criminale e con notevoli capacità mediatiche. Di lui si occupò la stampa per la prima volta il 27 gennaio 2001, quando gli Operatori della Polizia di Stato lo arrestarono in un albergo a Casandrino, dove, secondo gli Investigatori, si sarebbe dovuto incontrare con dei trafficanti olandesi e tedeschi, per l’acquisto di 6 chili di cocaina proveniente dall’Olanda, nascosti in un ruotino di scorta.

La stima che venne fatta del valore del carico di droga, era di circa 800 milioni di lire. Il Tribunale del riesame, però, lo scarcerò dopo 15 giorni, perché non c’erano le prove, al di là di ogni ragionevole dubbio, che Raffaele Amato fosse in contatto con gli altri soggetti individuati come trafficanti.

Lo scorpione, il simbolo del potere del clan Amato-Pagano

Raffaele Amato decise di segnare, con un proprio simbolo, i panetti di hashish da 250 grammi che importava dal Libano e dall’Afghanistan. Un simbolo, un “brand”commerciale come si sarebbe potuto dire nel campo della pubblicità. L’immagine che scelse Raffaele Amato, fu uno scorpione.

Sotto quel simbolo, il boss diventò il capo incontrastato della holding criminale di Secondigliano e di altri comuni della provincia, come Mugnano di Napoli e non molto tempo dopo, l’incontro con i grandi trafficanti colombiani lo catapultò nel maxi business della cocaina. Dalla Spagna inondava di polvere bianca i ghetti controllati dal clan, con guadagni stratosferici. Si muoveva tra Madrid e Barcellona, senza grossa difficoltà, imparò la lingua e le usanze locali.

Lo scorpione il simbolo del potere del clan Amato-Pagano

Il cartello Amato-Pagano, ormai, non aveva rivali sulla piazza partenopea e lo scorpione iniziò a diventare un simbolo, un segnale di appartenenza che gli affiliati più giovani esibivano con orgoglio sui muscoli o sulle targhe delle auto, accanto ai numeri e alle lettere identificative.

Le vicende giudiziarie de ‘O Spagnolo

Raffaele Amato, domenica 27 febbraio 2005, venne intercettato dagli Operatori dell’Arma dei Carabinieri e dalla Guardia Civil all’entrata del casinò municipale di Barcellona, dopo aver perso 6 mila euro al tavolo di black jack. Era accompagnato da 5 guardaspalle. In carcere, però, Raffaele Amato non restò molto, venne scarcerato per un vizio di forma e a un anno esatto dalla data di arresto, si diede nuovamente alla macchia, continuando a gestire una organizzazione che contava ancora centinaia di uomini stipendiati tra pusher, vedette, killer, fiancheggiatori, custodi e trafficanti. A chi gli dava la caccia, sembrava imprendibile.

Alla fine, domenica 17 aprile 2009, gli Operatori della Squadra Mobile di Napoli lo braccarono, dopo un inseguimento durato cinquanta chilometri, a Malaga. L’estradizione del boss Raffaele Amato impegnò 30 agenti di scorta e un elicottero di appoggio, perché c’era il pericolo di un attentato nei suoi confronti. I magistrati della Dda di Napoli gli contestarono anche gli omicidi risalenti a molti anni prima, che andavano ad inserirsi nella faida di Mugnano.

Cesare Pagano

Il cognato di Raffaele Amato, Cesare Pagano

Cesare Pagano aveva un ruolo strategico, boss, braccio destro, responsabile “militare” e commerciale dell’organizzazione. Quando la faida di Scampia era già finita, Cesare Pagano venne messo in contatto con Salvatore Torino da Salvatore Cipolletta, compare di nozze di Nicola Torino. Cesare Pagano andò nel Quartiere Sanità diverse volte accompagnato da Salvatore Cipolletta e si recò a casa di Salvatore Torino per accordarsi con quest’ultimo per consegne di 25 chili di cocaina al mese, accordo che andò in porto e che fruttò milioni di euro.

Il collaboratore di giustizia Andrea Parolisi, in un interrogatorio tenuto mercoledì 24 gennaio 2007, confermò i rapporti esistenti tra il clan degli “Spagnoli” e il clan Lo Russo, conosciuto anche come “i capitoni”, gruppo di Miano. Cesare Pagano disse che “i capitoni so’ frat a noi” (i Lo Russo sono nostri fratelli) e che, dopo il dicembre 2006, gli accordi prevedevano che gli “scissionisti”, dopo aver fatto arrivare la droga dalla Spagna, settore nel quale erano i numeri uno ed aver rifornito le proprie piazze, potevano dare il rimanente ai “Capitoni”, i quali avrebbero rifornito anche le loro piazze.

Nel 2006, il commercio delle sostanze stupefacenti fece entrare nelle casse del clan Amato-Pagano una cifra stratosferica, tanto che Cesare Pagano un mese diede una quota di 30 mila euro ai suoi capi piazza e a fine “stagione”, ogni piazza portò ad un guadagno netto di 300 mila euro.

La taglia di 150 mila euro sulla testa di Gennaro Marino

Gennaro Marino, considerato dagli inquirenti della Dda di Napoli un altro capo militare degli  “scissionisti”, durante la faida di Secondigliano, anch’egli ex fedelissimo del boss Paolo Di Lauro, si unì a Raffaele Amato, fu uno dei fautori della scissione e sicario nella guerra contro il clan Di Lauro.

Gennaro Marino

Responsabile della piazza di spaccio delle Case celesti, che fruttavano un guadagno per Ciruzzo ’o milionario di almeno 300 milioni di lire a settimana, Gennaro Marino venne coinvolto nel 1993 nelle indagini su un quadruplice omicidio, avvenuto a Melito nell’ambito del conflitto tra il clan Di Lauro e il gruppo di Ernesto Flagiello, per la gestione delle aree di commercio delle sostanze stupefacenti nella zona nord di Napoli. Prosciolto dall’inchiesta, riuscì a evitare anche il primo maxiblitz contro il clan Di Lauro, nel quale, con il boss Paolo Di Lauro in latitanza, si lasciò l’organizzazione nelle mani dei figli Cosimo, Ciro e Marco Di Lauro. Nel corso delle indagini sulla faida, si scoprì che Cosimo Di Lauro aveva messo una taglia di 150 mila euro sulla testa di Gennaro Marino.

Giacomo Migliaccio, il narcotrafficante, luogotenente del clan Amato-Pagano a Mugnano di Napoli

Considerato uno degli esponenti di primo piano degli scissionisti Amato-Pagano, gli vennero attribuiti decine di omicidi. Giacomo Migliaccio, detto “a Femmenella”, venne catturato nel 2005 in una villetta al Parco Italia di Villaricca e venne accusato di associazione camorristica finalizzata agli omicidi, allo spaccio di droga, e alla detenzione illegale di armi. Soprannominato anche “Giacomino ‘a Femmenella”, Migliaccio era stato capozona a Mugnano di Napoli.

Giacomo Migliaccio

Successivamente, entrò nelle fila del clan Di Lauro, dal quale si allontanò, diventando uno dei promotori del gruppo degli Scissionisti. Gli inquirenti accertarono che il boss aveva nell’organizzazione il ruolo di narcotrafficante a livello internazionale, era l’anello di congiunzione tra il clan Amato-Pagano e i più importanti cartelli criminali e fornitori diretti di stupefacenti del mondo. Le fonti investigative lo definirono il luogotenente di Raffaele Amato.

Il blitz e gli arresti eccellenti

Mercoledì 24 novembre 2004, vennero catturati durante un blitz del Commissariato di Scampia, all’interno di un appartamento al tredicesimo piano di un edificio, in via Fratelli Cervi, Cesare Pagano insieme a Gennaro e Raffaele Notturno, Arcangelo Abete e altri affiliati. Quasi tutti i boss e vari capi finirono in manette con l’accusa di possesso illegale d’armi da fuoco e associazione di tipo mafioso e di camorra. Il sospetto degli Investigatori era che quel “summit” dovesse servire a pianificare l’offensiva finale contro il clan Di Lauro, per sterminarli con fucili mitragliatori, bombe a mano e altre armi pesanti ed esplosive.

Dai primordi del cartello, agli arresti dei vertici del clan Amato-Pagano

Mariano Riccio
Rosaria Pagano

Relazione Dia

Secondo la relazione aggiornata Dia, di recente pubblicata dal Ministero degli Interni, il clan Amato-Pagano, anche se a macchia di leopardo, continua ad esercitare il proprio controllo nelle aree della città Napoli, come Secondigliano, ma anche in comuni della provincia, come alcune zone di Arzano, a Melito di Napoli, a Mugnano di Napoli e all’estero, soprattutto in Spagna, Costa del Sol, Galicia e Barcellona, dove l’organizzazione ha forti legami e da dove importa gran parte delle sostanze stupefacenti, e dove si sono trasferiti soggetti apicali del clan.

Diversi contatti e fornitori diretti di sostanze stupefacenti del gruppo Amato-Pagano, sono stati individuati anche a livelli intercontinentali, come in sud America, nord Africa, aree nelle quali si producono enormi quantità di cocaina, hashish e marijuana, aree dalle quali, senza intermediari e quindi senza costi aggiuntivi, il cartello Amato-Pagano importa e traffica i narcotici. In ognuna di queste aree, il clan fa insediare i propri affiliati e referenti di fiducia, con compiti di supervisione militare, amministrazione e contabilità.

Diverse operazioni delle Interforze dello Stato, hanno sventato carichi e ridotto sensibilmente i traffici di stupefacenti gestiti dal clan Amato-Pagano, ma restano notevoli i loro introiti illeciti, riuscendo a trovare sempre nuove strategie per arginare i controlli. Lo Stato italiano, di certo, non lascia terreno a tali traffici illeciti e persiste nella lotta alla criminalità, portando a termine sempre il proprio impegno, con operazioni mirate e sempre nuovi metodi di contrasto e deterrenti.

Mugnano di Napoli piazza

Clan Amato-Pagano oggi

Anche se diversi storici boss del clan Amato-Pagano sono carcere, in seguito ad un ricambio generazionale e fiancheggiatori fedeli che lo sostengono, il gruppo è forte e persiste nel traffico di sostanze stupefacenti grazie ai contatti all’estero, tra Spagna, sudamerica e anche paesi del nordafrica. Le sostanze trattate restano prevalentemente hashish, marjuana, e soprattutto cocaina. Hanno polso in diversi quartieri dove impongono il pagamento delle tangenti ai commercianti e hanno creato società di copertura per garantirsi appalti edili, con finalità di riciclaggio del denaro illecito.

Come organizzazione criminale dimostrano grandi abilità di infiltrazione nelle amministrazioni pubbliche e nelle attività bancarie. Oltre ad avere affiliato nuove e giovani leve, il clan Amato-Pagano detiene ancora il controllo di importanti porzioni o intere piazze di spaccio, come quella di Secondigliano, restando non solo una fazione antagonista, ma manifestando la propria indipendenza negli affari, possedendo una propria rete e confermando il controllo militare sulle proprie aree d’interesse. In diversi comuni della provincia il gruppo permane egemone e il clan più potente di Mugnano di Napoli è il clan Amato-Pagano.

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