I magistrati messicani a lavoro sull’indagine dell’omicidio di Salvatore De Stefano, avvenuto giovedì a Città del Messico, ipotizzano che nel commando c’era un italiano.
Un italiano tra i killer del napoletano ucciso in Messico
Dopo il delitto al ristorante «Bella Donna» a Città del Messico, emergono nuovi particolari sulla vita di De Stefano in Messico. Il napoletano si era trasferito nel 2003, inizialmente ospite di uno zio che si era trasferito lì negli anni 70. Dei suoi affari, che per le autorità messicane erano in parte illeciti, parla la sorella che si è affidata all’avvocato Gennaro Demetrio Paipais. Aveva un negozio, il 35enne, il «Top Tools», a Monterrey, e vendeva macchinari per l’agricoltura, «con certificati e con garanzia».
Rossella De Stefano respinge dunque le ipotesi dei media messicani che invece hanno parlato del 35enne come di uno inserito nel giro delle truffe dei macchinari cinesi, un business nel quale operano molti campani trapiantati in Messico e nel quale sono stati collocati anche Vincenzo Cimmino, Antonio e Raffaele Russo, scomparsi dal Jalisco il 31 gennaio del 2018. Salvatore De Stefano, spiega sua sorella, vendeva generatori elettrici, motozappe, martelli pneumatici. Aveva il doppio passaporto e, secondo la donna, «non aveva mai avuto problemi con nessuno».