La piccola Luisa rischiava di non farcela a causa di una brutta infiammazione scatenata dal Covid-19 ma è stata salvata da un equipe di medici dell’ospedale Santobono di Napoli con una cura sperimentale. A raccontare la sua storia è il direttore dell’Unità operativa di pronto soccorso, Vincenzo Tipo, in un post su Facebook.
La storia di Luisa, salvata al Santobono di Napoli dal Covid
La storia di Luisa inizia quando risulta positiva al Covid insieme alla sua famiglia, ma è fortunatamente asintomatica e si negativizza in fretta. Così riprende la vita di sempre: esce, gioca, si diverte e, racconta il direttore del Pronto soccorso, è di nuovo felice. Una felicità destinata a durare poco. “Dopo circa tre settimane, compare febbre altissima, cefalea, congiuntivite e un violento dolore addominale. Viene portata in un ospedale della sua area di residenza. Ed ecco la diagnosi: peritonite. Da qui il trasferimento in sala operatoria“.
Fortunatamente, “un medico illuminato decide di non operare e trasferirla al Santobono. Non è convinto di quella diagnosi, c’è qualcosa che non quadra“. Quando la piccola arriva al Santobono le sue condizioni sono già gravi: “Esami, radiografie, ecografie, visite specialistiche. Alla fine nessun dubbio: la bambina è affetta da Mis-C, ovvero “sindrome infiammatoria multisistemica correlata al Covid“. Fatta la diagnosi i medici partono subito con le terapie convenzionali ma niente sembra farle effetto.
Una cura sperimentale
“La bimba peggiora – spiega Tipo – decidiamo di aumentare i dosaggi, modifichiamo le cure, associamo più farmaci. Luisa continua a non rispondere, il suo cuore inizia a dare segni di sofferenza: siamo a un passo dalla rianimazione“. Non c’è molto da fare. “Ci presentiamo dalla madre, senza il coraggio di guardarla negli occhi, con un foglio tra le mani. È la richiesta di consenso a una terapia cosiddetta “off label”“. Ovvero l’impiego di farmaci al di fuori delle condizioni autorizzate dagli enti predisposti.
“La madre chiede, vuol sapere che cosa sta accadendo, è preoccupata ma firma, percepisce l’ansia nei nostri gesti. In breve tempo il farmaco arriva in reparto, lo iniettiamo. Intanto si fa sera, torniamo a casa, ma i nostri cellulari restano accesi: ci scambiamo messaggi di continuo. Al mattino seguente siamo tutti lì prestissimo. La collega del turno di notte ci accoglie con un gran sorriso: è sfebbrataaaaa!!!“.
La lunga ripresa
Inizia così una lenta, lentissima ripresa. Luisa ricomincia a mangiare, a interagire con i medici e con la sua famiglia, vuole perfino disegnare. “Passano i giorni e i miglioramenti sono importanti. Fino a quando, passo dopo passo, è arrivato il momento del rientro a casa. Ora è felice, sorride… vuole andare via dall’ospedale e correre ad abbracciare il papà. Restiamo un minuto con la mamma per salutarci.”
“Ci consegna i disegni della bimba: un foglio tutto nero che evidentemente rappresenta lo stato d’animo dei primi giorni. Poi un altro in cui ritrae medici e infermiere e insieme l’arcobaleno. Lo ha fatto quando ha iniziato a sentirsi meglio. Infine il ritorno alla normalità: Luisa disegna lei stessa che gioca. Sfogliamo quel quaderno e gli occhi diventano lucidi.”
Il ritorno a casa
“Troviamo una scusa per andare a fare altro con la speranza di fermare quelle lacrime. La porta del reparto si chiude: Luisa e la madre entrano in macchina. Un ultimo saluto prima di riprendere la nostra normale attività. Neanche il tempo di mettere a posto i documenti di Luisa ed ecco che chiama il 118. Si è alzato in volo un elicottero da un’altra regione. Ci stanno portando Francesco, 12 anni, febbre alta, troponina alle stelle, dolori addominali, già positivo al Covid: un’altra Mis-C, affiliamo le armi.”
“Dal Pronto soccorso intanto sta salendo Tonia, 4 anni, stessa storia. Questo maledetto virus è subdolo e può far male, molto male, adulti e bambini, non guarda in faccia nessuno. L’unica arma per fermarlo è il vaccino. Io lo farò – conclude il medico – per me stesso, per la mia famiglia ma anche per Luisa, Francesco e Tonia”.