Una seconda pistola è stata rinvenuta sotto un’auto parcheggiata nella zona di Napoli dove si è consumato l’omicidio di Arcangelo Correra. Si tratta di un’arma in aggiunta a quella sequestrata nelle prime fasi delle indagini. Lo riporta l’odierna edizione del Mattino. Gli inquirenti continuano ad indagare per chiarire quanto avvenuto.
Omicidio Arcangelo Correra a Napoli: “Seconda pistola sotto auto”
È stata rinvenuta un’altra pistola, la seconda. Era nascosta sotto un’auto parcheggiata nella zona. Si tratta di un’arma in aggiunta a quella sequestrata nelle prime fasi delle indagini. La situazione continua a non essere chiara. Facendo il punto: ci sono due pistole; un colpo che ha ucciso un ragazzo di 18 anni; e un secondo colpo registrato poche ore dopo l’omicidio. Sono questi i dettagli da mettere insieme nell’inchiesta sull’omicidio di Arcangelo Correra, il giovane senza precedenti penali ucciso a metà novembre in piazzetta Sedil Capuano. Una vicenda drammatica, che si arricchisce di nuovi particolari.
Un ragazzo è stato ucciso; il suo amico d’infanzia, Renato Caiafa, è in carcere con l’accusa di omicidio (dolo eventuale o alternativo) e ha 19 anni. Ci sono anche dei testimoni. Inizialmente, facevano parte dello stesso gruppo di amici. Sono cresciuti insieme a “Archy” e a Renato. Un’unica comitiva, una sola banda. Per gli investigatori, una sola paranza. Poi, all’alba di un mese fa, è avvenuta quella sfida. Una sfida, come si direbbe ora.
La dinamica
Renato tiene in mano una pistola e di fronte a lui c’è il suo amico d’infanzia. Tra una battuta e l’altra, scherza dicendo «vuoi vedere che ti sparo?», fino a quando non esplode il colpo che colpisce mortalmente il diciottenne. Poi Arcangelo viene sollevato e caricato a forza su uno scooter, mentre, con la fronte insanguinata, riesce a mormorare parole strazianti: «Renato, non lasciarmi…». Infine, il decesso avviene all’ospedale Pellegrini. È tutto chiaro? Secondo la confessione di Caiafa, si sarebbe trattato di un errore, di un incidente, insomma di un evento imprevedibile. Un colpo partito per caso, senza nemmeno l’intenzione di sparare.
La denuncia
A pochi giorni dagli eventi, il quartiere inizia a parlare. Non accetta la situazione e si solleva. Gli amici di lunga data di Arcangelo e Renato prendono una posizione chiara: non riescono a credere alla versione dell’errore. Attraverso i microfoni della Rai, lanciano un messaggio diretto: «Renato, devi dire la verità… non puoi mentire». Sotto la direzione del procuratore aggiunto Pierpaolo Filippelli, il pm Ciro Capasso avvia un’inchiesta, raccogliendo prove e testimonianze. Si parte dal territorio. In pochi giorni, le scritte che celebravano Luigi Caiafa, il giovane rapinatore ucciso durante un colpo, scompaiono. Luigi era il fratello di Renato e il minorenne era stato colpito a morte da un poliziotto intervenuto per fermare la banda di ragazzi.
Uno è stato ucciso, mentre l’altro è considerato responsabile di un omicidio. Fatto sta che i graffiti che celebravano Caiafa sono scomparsi. In un batter d’occhio, sono stati rimossi. In modo più diretto, ciò che lo Stato non è riuscito a realizzare in quattro anni (dopo l’omicidio di Luigi, avvenuto lungo via Duomo) è stato completato in poche ore da un gruppo di ragazzi, evidentemente ben inseriti nelle dinamiche criminali locali.
Le scritte per Luigi Caiafa
Via le scritte per Luigi Caiafa, che non può essere considerato un mito o un simbolo per i membri della paranza, poiché c’è un’altra brutta storia legata alla morte di Arcangelo. Ma torniamo alle indagini. È stato il pm Capasso a interrogare i due amici del gruppo di Archi e di Renato, quelli che avevano lanciato un appello per dire la verità. Insieme al pm della Procura ordinaria, c’era anche un collega della Procura minorile, dato che uno dei due potenziali testimoni non ha ancora raggiunto la maggiore età.
Due verbali sono rimasti riservati durante un procedimento che è giunto davanti al Riesame. Difeso dall’avvocato penalista napoletano Giuseppe De Gregorio, Renato Caiafa ha cercato di sminuire la situazione, pur esprimendo il suo dolore per la perdita dell’amico d’infanzia. Ha descritto il colpo come partito per errore, ma il contesto attuale si complica notevolmente. Durante la sua confessione, Caiafa jr ha ricordato di aver maneggiato l’arma senza alcuna intenzione di premere il grilletto. Tuttavia, gli inquirenti osservano che si trattava di una pistola carica, con un caricatore modificato, un dettaglio noto a tutti i membri del gruppo. Questo è sufficiente per indurre gli inquirenti a considerare diverse ipotesi di accusa: da omicidio volontario con dolo eventuale a omicidio volontario con dolo alternativo. In altre parole, se punti un’arma carica contro il volto di qualcuno, accetti anche la possibilità di ucciderlo.