NAPOLI. Inutile essere riconosciuti patrimonio immateriale dall’Unesco se poi qualsiasi cosa può essere venduta come tale. E’ questo il senso della protesta degli utenti e dei napoletani nei confronti del post pubblicato da Galbani sulla pagina Facebook aziendale. Cavalcando l’onda del successo ottenuto dall’arte dei pizzaioli napoletani, ufficialmente riconosciuta come patrimonio dell’umanità dall’Unesco, Galbani ha cercato di attirare così i potenziali clienti: «Da oggi abbiamo un motivo in più per goderci una buona pizza! Celebrate insieme a noi questo filante patrimonio dell’umanità».
Migliaia di interazioni, quasi 300 condivisioni e grande diffusione dell’intervento di Galbani sul web. Molto probabilmente, tra coloro che hanno apprezzato, non ci sarà nessun napoletano così come chiunque abbia assaggiato la pizza napoletana non potrà mai approvare un paragone di questo tipo.
Certo, la mossa di marketing da parte dell’azienda mira anche a suscitare la discussione, nel bene e nel male. Tuttavia, non mancano i commenti negativi che vanno ben al di là di quelli lasciati su Facebook.
A partire da Gino Sorbillo, uno dei grandi maestri dell’arte della pizza, che spiega: «Non abbiamo alcun problema con l’industria della pizza surgelata e anzi ne abbiamo anche difeso l’insediamento a Benevento. Sarebbe difficile però immaginare la sostituzione di un pizzaiuolo napoletano con una catena industrializzata automatica di lavorazione del prodotto».
L’Associazione Verace Pizza Napoletana si prepara a diffidare l’aziendA: «Proprio così – affermano il presidente Antonio Pace e il vice Massimo Di Porzio – L’azienda ritiene che il post sia volto a congratularsi con i pizzaiuoli, ma l’associazione con il logo della Galbani, e ancor di più la foto della pizza surgerlata, generano una confusione che potrebbe portare anche alla rimozione del riconoscimento, che non può legarsi a finalità commerciali. Con la diffida del post ingannevole, offensivo e pericoloso, di cui si occuperà il legale Angelo Pisano, valuteremo anche la possibilità di chiedere i danni d’immagine».