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Antonio scomparso da otto giorni: “È vittima di lupara bianca”

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Potrebbe essere coinvolto in un caso di lupara bianca il ragazzo scomparso da Caivano lo scorso 4 ottobre. Dal pomeriggio di quel giorno non si hanno più notizie del 22enne Antonio Natale. Uscendo da casa, aveva detto che si sarebbe recato a Napoli per acquistare dei capi firmati da Gucci come riportato dall’edizione odierna del quotidiano Il Mattino.

Ragazzo scomparso a Caivano, possibile caso di lupara bianca

Nel Paro Verde di Caivano si parla, dunque, di lupara bianca. Sul caso indagano i carabinieri della locale tenenza, dopo che il 5 ottobre la mamma di Antonio ha presentato la denuncia di scomparsa. Nei giorni scorsi, poi, i disperati appelli dei fratelli che si sono rivolti a Chi l’ha visto? e della mamma che in lacrime ha detto: “La camorra mi ridia mio figlio, vivo o morto che sia. Ho denunciato tutto e tutti. Si sappia ho fatto anche i nomi”.

La ricostruzione

Gli unici a parlare sono stati il fratello Giuseppe e la sorella Filomena. Il primo vive a Roma, lei in Germania. “Antonio è uscito di casa insieme a un amico. Un tale Domenico. Ha detto che andava a Napoli a comprare dei vestiti nel negozio Gucci ed è vero perché i due sono stati ripresi dalle telecamere di sorveglianza. Quel giorno mia madre l’ha sentito per l’ultima volta verso le sette di sera. Antonio le ha detto che era ancora con questo Domenico. Mia madre ha percepito nel tono di voce di Antonio una certa preoccupazione”.

Cos’è e cosa vuol dire lupara bianca

Lupara bianca è una locuzione di origine giornalistica utilizzata in Italia per indicare un omicidio di mafia che prevede l’occultamento del corpo di una persona assassinata. Fa riferimento alla lupara in quanto arma da fuoco tradizionalmente associata ad organizzazioni criminali di stampo mafioso. Viene in particolare utilizzato per indicare tale modalità di eliminazione da parte di Cosa Nostra.

Sistemi propri dell’eliminazione da ascriversi alla “lupara bianca” sono il seppellire i corpi nella campagna, in luoghi poco frequentati per renderne difficile il ritrovamento, oppure di gettare il cadavere in un pilastro di edifici in costruzione e coprendolo con una colata di calcestruzzo o di scioglierlo nell’acido sbarazzandosi successivamente dei resti (questa pratica era principalmente usata dai clan dei Corleonesi di Salvatore Riina), oppure di appesantirlo per gettarlo sul fondo di paludi, acquitrini o in alto mare

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