Dichiarazioni spontanee in aula da parte di Elpidio D’Ambra, assassino di Rosa Alfieri, la ragazza di Grumo Nevano uccisa strangolata con una federa da cuscino dopo un violento corpo a corpo nel corso del quale la ragazza aveva resistito lottando con tutte le sue forze a un tentativo di stupro come riportato dall’edizione odierna del quotidiano Il Mattino.
Rosa Alfieri uccisa con una federa, il racconto di Elpidio D’Ambra
In aula, D’Ambra ha raccontato: “Ho ucciso Rosa, ma non ero io. Quel giorno avevo un mostro nella mia testa. E voci che mi dicevano: devi uccidere. Colpa della droga, perché sono un tossicodipendente all’ultimo stadio. Per questo chiedo scusa alla famiglia di Rosa e anche a Dio”.
Queste le parole pronunciate dal 31enne reo confesso nell’aula 116 del Tribunale di Napoli, all’avvio della terza udienza del processo in corso davanti alla corte della seconda sezione di corte di assise di Napoli. Quando D’Ambra ha parlato, nell’aula è calato il silenzio: le sue dichiarazioni spontanee sono state un colpo a sorpresa, ma è stato nel corso dell’udienza che hanno trovato il loro significato più vero, man mano che l’imputato andava avanti con la sua testimonianza.
Il 31enne ha raccontato alla Corte di essersi consegnato spontaneamente ai due agenti di polizia nella sala d’attesa del pronto soccorso dell’ospedale San Paolo di Fuorigrotta, dove si era recato in preda a un malore causato dal micidiale mix di crack e cocaina. Un mix di droga assunto “per dimenticare l’uccisione di Rosa”.
La reazione del padre
“Parole inaccettabili, prive di ogni vero fondamento di pentimento, dette solo per evitare che la sua posizione processuale si avvii senza ostacoli alla condanna al carcere a vita” ha commentato a caldo Vincenzo Alfieri, padre della vittima, presente in aula già dalla prima udienza.
“Delle sue scuse non sappiamo che farcene – ha aggiunto il papà di Rosa – ma lui deve sapere che per quello che di malvagio, bestiale, inumano ha saputo fare togliendo la vita a mia figlia, ci ha consegnato al resto della nostra vita, la mia, di mia moglie e degli altri due fratelli di Rosa, a un dolore così insopportabile che toglie il respiro e la voglia di andare avanti. Ecco continua Vincenzo Alfieri da quel giorno di febbraio siamo diventati come morti che cammino, che vagano in un deserto nero di sofferenza. Senza sosta”.