Quali sono i clan di camorra più potenti della zona di Somma Vesuviana? L’organizzazione criminale più potente del mondo è la camorra. A dichiararlo è la Dia, il Reparto di Investigazione di massimo livello, la cui relazione 2023 aggiornata è stata di recente pubblicata dal Ministero dell’Interno. Le indagini svolte su oltre 200 famiglie di camorra hanno permesso di identificare migliaia di affiliati operanti in Campania, in altre regioni italiane e nazioni. Inoltre, la camorra, presente in diversi continenti, fattura annualmente centinaia di migliaia di milioni di euro. Il resoconto che segue riguarda il più potente clan di Somma Vesuviana, il clan D’Avino
Camorra: il clan più potente della zona di Somma Vesuviana, il clan D’Avino , la storia
Il clan D’avino venne fondato tra gli anni ‘70 e gli anni ‘80 da Fiore D’avino. Il gruppo operava a Somma Vesuviana, dove la famiglia D’Avino possedeva anche un negozio. Successivamente, a Fiore D’avino, al suo fianco, si aggiunse anche suo fratello minore, Luigi D’avino, che nel tempo crebbe e raggiunse ruoli sempre più importanti all’interno dell’organizzazione. Agli inizi, prima di configurarsi come un clan con la propria autonomia, i D’avino con a capo Fiore D’Avino e i Russo, dell’omonimo clan, di San Paolo Bel Sito, con a capo Pasquale Russo, insieme a suo fratello Salvatore Russo, luogotenente e sicario del gruppo, erano una compagine del clan di Mario Fabbrocino, detto ‘o Graunaro, potente boss del clan Fabbrocino e “pungiuto”, ovvero, affiliato a Cosa nostra in Campania, tramite la famiglia Zaza di Ponticelli e la famiglia Alfieri.
Venerdì 8 dicembre 1978 il potente boss Mario Fabbrocino, detto ‘o Gravunaro, contribuì alla nascita della cosiddetta Onorata fratellanza, o Fratellanza napoletana. Mario Fabbrocino, successivamente si divise da Michele Zaza, referente diretto di Cosa nostra a Napoli, e insieme ai fratelli Fiore e Luigi D’Avino, ai fratelli Pasquale e Salvatore Russo, costituì un clan autonomo che controllava un vasto territorio tra il nolano e il Vesuvio, nei comuni di San Gennaro Vesuviano, San Giuseppe Vesuviano, Ottaviano, San Gennarello di Ottaviano, Palma Campania e parte di Terzigno
Poi, un primo accenno di separazione ci fu quando ‘o Graunaro mirava ad espandersi nel territorio stabiese e fece presente i suoi propositi ai fratelli D’Avino e Russo, ma questi ultimi scelsero di non seguire Mario Fabbrocino e si aggregarono a Carmine Alfieri, con il quale Mario Fabbrocino aveva già sancito un patto di non belligeranza poiché ambedue avevano lo stesso fine, ossia, quello di annientare Raffaele Cutolo, detto ‘o Professore e la sua Nco.
Sia Carmine Alfieri che Mario Fabbrocino, per mano della Nco e per volere de ‘o Professore, subirono la perdita di un fratello, Francesco Fabbrocino, ucciso nell’ottobre del 1980 e Salvatore Alfieri, ucciso nel dicembre del 1981. Mario Fabbrocino passò i dieci anni successivi la morte del fratello a covare vendetta, una vendetta che realizzò nel 1990, facendo uccidere Roberto Cutolo, figlio de ‘o Professore di Ottaviano, a Tradate, luogo dove era confinato in soggiorno obbligato, con il supporto della ‘ndrangheta calabrese, che in quegli anni, in Lombardia, stava monopolizzando il traffico e lo spaccio delle sostanze stupefacenti. Per l’omicidio di Roberto Cutolo, Mario Fabbrocino venne condannato all’ergastolo.
Indipendenti, ma alleati, il motivo che vedeva puntualmente insieme i clan D’avino, Russo, Zaza, Alfieri, Fabbrocino e diversi altri potenti
Il motivo che vedeva puntualmente alleati i clan D’avino, Russo, Zaza, Alfieri, Fabbrocino e diversi altri potenti, era il comune nemico, Raffaele Cutolo. Nonostante molti clan di Napoli, che delle province e clan anche affiliati a Cosa nostra presenti sul territorio campano, fossero indipendenti, o avessero idee e interessi diversi tra di loro, finivano sempre per allearsi per combattere la Nco de ‘o Professore. Proprio per contrastare la Nco, un potentissimo esercito, formato da migliaia di affiliati “soldato”, Mario Fabbrocino, insieme ai clan D’Avino, Russo, Zaza, Alfieri, Giuliano ed altri importanti gruppi, costituirono la Fratellanza napoletana. L’alleanza aveva lo scopo di fare muro alla ferma e radicale “ideologia” di Raffaele Cutolo, che voleva fuori dalla Campania, “i marsigliesi”, Cosa nostra e chiunque non si alleasse con lui. Infatti. è noto che Raffaele Cutolo voleva unificare tutta la camorra campana e non solo, sotto un’unica organizzazione, la Nco, e sotto il suo esclusivo comando, e per tali motivi ‘o Professore pronunciava sempre la frase:
(…) Chi non è con me, è automaticamente contro di me! (…).
Alla fine, la Nco venne sopraffatta e sconfitta, ma quella guerra fece contare migliaia di morti tra vittime innocenti e “soldati” dei clan, che lasciarono sull’asfalto delle città di tutta la nazione, tanto sangue indelebile, con il quale è stato scritto uno dei periodi più bui e drammatici della storia della camorra e della storia dell’Italia intera.
Perché i rapporti tra Mario Fabbrocino e la famiglia Zaza si incrinarono
Mario Fabbrocino capoclan, ma anche affiliato a Cosa nostra, nei primi tempi aveva un buon rapporto con Cutolo, poi Cutolo creò la Nco e i rapporti si ruppero e divennero acerrimi nemici. Mario Fabbrocino era legato sia alla famiglia Zaza che a quella degli Alfieri, entrambe rappresentanti Cosa nostra sul suolo campano. Ma quando a Napoli, dalla famiglia Zaza, venne nominato sottocapo di zona Pasquale Russo di San Paolo Bel Sito, i rapporti tra Mario Fabbrocino e la famiglia Zaza si incrinarono, perché essendo Mario Fabbrocino più anziano nell’ambiente malavitoso ed essendo stato “pungiuto”, ovvero affiliato a Cosa nostra, molto tempo prima, riteneva che quel ruolo spettasse a lui.
Poi, nel tempo, i rapporti tra Mario Fabbrocino e il clan Zaza si alternarono tra alti e bassi, all’inizio perchè Mario Fabbrocino a seguito di un attentato perpetrato nei suoi confronti a Pomigliano D’Arco, ma dal quale sopravvisse, venne comunque arrestato. Poi, successivamente al suo rilascio, un po’ per risentimento per la “promozione” di Pasquale Russo e un po’ per il fatto di voler creare un proprio cartello con alleati di sua scelta, ‘o Graunaro prima realizzò il suo progetto di espansione territoriale e aumento di potere ed infine si defilò dal gruppo Zaza con accordi di non belligeranza.
L’indipendenza del clan D’Avino a Somma Vesuviana e l’unificazione con il clan Russo di San Paolo Bel Sito
I rapporti tra il clan D’Avino e Mario Fabbrocino erano sempre stati buoni fin quando, il boss, ‘o Graunaro, non decretò l’omicidio di un prete a Somma Vesuviana senza consultarsi o almeno mettere al corrente il clan D’Avino dell’operazione. Questo gesto venne visto dal clan D’Avino come un’offesa, una mancanza di rispetto e fu allora che il clan D’Avino si allontanò da Mario Fabbrocino e insieme al clan Russo di San Paolo Bel Sito di Nola, gettarono le basi per diventare come un unico clan e iniziarono un rapporto costante con il clan Alfieri. Il clan D’avino fece di Somma Vesuviana la propria roccaforte e il clan Russo, come da sempre, continuava ad esercitare il controllo a San Paolo Bel Sito.
La decimazione del clan Fabbrocino
Mario Fabbrocino è morto nel 2019 in carcere e il comando del clan, ormai decimato dagli arresti delle figure apicali e gli interventi di contrasto delle Forze Armate dello Stato, è passato nelle mani dell’omonimo boss Mario Fabbrocino, detto “Maruzzo”, cugino e cognato de ‘o Graunaro, in quanto il defunto boss aveva sposato la sorella di “Maruzzo”.
Il clan D’Avino, la crescita, la scelta dei boss di diventare collaboratori di giustizia e gli eredi al comando a Somma Vesuviana
Dagli ‘80 in poi il clan D’avino crebbe alleandosi con diversi altri gruppi, tra i quali anche il clan Anastasio di Sant’Anastasia, ma in seguito i rapporti con la famiglia Anastasio furono altalenanti e andarono a scemare. Il gruppo D’avino contava su diversi affiliati con i quali aveva legami di parentela, o di amicizia fraterna. Poi, a seguito di diversi arresti, prima il capoclan Fiore D’Avino, poi suo fratello Luigi D’Avino, scelsero di collaborare con la giustizia.
Giovanni D’Avino, Francesco D’Avino, l’operazione “Blusky”, l’ipotesi di voti ambigui nelle elezioni comunali a Somma Vesuviana e la decisione del Tribunale del riesame
Appartenente al clan D’Avino quasi dalla fondazione, Giovanni D’Avino, detto ‘o Bersagliere, successivamente agli arresti dei boss del gruppo, i fratelli Fiore e Luigi D’Avino, suoi stretti parenti, ereditò il comando dell’organizzazione. Francesco D’Avino, chiamato “Franco”, anch’egli appartenente al clan e fratello del nuovo boss Giovanni D’Avino, venne arrestato nel corso dell’operazione “Blusky”, che vide in manette tra Somma Vesuviana e Sant’Anastasia 21 persone accusate, a vario titolo, di associazione a delinquere di tipo camorristico, tentato omicidio, spaccio di stupefacenti ed estorsione aggravata dal metodo mafioso. La sua figura di Franco D’Avino era salita alla ribalta della cronaca per la candidatura della figlia alle elezioni comunali del 2013, candidatura per la quale avrebbe chiesto proprio l’aiuto e i voti della famiglia, una famiglia coinvolta negli arresti, oltre al fratello Giovanni D’Avino, considerato anche dagli inquirenti il capo dell’omonimo clan, erano stati coinvolti anche due nipoti.
Il tribunale del Riesame, venne convinto dalla linea difensiva degli avvocati di Franco D’Avino, decidendo di far decadere le esigenze cautelari. Franco D’Avino venne scarcerato e poté tornare a casa. L’Avvocato Di Sarno fece concentrare l’attenzione su alcuni aspetti dell’ambigua vicenda elettorale facendo presente che la candidatura della figlia di Francesco D’Avino fu una iniziativa personale, aderendo alla richiesta avanzata dal compianto candidato a sindaco Dr. Ferdinando Allocca, al solo fine di dare un minimo di visibilità alla figlia Concetta D’Avino, chiamata “Titti”, neolaureata.
L’Avvocato Di Sarno precisò che quella candidatura non comprendeva nessuna dinamica “misteriosa”, alla quale, invece, si voleva far pensare, tant’è che raccolse pochissime preferenze, non beneficiando di alcun particolare aiuto. Infine, e non per minore importanza, l’annullamento della misura cautelare si ebbe per la carenza dei gravi indizi di colpevolezza a carico dell’indagato Franco D’Avino e non solo, evidentemente per l’assenza di esigenze cautelari da tutelare. Quel provvedimento, ovviamente, lasciava ben sperare per il processo che, forse, Francesco D’Avino doveva affrontare. Avendo piena fiducia nella Magistratura, l’Avvocato Di Sarno, auspicava, che il prima possibile si sarebbe fatta piena luce sull’estraneità ad ogni coinvolgimento di Franco D’Avino in attività che non gli erano mai appartenute e che anche per gli altri indagati dovevano essere accertate in sede dibattimentale.
Relazione Dia
Secondo la relazione aggiornata della Dia il clan egemone nelle zone del vesuviano permane quello dei Fabbrocino. Ma addentrandosi nei particolari delle indagini svolte, si evince, anche dalla mappa dei gruppi criminali e le zone di loro interesse disegnata, che a Somma Vesuviana si è venuto a formare un cartello, il clan D’Avino-D’Atri-De Bernardo.
L’accorpamento di diversi gruppi è il risultato di una esigenza, non solo di “sopravvivenza”, ma è anche aspirazione di espansione, di controllo e potere. Soprattutto nelle zone della periferia di Somma Vesuviana, zone di degrado, dove le nuove generazioni crescono già plasmate dai film e le serie TV con protagonisti boss di camorra e dove la realtà non si discosta troppo dalla finzione cinematografica. Le piazze di spaccio note e di riferimento per le provincie del napoletano, site nel Parco Fiordaliso e San Sossio, sono attualmente attive e a pieno regime, con fatturati illeciti di migliaia di milioni di euro.
Tali piazze di spaccio offrono la possibilità h24 di acquistare sostanze stupefacenti come cocaina, eroina, hashish, marijuana e altre droghe sintetiche, sia al dettaglio, che all’ingrosso, e in modi semplici e rapidi. Le autorità, le Interforze dello Stato contrastano costantemente, attraverso controlli e operazioni mirate, lo spaccio e la crescita dei clan di camorra che operano su queste piazze. Troppo spesso, però, si rivela una lotta impari, sia per i mezzi a disposizione delle Forze dell’Ordine locali, sia per i continui mutamenti strategici attuati dalle organizzazioni criminali come D’Avino-D’Atri-De Bernardo, completi padroni di ogni invisibile mezzo e via di fuga delle strutture da loro utilizzate per scopi illeciti. Lo stato non getta la spugna e persiste nella lotta al crimine organizzato a Somma Vesuviana, riscuotendo comunque dei risultati, seguendo la linea che nessun soggetto, o “sistema” malavitoso può restare impunito per sempre.
Il clan D’Avino oggi
Avendo scelto di fare alleanze e diventare un cartello, il clan D’Avino, nel tempo, attraverso storici capi e nuovi ras e nuove leve, e fondendosi con i gruppi D’Atri e De Bernardo, resta egemone a Somma Vesuviana. Lo spaccio di sostanze stupefacenti, il traffico illecito di armi, il racket ad attività di ristorazioni, la manipolazione delle gare d’appalto dei lavori pubblici, lo scambio di voti e imposizioni dei candidati, o tecnici nelle amministrazioni pubbliche, l’imposizione alle aziende edili delle merci e dei mezzi da lavoro da acquistare nei cantieri, nonché degli operai da assumere, il commercio di abbigliamento con materiali scadenti attraverso negozi intestati a prestanomi per il riciclaggio del denaro illecito, la gestione del gioco d’azzardo e l’imposizione di slot machine “truccate” a terze attività, permangono i metodi di maggiore introito di denaro e di controllo delle attività commerciali e amministrazioni pubbliche.
Questo cartello è preparato militarmente e può contare su “sicari” esperti, non mancano mai messaggi di intimidazione a chi non vuole collaborare e sono stati tanti anche gli agguati eseguiti con esplosivi, non solo per fare rumore e risultare eclatanti, ma per dimostrare ferocia, per spargere sangue e creare seri danni. Il clan D’Avino-D’Atri-De Bernardo è il clan più potente di Somma Vesuviana.