ACERRA. Il terremoto del Belice è uno degli eventi più drammatici che ha colpito il nostro Paese. La notte tra il 14 e il 15 gennaio del 1968 una forte scossa di magnitudo 6.4 fece tremare la terra in questa valle siciliana compresa fra Trapani, Agrigento e Palermo.
Tra le personalità maggiormente legate al ricordo del tragico evento sismico, c’è anche don Antonio Riboldi, vescovo emerito di Acerra, che si impegnò duramente per aiutare la popolazione afflitta dalle conseguenze del terremoto.
In occasione del 50esimo anniversario, L’Occhio di Napoli vi ripropone le parole che anni dopo don Riboldi, scomparso lo scorso 12 dicembre, pronunciò parlando del terremoto del Belice.
Parola a don Riboldi
«Non è facile cancellare dalla memoria il grande dramma del terremoto nel Belice ed in modo particolare a Santa Ninfa. Ricordo che dopo le scosse della domenica, a sera, si credeva che tutto fosse finito, ma noi Padri Rosminiani, per precauzione avevamo messo delle brande al piano terra della canonica. Così il terremoto lo subimmo all’interno della casa canonica, che resistette, perché era stata costruita qualche anno prima antisismica.
Ricordo quella notte. In pigiama uscimmo tutti e tre sacerdoti, percorrendo le strade piene di calcinacci, cercando di aiutare chi fosse stato colto in casa. La mamma si era trasferita ai confini di Santa Ninfa, all’aperto. Non nascondo la mia grande tristezza quando vidi la bella chiesa madre ridotta ad un mucchio di calcinacci. Nonostante questo ci si preoccupò di recuperare il Santissimo, rimasto sotto le macerie. Con un atto davvero irresponsabile riuscimmo ad arrivare al presbiterio e con fatica recuperammo la pisside, anche lei ammaccata… come a dirci che anche Gesù era vittima del terremoto.
Il dopo è stata una storia di continui richiami alle autorità, perché si affrettassero nella ricostruzione. Inventammo tante strategie, non ultima quella del fare portavoce dei nostri diritti 50 bambini delle scuole elementari e medie. Fu un urlo che scosse l’opinione pubblica. Credo che quei bambini di allora, oggi certamente adulti, ricorderanno la “favola dei bambini a Roma dalle massime autorità”.
Quel tempo del terremoto e del dopo terremoto, auguro rimanga sempre nella memoria dei cari fedeli di Santa Ninfa: fu una lezione pratica di sofferenza, accolta con dolore, ma grande compostezza. Ma fu anche un’esperienza di grande dignità e forza, nel chiedere la ricostruzione, e di tanti esempi di solidarietà. È la storia di uomini e donne che hanno scritto una pagina stupenda, che non deve mai essere dimenticata. In quella pagina hanno lasciato una prova di coraggio, pazienza e perseveranza. Faccio gli auguri che sia sempre così».