L’analisi delle risultanze giudiziarierestituisce un quadro iconico della ‘ndrangheta: storicamente basata sulle ‘ndrine, organismi a base familiare, compatti al loro interno, tendenzialmente refrattari al fenomeno del pentitismo e quindi in grado di fare efficacemente “sistema” sia nelle aree d’origine che al di fuori.
L’organizzazione, articolata su più livelli secondo un modello verticistico-unitario, fortemente proiettato verso la gestione di tutte le attività economico-finanziarie più appetibili, mantiene intatta la propria supremazia, nel traffico degli stupefacenti, non solo a livello nazionale, interloquendo direttamente con i più agguerriti “cartelli” della droga del mondo.
La ‘ndrangheta calabrese
In tale contesto, le evidenze investigative continuano a dar conto della sussistenza dei riti di affiliazione, che non costituiscono mai né un retaggio del passato né una nota di colore, in quanto tuttora necessari per definire appartenenza e gerarchie interne, per rafforzare il senso di identità e per dare “riconoscibilità” all’esterno, anche in contesti extraregionali e persino internazionali.
Anche la presenza delle donne nell’ambito delle cosche, talvolta come vittime, necessita di un approfondimento ad hoc: per quanto meno rilevante rispetto ad altre matrici criminali, come la camorra, ne va comunque stigmatizzato il ruolo nella gestione delle attività criminali di talune ‘ndrine, così come emerso nell’ambito dell’operazione “Black Widows” conclusa nel mese di aprile a Catanzaro.
Sul fronte imprenditoriale, le riconosciute potenzialità criminogene della ‘ndrangheta, proiettata verso ambiti delinquenziali sempre più raffinati, nel contaminare pericolosamente l’economia legale, alterano le condizioni di libero mercato con il monopolio di interi settori, da quello edilizio, funzionale all’accaparramento di importanti appalti pubblici, a quello immobiliare o delle concessioni dei giochi, così come chiaramente emerso dall’inchiesta “Monopoli” conclusa nel mese di aprile con il sequestro di società, unità immobiliari e terreni, per un valore complessivo pari a circa 50 milioni di euro, dislocati tra Reggio Calabria, Roma, Milano e Messina.
In proposito, uno spaccato analitico molto interessante viene dalla lettura delle innumerevoli interdittive antimafia, emesse dalle Prefetture-UTG calabresi ex artt. 91 e 100 del Decreto Legislativo n. 159/2011 , uno strumento fondamentale per contrastare l’inserimento delle organizzazioni criminali nei rapporti economici tra Pubblica Amministrazione e privati.
Ad essere considerate non affidabili sono risultate, nel semestre, società attive nei più svariati settori merceologici: edilizia, movimento terra, produzione e fornitura di calcestruzzo, noli a freddo o a caldo di macchinari, autotrasporti, impiantistica, trasporto e smaltimento rifiuti, servizi energetici da fonti rinnovabili, sale gioco e scommesse online, lavori boschivi e di trasformazione del legno, settore ittico ed agricolo, commercio import-export di veicoli, lavanderie industriali, catering e ristorazione, forniture per centri di accoglienza migranti, consorzi per la valorizzazione e la tutela di prodotti locali (come i vini DOC), tabaccherie ed altro ancora.
Le infiltrazioni della ‘ndrangheta nell’economia legale sono consistenti anche nel nord Italia. Ciò si desume anche dalle tante interdittive antimafia rilasciate nel nord del Paese per società che operano nel settore edilizio, del trasporto e smaltimento rifiuti, dell’autotrasporto e della ristorazione. Va evidenziato, altresì, come la ricerca da parte delle cosche di imprenditori prestanome, necessari per l’aggiudicazione degli appalti pubblici, prescinda dalla loro area di origine e dal contesto geo-criminale in cui insistono le sedi legali delle società.
Infatti, nell’ambito dell’inchiesta “Stige”, conclusa nel mese di gennaio dalla DDA di Catanzaro, una delle figure imprenditoriali di riferimento delle cosche crotonesi è risultato essere un imprenditore edile casertano, titolare di alcune società con sede legale nella provincia di Caserta (territorio notoriamente sotto l’influenza del clan dei CASALESI) interessate, sempre nel semestre, da provvedimenti interdittivi antimafia emessi dal Prefetto di Caserta. Allo stesso modo, è utile menzionare un’altra interdittiva emessa nel semestre, questa volta dalla Prefettura di Palermo, che ha riguardato una ditta con sede legale nella provincia, avente per attività noli sia a freddo che a caldo, estrazione, fornitura e trasporto di materiali inerti e partecipe del “cartello” di imprese di riferimento della cosca PIROMALLI di Gioia Tauro (RC) scardinato con l’operazione “Cumbertazione-Cinque Lustri” conclusa nel gennaio 2017 dalla DDA di Reggio Calabria.
Questa opera di condizionamento degli appalti produce inevitabilmente riflessi anche sul buon andamento degli Enti Locali, come confermato dallo scioglimento, nel semestre, di ben 7 Consigli Comunali calabresi, ai sensi dell’art. 143 del TUOEL, spesso consequenziale alla conclusione di importanti attività investigative che continuano a dare conto delle collusioni tra i sodalizi e gli apparati politico-amministrativi locali, finalizzate alla acquisizione delle commesse pubbliche. Si tratta, nell’ordine, delle Amministrazioni comunali di:
- Cirò Marina (KR) sciolta con D.P.R. del 19 gennaio 2018, a seguito dell’operazione “Stige”, conclusa il 9 gennaio precedente;
- Scilla (RC) sciolta con D.P.R. del 22 marzo 2018;
- Strongoli (KR) sciolta con D.R.P. del 20 aprile 2018, anch’essa a seguito della sopra citata operazione “Stige”;
- Limbadi (VV) sciolta con D.P.R. del 27 aprile 2018;
- Platì (RC) sciolta con D.P.R. del 27 aprile 2018;
- San Gregorio d’Ippona (VV) sciolta con D.P.R. del 11 maggio 2018, di seguito all’operazione “Stammer”, conclusa il 24 gennaio 2017;
- Briatico (VV) sciolta con D.P.R. del 11 maggio 2018, di seguito all’operazione “Costa Pulita”, conclusa il 20 aprile 2016.
L’area grigia, che all’occorrenza si rende disponibile ad aderire alle istanze criminali delle cosche è costituita, inoltre, stando a quanto emerge dalle inchieste giudiziarie degli ultimi anni, anche da elementi operanti in ambito imprenditoriale, bancario e sanitario.
L’azione criminale delle cosche non manca, inoltre, di manifestarsi anche attraverso la pianificazione di atti intimidatori in danno di esponenti delle Forze dell’Ordine – come emerso nell’ambito delle operazioni “Nemea” (marzo 2018 – DDA di Catanzaro), “Zona Franca” (maggio 2018-DDA di Catanzaro) e “Family Gang” (giugno 2018- DDA di Reggio Calabria). Il modello organizzativo sinora tracciato continua ad essere replicato, oltre che in Calabria, anche in altre aree nel Nord Italia ed all’estero, con proiezioni operative in Germania, in Svizzera, Spagna, Francia, Olanda e nell’Est Europa, nonché nei continenti americano (con particolare riferimento al Canada) ed australiano.
Contesti, quest’ultimi, dove si sono, nel tempo, stabilmente insediati numerosi affiliati, incardinati in locali che, seppur dotati di una certa autonomia, continuano a dar conto al comando strategico reggino. Si tratta di una strategia espansionistica finalizzata innanzitutto a riciclare e reimpiegare i capitali illeciti, utilizzando tecniche di occultamento sempre più sofisticate, frutto principalmente del traffico internazionale di stupefacenti e delle estorsioni.
Un quadro di azione complesso che richiede un profilo tecnico – investigativo e di analisi sempre più elevato, in grado di intercettare modus operandi in continua trasformazione. Una tangibile testimonianza di come la DIA e le Forze di polizia spingano proprio in tal senso viene dalle già menzionate operazioni “Stige” e “Martingala-Vello d’oro”, coordinate, la prima dalla DDA di Catanzaro, la seconda dalle DDA di Reggio Calabria e Firenze, di cui si offriranno maggiori dettagli nel corso dei paragrafi seguenti. Le direttrici dell’azione degli investigatori e degli analisti dovranno svilupparsi ulteriormente verso l’aggressione ai patrimoni illeciti attraverso l’irrogazione di provvedimenti ablativi da porsi in essere sia attraverso le sinergiche attività proprie della DIA che delle singole Forze di polizia.
Ulteriore ed imprescindibile attività per una efficace azione di contrasto alla ‘ndrangheta è la ricerca e cattura dei latitanti appartenenti al sodalizio criminoso in argomento. Al riguardo, stante la consolidata proiezione estera delle cosche, si rende sempre più necessaria un’efficace sinergia e cooperazione tra le Forze di Polizie italiane ed estere.
Prova ne è l’arresto di due latitanti, appartenenti alla cosca GALLICO di Palmi, in Germania: uno a Monaco di Baviera, l’altro a Saarbrücken. Un terzo latitante, legato ai sanlucoti PELLE-Vancheddu, è stato catturato al valico stradale del Brennero mentre cercava di entrare in Italia; anch’egli era partito dalla Germania. Un ulteriore arresto è stato eseguito nei confronti di un affiliato alla cosca PESCE di Rosarno rintracciato in Romania. Il grafico che segue evidenzia i reati sintomatici di criminalità organizzata registrati in Calabria nel primo semestre del 2018:
[titolo_paragrafo]La ‘ndrangheta a Reggio Calabria[/titolo_paragrafo]
Le evidenze giudiziarie e di analisi confermano una ripartizione delle aree di influenza delle consorterie reggine come di seguito elencate: il “mandamento centro”, che ricomprende la città di Reggio Calabria e le zone ad essa limitrofe; il “mandamento tirrenico”, che si estende sull’omonima zona tirrenica, la c.d. “Piana”; il “mandamento jonico”, che comprende la fascia jonica, la c.d. “Montagna”.
Tale tripartizione trova un punto di convergenza unitario in un organo collegiale, definito Provincia o Crimine.
Mandamento CENTRO
Nell’area in questione si conferma la forte presenza delle cosche LIBRI, TEGANO, CONDELLO e DE STEFANO. Quanto sopra trova, da ultimo, un ulteriore riscontro negli sviluppi del processo “Gotha” che ha visto, il 1° marzo, la condanna di 25 soggetti, tra i quali un avvocato, esponente apicale del clan DE STEFANO. Con riferimento al semestre, il quartiere Gallico del capoluogo – ove opera prevalentemente la cosca CONDELLO – è stato interessato da una recrudescenza di eventi delittuosi, che farebbero ipotizzare un’alterazione degli equilibri criminali.
Riguardo all’azione di contrasto della DIA e delle Forze di polizia nell’area cittadina, nel semestre in corso sono state concluse numerose operazioni di servizio.
Nel mese di aprile, a Reggio Calabria, nell’ambito dell’operazione “Monopoli”, i Carabinieri hanno eseguito il fermo di indiziato di delitto, con contestuale sequestro preventivo emesso dalla DDA di Reggio Calabria, nei confronti di 4 imprenditori, ritenuti contigui alle famiglie TEGANO e CONDELLO e responsabili, a vario titolo, di associazione di tipo mafioso, trasferimento fraudolento di valori, autoriciclaggio ed estorsione, con l’aggravante della modalità mafiosa. L’articolata attività d’indagine, corroborata dalle dichiarazioni di tre collaboratori di giustizia, ha ricostruito la progressiva affermazione imprenditoriale degli indagati (anche a mezzo di intestatari fiduciari incensurati), nel settore edile, in quello immobiliare e del gioco in concessione.
Questi avevano assunto, di fatto, posizioni monopolistiche, divenendo, nel tempo, un tassello fondamentale del sistema di riciclaggio e reinvestimento dei proventi illeciti delle citate cosche. Nel medesimo contesto operativo, il sequestro ha riguardato beni (dislocati tra Reggio Calabria, Roma, Milano e Messina) consistenti in 16 società, 120 unità immobiliari e 21 terreni, per un valore di circa 50 milioni di euro. Ancora nel mese di aprile, a Reggio Calabria, la Guardia di finanza ha eseguito la confisca di 3 società commerciali, comprensive delle quote e degli ingenti patrimoni costituenti i rispettivi compendi aziendali – anche in questo caso per un valore di circa 50 milioni di euro – nei confronti di un imprenditore reggino contiguo alla cosca TEGANO.
Nel mese di maggio, sempre a Reggio Calabria, nell’ambito dell’operazione “Thalassa”, la DIA ha eseguito un’ordinanza di custodia cautelare e il sequestro di beni nei confronti di 6 persone, ritenute responsabili di associazione di tipo mafioso ed intestazione fittizia di beni, con l’aggravante di aver agevolato le cosche TEGANO e CONDELLO.
Le indagini hanno evidenziato come, attraverso la gestione “di fatto” di alcune imprese, il sodalizio si fosse infiltrato nell’esecuzione di appalti e lavori edili, acquisendone il pieno controllo e condizionandone le attività. Ciò consentiva, inoltre, di poter disporre di ingenti capitali da poter utilizzare per finanziare ulteriori attività economiche di interesse delle cosche.
Piena luce, inoltre, è stata data alle vicende relative all’edificazione di un complesso immobiliare da parte di una società, rivelatasi in concreto un mero “schermo” finalizzato a nascondere l’interesse delle cosche di Archi nella costruzione e successiva vendita dei fabbricati. In tale contesto, si sono registrate plurime azioni intimidatorie ed estorsive strumentali al condizionamento delle imprese edili, nella prospettiva di agevolare quelle che costituivano diretta espressione della ‘ndrangheta, anche attraverso la “disponibilità” di pubblici dipendenti infedeli.
Altre 17 persone sono state indagate, a vario titolo, per associazione di tipo mafioso, trasferimento fraudolento di valori, estorsione e reati contro la pubblica amministrazione. Contestualmente è stato eseguito il sequestro preventivo di 2 ditte individuali e di 3 società di capitali – del valore complessivo di circa 11 milioni di euro – riconducibili agli arrestati, in considerazione dei significativi elementi di collegamento emersi fra la gestione delle imprese e gli scopi dell’associazione criminale. Ancora nel mese di maggio, a Villa San Giovanni (RC), l’Arma dei carabinieri e la Guardia di finanza hanno eseguito 5 decreti di sequestro di beni, per un valore complessivo di circa 25 milioni di euro, nei confronti di 42 affiliati alla cosca reggina dei CONDELLO e ZITO-BERTUCA-BUDA-IMERTI di Villa San Giovanni (RC).
I provvedimenti hanno interessato un medico chirurgo, imputato per concorso esterno in associazione mafiosa, poiché avrebbe dato la disponibilità al ricovero, presso una struttura sanitaria di Villa San Giovanni (RC), di soggetti mafiosi, consentendo loro di accedere a trattamenti penitenziari meno afflittivi rispetto alla detenzione carceraria.
Inoltre, in periodi antecedenti al 2007, avrebbe prestato assistenza sanitaria a due latitanti. Altrettanto significativa dell’andamento criminale del capoluogo è l’ordinanza eseguita, nel mese di giugno, a Reggio Calabria, dalla Polizia di Stato, nei confronti del nipote di un elemento apicale della cosca TEGANO, per avere, nella serata del 28 maggio 2017, nei pressi di un bar del centro città, spalleggiato da 4 amici, aggredito un giovane, provocandogli alcune escoriazioni, evocando il proprio “casato”.
Il fatto risulta indicativo della protervia che i giovani rampolli delle famiglie cittadine sembrano talvolta assumere nei rapporti quotidiani, con atteggiamenti provocatori e rissosi contro chi non riconosca la loro figura e la loro genia. Proseguendo nella descrizione delle dinamiche criminali del mandamento centro, oltre ai citati DE STEFANO, CONDELLO, LIBRI e TEGANO, si continua a registrare l’operatività della ‘ndrina SERRAINO, nei quartieri reggini di San Sperato e nelle frazioni di Cataforio, Mosorrofa e Sala di Mosorrofa e nel comune di Cardeto.
Proprio nei confronti della cosca SERRAINO, nel mese di marzo, la Polizia di Stato ha eseguito una misura restrittiva nei confronti di 3 persone, per tentata estorsione aggravata, lesioni personali gravi e calunnia, in danno di tre soggetti (un anziano padre e i suoi due figli), nel tentativo di estorcere loro una somma di denaro.
Nella periferia nord di Reggio Calabria, precisamente nel quartiere di Arghillà, si registra la presenza della ‘ndrina RUGOLINO, che oltre ad avere una forte disponibilità di armi da fuoco è attiva nel controllare l’economia del territorio. Significativo, in proposito, quanto accertato, nel mese di marzo, tra Reggio Calabria e Villa San Giovanni (RC), dalla DIA, che ha dato esecuzione ad un decreto di sequestro di beni nei confronti di un imprenditore del settore edilizio, ritenuto, secondo le evidenze investigative emerse nell’ambito dell’operazione “Meta” della DDA reggina, elemento contiguo alla ‘ndrina RUGOLINO.
Peraltro, già nel 2014, unitamente ad altri 39 soggetti, era stato tratto in arresto nell’ambito dell’operazione “Tibet”, ove era emerso come collettore finanziario tra le cosche reggine e le propaggini lombarde del Locale di Desio (MB). Il provvedimento ha riguardato 4 società operanti nel settore edilizio e del commercio all’ingrosso e dettaglio di articoli per impianti idro-termo-sanitari, 26 immobili (tra beni personali e aziendali) siti a Reggio Calabria e Villa San Giovanni, numerosi conti correnti, polizze e titoli, per un valore complessivo di circa 7 milioni di euro.
A sud della città sono attivi i FICARA-LATELLA, mentre nel quartiere di Santa Caterina si rileva la presenza della cosca LO GIUDICE. Nei rioni Modena e Ciccarello risultano attivi i gruppi BORGHETTO-ZINDATO-CARIDI e ROSMINI. Con riferimento a quest’ultimi, nel mese di marzo, la DIA ha dato esecuzione a due ulteriori sequestri di beni, nei confronti di un noto armatore, ex parlamentare, attualmente latitante a Dubai (EAU), ritenuto referente politico delle cosche reggine ed, in particolare, della cosca in parola. Dalle investigazioni sono, infatti, emerse ulteriori disponibilità bancarie dell’armatore reggino, formalmente intestate alla moglie.
Tra queste, un consistente conto corrente acceso presso un istituto creditizio sito alle isole Seychelles, con all’attivo oltre mezzo milione di euro. A sud della città, nel quartiere Gebbione, risulta attiva la cosca LABATE, della quale il 20 marzo è stato arrestato un esponente di vertice, dalla Polizia di Stato nell’ambito dell’operazione “Nerone”, per tentato omicidio plurimo aggravato ed incendio doloso, con l’aggravante delle modalità mafiose, di sei cittadini stranieri di origine rumena, di cui due bambini, conseguente ad una lite avvenuta per futili motivi.
Nella frazione cittadina di Trunca insiste il clan ALAMPI, “federato” con la cosca LIBRI. A Bagnara Calabra – ove sono attivi gli ALVARO-LAURENDI – ed a Sant’Eufemia d’Aspromonte, nel mese di giugno, nell’ambito dell’operazione “Family Gang”, i Carabinieri hanno eseguito due ordinanze di custodia cautelare, nei confronti di 10 persone, tra cui un minore.
Le indagini – avviate nell’agosto 2017 a seguito dell’esplosione, proprio a Bagnara Calabra, di colpi d’arma da fuoco verso l’abitazione del Comandante della Polizia municipale – hanno fatto luce sull’operatività del sodalizio criminale composto da pregiudicati locali, dedito principalmente al traffico di sostanze stupefacenti ed alle intimidazioni anche in danno di esponenti delle Forze dell’Ordine, ritenuti, da uno degli indagati, colpevoli di aver “tolto la pace di Bagnara!!”, gli arrestati sono gravemente indiziati di associazione finalizzata al traffico di stupefacenti, tentato omicidio, minacce aggravate, armi, reati tutti aggravati dal metodo mafioso.
A Melito Porto Salvo, ove è attiva la cosca IAMONTE, nel mese di marzo la Guardia di finanza ha eseguito un decreto di sequestro di beni, per un valore complessivo superiore ad 1 milione di euro, nei confronti di un affiliato, condannato, nell’ambito dell’inchiesta “Ada” del 2013, per associazione di stampo mafioso e reati concernenti le armi.
Nei comuni di Roghudi e Roccaforte del Greco si conferma l’operatività dei PANGALLO-MAESANO-FAVASULI e ZAVETTIERI; a S. Lorenzo, Bagaladi e Condofuri si segnala la presenza della cosca PAVIGLIANITI, legata alle famiglie FLACHI, TROVATO, SERGI e PAPALIA, mentre nella menzionata Condofuri opera il locale di Gallicianò.
Mandamento TIRRENICO Nel mandamento tirrenico le cosche continuano ad esprimere una spiccata vocazione “imprenditoriale”, che ha determinato, con il passare del tempo, una serie di mutamenti strutturali ed organici nelle storiche famiglie mafiose della ‘ndrangheta dell’area. Tali mutamenti sono risultati funzionali anche alla nascita di nuove alleanze, che non hanno scalfito gli equilibri esistenti. In alcuni casi, l’ingerenza delle cosche si è manifestata attraverso la gestione “indiretta” degli appalti, secondo un criterio di razionale ed “equa” spartizione; in altri casi, gli interessi sono stati curati da “comitati d’affari” che hanno favorito le consorterie mafiose con varie modalità. Nella Piana di Gioia Tauro si conferma la leadership delle cosche PIROMALLI e MOLÈ, federate sino all’omicidio del boss Rocco MOLÈ, avvenuto nel febbraio 2008, a seguito del quale si è registrata una vera e propria scissione. In tale contesto mafioso, nel mese di febbraio, i Carabinieri hanno eseguito un decreto di sequestro preventivo nei confronti di un imprenditore vibonese, ritenuto responsabile di intestazione fittizia di beni poiché, al fine di eludere le disposizioni in materia antimafia, avrebbe attribuito fittiziamente al figlio la maggioranza assoluta delle azioni di una società per azioni di Gioia Tauro, che gestisce, da oltre un ventennio, la depurazione delle acque reflue di numerosi comuni della Piana. Il provvedimento ha colpito, oltre alle azioni, anche conti correnti e beni vari riconducibili ad una società dell’imprenditore sopra citato, con sede a Roma, per un valore di circa 1,5 milioni di euro. Le azioni della società di Gioia Tauro erano state, tra l’altro, sottoposte a sequestro nell’ambito dell’operazione “Metauros”, all’esito della quale la Polizia di Stato e l’Arma dei carabinieri, nel mese di ottobre 2017, avevano eseguito il fermo di 7 soggetti – tra i quali un esponente di vertice della cosca PIROMALLI ed alcuni imprenditori – ritenuti responsabili di associazione di tipo mafioso, estorsione e intestazione fittizia di beni con l’aggravante dell’art. 7 della legge n.203/1991. Nel mese di giugno, ancora a Gioia Tauro (RC), i Carabinieri hanno eseguito un’ordinanza di custodia cautelare in carcere nei confronti di 3 soggetti, appartenenti alla cosca BRANDIMARTE, ritenuti responsabili, a vario titolo, di detenzione e porto illegale di armi aggravati dalle modalità mafiose e dell’omicidio avvenuto nella notte del 26 dicembre 2012 a Gioia Tauro, di BAGALÀ Francesco, contiguo ai PRIOLO-PIROMALLI.
Il provvedimento restrittivo giunge all’esito di complessa attività d’indagine, nel corso della quale è stato possibile ripercorrere le fasi salienti della faida, avvenuta a Gioia Tauro nel biennio 2011-2012, tra le locali famiglie dei PRIOLOPIROMALLI e BRANDIMARTE, scaturita dall’omicidio di PRIOLO Vincenzo, avvenuto a Gioia Tauro l’8 luglio 2011. Ancora nel mese di giugno, appare opportuno segnalare che, nell’ambito del processo “Mediterraneo”, il Tribunale di Palmi ha condannato, l’11 giugno, 9 esponenti della cosca MOLÈ, mentre altri 4 soggetti sono stati assolti.
Per quanto concerne il Porto di Gioia Tauro, da sempre considerato strumentale ai traffici illeciti delle cosche calabresi, il calo dei quantitativi di droga sottoposti a sequestro negli ultimi tempi renderebbe ipotizzabile l’adozione di nuove strategie, poste in essere attraverso una rimodulazione delle rotte per l’ingresso dello stupefacente in Italia. I sodalizi calabresi potrebbero, infatti, aver dirottato i carichi di droga verso altri scali (soprattutto del nord Europa), dove gli straordinari volumi di TEU gestiti ogni giorno potrebbero rendere più difficoltose le operazioni di verifica.
Nel comprensorio di Rosarno-San Ferdinando si conferma la presenza delle cosche PESCE e BELLOCCO, particolarmente attive nell’infiltrazione dell’economia locale, nel traffico di armi e stupefacenti, nelle estorsioni, nell’usura e nel controllo delle attività illecite in ambito portuale.
Nel periodo in esame le cosche dell’area sono state interessate dalla cattura di diversi esponenti da tempo latitanti. In particolare, il 9 febbraio, ad Alba Iulia (Romania), la Direzione delle Investigazioni Criminali della Polizia rumena, con il supporto investigativo dei Carabinieri e del Servizio per la Cooperazione Internazionale di Polizia S.i.Re.n.e., ha catturato un latitante contiguo alla cosca PESCE, ricercato dal 2011 per bancarotta fraudolenta. Il 10 marzo, a Rosarno (RC), la Polizia di Stato ha rintracciato e tratto in arresto PESCE Antonino (cl. 1992), esponente dell’omonima consorteria ‘ndranghetista, latitante dall’aprile 2017 per associazione di tipo mafioso, illecita concorrenza con minaccia e violenza ed intestazione fittizia di beni.
Il 14 aprile, all’interno di un’abitazione sita in località Ponte Vecchio di Gioia Tauro, l’Arma dei carabinieri ha catturato il narcotrafficante internazionale DI MARTE Vincenzo (cl. 1981), affiliato alla cosca PESCE, irreperibile da giugno 2015 ed inserito nell’Elenco dei latitanti di massima pericolosità del Ministero dell’Interno. Nel periodo in argomento sono intervenute anche importanti condanne ad esito di complessi procedimenti giudiziari. Il 6 febbraio, nell’ambito del processo “Porto Franco”, filone con rito abbreviato, la Corte di Appello reggina ha condannato 10 imputati, per un totale di oltre 60 anni di carcere, per reati concernenti le infiltrazioni delle cosche PESCE e MOLÈ nel porto di Gioia Tauro.
Il 22 giugno 2018, poi, nell’ambito del processo “Blue Call” ed in relazione al filone in rito abbreviato, la Corte di Cassazione ha pronunciato una sentenza di condanna nei confronti di 16 imputati, appartenenti alla cosca BELLOCCO, per un totale di oltre 120 anni di reclusione. A Palmi si conferma la presenza delle cosche GALLICO e PARRELLO-BRUZZESE.
Anche in tale ambito sono stati registrati significativi risultati in relazione alla cattura dei latitanti. Il 13 febbraio, in Germania, nei pressi dell’aeroporto di Monaco di Baviera, la Direzione delle Investigazioni Criminali della Polizia Tedesca, unitamente all’Arma dei carabinieri ed al Servizio per la Cooperazione Internazionale – S.i.Re.n.e., ha catturato MILITANO Vincenzo (cl. 1989), contiguo alla cosca GALLICO, ricercato dall’ottobre 2017 per tentata estorsione.
Il 2 marzo, sempre in Germania (nel centro di Saarbrücken, città della Saar, il Land sud-occidentale al confine con la Francia), la Polizia tedesca ha catturato COSENTINO Emanuele (cl. 1986), affiliato di rilievo alla cosca GALLICO, destinatario di mandato di cattura in ambito Schengen per associazione di tipo mafioso e, pertanto, inserito nell’Elenco dei latitanti di massima pericolosità del Ministero dell’Interno. A Seminara insistono le cosche SANTAITI-GIOFFRÈ (detti “’Ndoli-Siberia-Geniazzi”) e CAIA-LAGANÀ-GIOFFRÈ (detti “Ngrisi”), i cui principali esponenti risultano, allo stato, tutti detenuti. La famiglia CREA – presente nell’area di Rizziconi (RC), con diramazioni nel centro e nord Italia – è stata interessata, nel semestre, da pronunciamenti giudiziari. Il 17 aprile, infatti, nell’ambito dell’inchiesta “Deus”, il Tribunale di Palmi ha condannato 5 esponenti, tra i quali il capo cosca ed il figlio, rispettivamente a 20 anni ed a 19 anni ed 8 mesi di reclusione, assolvendone altri 7. Nel territorio di Castellace di Oppido Mamertina si conferma l’operatività delle cosche RUGOLO-MAMMOLITI, POLIMENI-MAZZAGATTI-BONARRIGO e FERRARO-RACCOSTA.
L’area di Sinopoli, Sant’Eufemia e Cosoleto permane sotto l’influenza degli ALVARO51. A Cittanova – dove si conferma la presenza delle famiglie FACCHINERI e ALBANESE-RASO-GULLACE – il 7 marzo i Carabinieri hanno catturato il latitante Girolamo FACCHINERI (cl. 1966), elemento di vertice della cosca omonima, ricercato dal luglio 2016 per aver favorito la latitanza di Giuseppe CREA (cl. 1978) e Giuseppe FERRARO (cl. 1968), elementi apicali delle omonime cosche operanti nell’area tirrenica reggina e catturati nel gennaio 2016 nell’entroterra di Maropati (RC). Nel corso delle perquisizioni svolte presso l’abitazione e le pertinenze dei suoi congiunti sono stati rinvenuti oltre 11 mila euro in due buste sottovuoto interrate, 2 ricetrasmittenti, una carabina con matricola abrasa e relativo munizionamento. Nel mese di aprile, sempre a Cittanova (RC) e Roma, la DIA ha eseguito un decreto di sequestro nei confronti di un soggetto originario di Cittanova (RC), ritenuto organico alla cosca RASO-GULLACE-ALBANESE, che aveva sposato, nel 2006, la nipote di un defunto capo cosca.
L’uomo, nel luglio 2016, era stato colpito, nell’ambito dell’operazione “Alchemia”, da un provvedimento restrittivo che aveva interessato anche la moglie e ad altri 40 affiliati alle cosche RASO-GULLACE-ALBANESE di Cittanova e PARRELLO-GAGLIOSTRO di Palmi, per associazione di tipo mafioso, intestazione fittizia di beni e reati contro la Pubblica Amministrazione.
Il provvedimento di sequestro ha riguardato un consistente asset patrimoniale, ricomprendente 5 società di capitali, 2 società di persone ed 1 ditta individuale, con sedi tra Cittanova, Roma e Pomezia (RM), operanti nei settori turistico-alberghiero, agricolo (produzione di olio), lavorazione del legname e trasporto rifiuti. Sono stati, inoltre, sequestrati 16 fondi ubicati a Cittanova, per un’estensione complessiva di oltre 13 ettari e 2 capannoni ad uso industriale, per una superficie complessiva di circa 3.000 mq, nonché disponibilità finanziarie e titoli comunitari per un valore di 22 milioni di euro.
A Taurianova operano gli AVIGNONE-ZAGARI-VIOLA-FAZZALARI e gli SPOSATO-TALLARIDA, mentre in frazione San Martino dello stesso comune, si segnalano gli ZAPPIA e i CIANCI-MAIO-HANOMAN. Nel mese di gennaio, sempre a Taurianova, i Carabinieri hanno eseguito 3 decreti di sequestro preventivo nei confronti di 6 soggetti ritenuti appartenenti alle cosche ZAGARI-VIOLA- FAZZALARI e CIANCI-MAIO. Il provvedimento trae origine dagli approfondimenti investigativi emersi dalla citata operazione “Terramara-Closed”, eseguita nel dicembre 2017 congiuntamente da Polizia di Stato, Arma dei carabinieri e Guardia di finanza. Il valore dei beni sequestrati ammonta a circa 570 mila euro.
L’8 marzo, sempre a Taurianova, a Varopodio e Rizziconi (RC), i Carabinieri hanno eseguito un decreto di confisca di beni – un’impresa per cultura agrumicola, 7 terreni, 1 fabbricato, svariati rapporti bancari, titoli obbligazionari, polizze assicurative – a carico di un esponente di vertice della cosca MAIO, per un valore di superiore ad 1 milione di euro. Con l’operazione “Happy Dog”, conclusa a giugno dalla Polizia di Stato a Taurianova, Locri, Gioia Tauro (RC), Lamezia Terme (CZ), Melissa (KR) e Gudo Visconti (MI), è stata eseguita un’ordinanza di custodia cautelare nei confronti di 11 soggetti, ritenuti responsabili, a vario titolo, di tentata estorsione, turbata libertà degli incanti, illecita concorrenza con minaccia e violenza, intestazione fittizia di beni e truffa, condotte tutte aggravate dal metodo mafioso. L’indagine è la sintesi di due attività investigative che hanno visto, come vittima, un imprenditore del settore canino della Locride.
Il primo filone trae origine da una denuncia sporta nel 2014 dall’imprenditore, costretto a rinunciare al servizio di custodia ed assistenza di cani randagi del comune di Taurianova, aggiudicato a seguito di appalto pubblico. Tale rinuncia avrebbe favorito due fratelli imprenditori taurianovesi (ritenuti contigui, per vincoli familiari e frequentazioni, alla cosca ZAGARI-VIOLA-FAZZALARI), la cui società era stata affidataria del servizio fino a quando non era stata estromessa dalla partecipazione alla nuova gara a causa di un’interdittiva antimafia emessa dalla Prefettura di Reggio Calabria.
Il secondo filone investigativo scaturisce da un’ulteriore denuncia sporta nel 2016 dal medesimo imprenditore per delle estorsioni esercitate da alcuni esponenti della cosca BELCASTRO-ROMEO di S. Ilario dello Jonio (RC) e della cosca PAPALIA di Platì (RC). Ad Oppido Mamertina risultano attivi i POLIMENI-GUGLIOTTA, a Cinquefrondi i PETULLÀ-IERACE-AUDDINO, LADINI, FORIGLIO-TIGANI, a Giffone i LAROSA ed a Polistena i LONGO-VERSACE. Nel comune di Laureana di Borrello risultano attivi i sodalizi LAMARI e FERRENTINO-CHINDAMO, a Scilla la cosca NASONE-GAIETTI, mentre a Villa San Giovanni gli ZITO-BERTUCA-BUDA-IMERTI.
Nel mese di marzo il Comune di Scilla è stato colpito da un decreto di scioglimento del Presidente della Repubblica. Nella relativa proposta del Ministro dell’Interno sono state evidenziate forme d’ingerenza da parte della criminalità organizzata che avrebbero compromesso la libera determinazione e l’imparzialità dell’amministrazione. L’uso distorto della cosa pubblica – si evidenzia nel decreto – avrebbe nel tempo favorito soggetti o imprese collegati direttamente od indirettamente ad ambienti controindicati.
Si fa, infatti, riferimento alla competizione elettorale del 2015, ove, tra i sottoscrittori di tutte le liste concorrenti, è stata riscontrata la presenza di soggetti affiliati o riconducibili alla criminalità organizzata. Sono stati, inoltre, stigmatizzati i rapporti tra il sindaco e soggetti controindicati, mentre sarebbero stati assegnati lavori pubblici a società che, sebbene non destinatarie di provvedimenti interdittivi, nella maggior parte dei casi vedrebbero nelle proprie compagini soci gravati da pregiudizi penali e di polizia.
Mandamento Jonico
Nel mandamento jonico le cosche continuano ad evidenziare una spiccata propensione al narcotraffico internazionale, forti anche di una consolidata affidabilità che riconoscono loro i cartelli del sud America, risultando in grado di rendere sempre più sofisticato il meccanismo di movimentazione della droga. Allo stesso tempo, le cosche dell’area mantengono forti interessi nelle attività estorsive e nel settore degli appalti pubblici, coltivati attraverso pericolose relazioni politico-mafiose.
Per quanto concerne la dislocazione delle consorterie, si richiama, in primo luogo, il locale di Platì, ove si registra l’operatività delle cosche federate BARBARO – TRIMBOLI – MARANDO. Nell’area è di interesse lo scioglimento del Comune di Platì, avvenuto nel mese di aprile. Il Ministro dell’Interno, nella proposta di scioglimento, evidenzia forme d’ingerenza da parte della criminalità organizzata, che avrebbero compromesso la libera determinazione e l’imparzialità degli organi eletti nelle consultazioni amministrative del 5 giugno 2016, nonché il buon andamento dell’amministrazione ed il funzionamento dei servizi.
In particolare, è stata evidenziata la fitta rete di frequentazioni e relazioni di parentela e di affinità che avrebbero legato diversi membri degli organi elettivi e dell’apparato burocratico del Comune a persone controindicate ovvero ad elementi dei sodalizi dominanti sul territorio. Anche in ordine all’attività gestionale dell’ente, nell’ambito degli affidamenti di lavori e servizi sono state rilevate innumerevoli illegittimità ed anomalie. L’amministrazione comunale, infatti, avrebbe ripetutamente affidato lavori di manutenzione ordinaria e straordinaria della viabilità cittadina ad un’impresa già destinataria, nell’ottobre 2013, di un’interdittiva antimafia. Peraltro, una società concessionaria del servizio di raccolta dei rifiuti solidi urbani è stata sottoposta ad amministrazione giudiziaria a seguito dell’arresto del titolare, nel dicembre 2016, poiché ritenuto responsabile, tra l’altro, di concorso esterno in associazione mafiosa.
Nel locale di San Luca risultano egemoni le cosche PELLE-VOTTARI-ROMEO e NIRTA-STRANGIO, entrambe affiancate da una costellazione di ‘ndrine. Indicativo di questa asfissiante presenza è certamente il fatto che il Comune di San Luca continua ad essere gestito da un Commissario prefettizio, in quanto anche le elezioni comunali del mese di giugno 2018 sono state annullate per mancata presentazione di candidature.
In tale composito contesto mafioso, di particolare significato risultano gli esiti dell’operazione “Martingala”, conclusa nel mese di febbraio, a Reggio Calabria, Locri, Siderno, Bianco, Vimercate (MB) ed Ovada (AL), dalla DIA e dalla Guardia di finanza, con l’esecuzione del fermo di indiziato di delitto di 27 soggetti – tra i quali esponenti delle cosche BARBARO- Nigri e NIRTA- Scalzone – ritenuti responsabili, a vario titolo, di associazione di tipo mafioso, riciclaggio, autoriciclaggio, reimpiego di denaro, usura, esercizio abusivo dell’attività finanziaria, trasferimento fraudolento di valori, frode fiscale, associazione a delinquere finalizzata all’emissione di false fatturazioni, reati fallimentari ed altro. Le indagini hanno accertato l’esistenza di un articolato sodalizio criminale, con base a Bianco (RC) e proiezioni operative in tutta la provincia reggina, in altre regioni italiane ed all’estero.
L’organizzazione poteva contare su un gruppo di società di comodo, che venivano sistematicamente coinvolte in operazioni commerciali inesistenti – funzionali a mascherare gli innumerevoli trasferimenti di denaro da e verso l’estero – caratterizzate dalla formale regolarità attestata da documenti fiscali ed operazioni di pagamento rivelatesi, all’esito delle indagini, anch’esse fittizie.
Questo meccanismo fraudolento ha costituito il volano per l’apertura di consistenti flussi finanziari tra le aziende degli indagati e le società di numerosi “clienti”, che di volta in volta si rivolgevano loro per il soddisfacimento di varie finalità illecite, tra cui la frode fiscale. Un vorticoso giro di denaro che aveva termine direttamente in Italia mediante bonifici alle predette società di comodo o su conti di società estere, da cui il denaro veniva successivamente prelevato in contanti e riportato in Italia. L’organizzazione ha dimostrato anche una notevole capacità di infiltrarsi nella gestione ed esecuzione degli appalti pubblici. Grazie, poi, all’approfondimento investigativo di oltre un centinaio di segnalazioni di operazioni finanziarie sospette è stata accertata l’esistenza di una folta schiera di imprenditori del reggino, fruitori dei servigi offerti dall’associazione. Nel contesto investigativo dell’operazione “Martingala” sono inoltre confluiti gli esiti di un ulteriore filone d’indagine, approfondito dalla Guardia di finanza, che ha riguardato le “prestazioni” che l’associazione – avvalendosi del complesso reticolo di imprese riconducibili al sodalizio allocate sul territorio nazionale ed europeo – ha fornito alla famiglia BAGALÀ di Gioia Tauro e ad un soggetto collegato alla cosca PIROMALLI.
In considerazione della tipologia dei reati contestati, si è proceduto al sequestro preventivo di 51 società, con sede in varie regioni d’Italia ed all’estero, di 9 immobili e disponibilità finanziarie per un ammontare complessivo di circa 100 milioni di euro. Di particolare significato, sul piano investigativo e di analisi, sono risultate alcune evidenze che fanno comprendere le connessioni operative tra diverse matrici mafiose (nel caso specifico quella calabrese e napoletana). Alcuni indagati, infatti, “in concorso tra loro, al fine di procurare a sé e ad altri profitto, si recavano in Campania per ricevere da soggetti collusi con il clan MAZZARELLA, un’ingente quantità di denaro in contante, proveniente da delitto, che occultavano e trasportavano a Reggio Calabria, per metterla a disposizione della ‘ndrangheta per conto della quale operavano”.
In concomitanza temporale con l’esecuzione dell’operazione in argomento, i Carabinieri e la Guardia di finanza di Firenze hanno eseguito, nell’ambito dell’indagine “Vello d’oro”, un’ordinanza di custodia cautelare nei confronti di altri 14 soggetti, responsabili di riciclaggio e reimpiego, nel tessuto economico toscano, dei proventi illeciti conseguiti dalla stessa associazione. Il provvedimento ha riguardato imprenditori operanti nel distretto conciario della Toscana, consentendo il sequestro preventivo di 12 società e di consistenti disponibilità finanziarie. L’azione investigativa è stata rivolta, nell’area in esame, anche verso la cattura dei latitanti. Il 6 aprile 2018 a Condofuri (RC), la Polizia di Stato ha catturato Giuseppe PELLE (cl.1960), elemento apicale dell’omonima cosca sanlucota PELLE-Gambazza, nonché capo strategico e membro della “provincia” della ‘ndrangheta, ricercato dal 2017 nell’ambito dell’operazione “Mandamento Jonico” per associazione di tipo mafioso e tentata estorsione. Lo stesso risulta legato, per vincolo matrimoniale, ai BARBARO-Castanu. Il locale di Africo, invece, si caratterizza per l’egemonia della cosca MORABITO-PALAMARA-BRUZZANITI.
Nel mese di marzo, ad Africo Nuovo, nell’ambito dell’operazione “Terra Nostra”, i Carabinieri hanno eseguito un’ordinanza di custodia cautelare in carcere nei confronti di un elemento di vertice della cosca MORABITO, ritenuto responsabile del ferimento di un ingegnere, avvenuto a Bianco il 18 ottobre 2016, in concorso con altri. Il movente del gesto verrebbe ricondotto ad un tentativo di estorsione finalizzato all’appropriazione di alcuni terreni agricoli siti in contrada San Giorgio. Nel medesimo contesto criminale, il 16 gennaio 2018 nell’ambito del processo “Revolution”, la Cassazione ha confermato 12 condanne per traffico internazionale di stupefacenti, nei confronti di soggetti legati agli africoti MORABITO-PALAMARA-BRUZZANITI ed ai GIORGI e NIRTA-STRANGIO di San Luca (7 condanne sono state annullate con rinvio), per un totale di oltre 110 anni di reclusione. Tra le condanne spicca quella a 20 anni di un broker internazionale di stupefacenti per le cosche della jonica, legato appunto ai sanlucoti.
Per quanto concerne il locale di Siderno, nell’area di influenza permane l’operatività dei COMMISSO82, in contrapposizione a quella dei COSTA-CURCIARELLO. Il 22 marzo 2018, presso lo scalo aereo di Roma-Fiumicino, personale della Polizia di Stato ha arrestato il latitante FIGLIOMENI Tito (cl. 1969), elemento di spicco della cosca COMMISSO, ricercato nell’ambito dell’operazione “Crimine”, espulso dalle Autorità canadesi per violazione della normativa locale sull’immigrazione. A maggio, nell’ambito dell’operazione “Mosaico”, i Carabinieri hanno eseguito un’ordinanza di custodia cautelare nei confronti di 29 persone ritenute responsabili, a vario titolo, di associazione per delinquere finalizzata al furto, ricettazione e riciclaggio, peculato, ed altri gravi reati in danno della pubblica amministrazione.
L’indagine, avviata nel 2014, ha consentito di ricostruire l’operatività di due distinte organizzazioni criminali operanti principalmente nel territorio reggino, che si appropriavano illecitamente di buoni fruttiferi postali, libretti postali e carte libretto, sottraendole a persone anziane o gravate da patologie invalidanti, per poi “ripulire” i titoli, provento di attività illecita, incassandone il controvalore, grazie al concorso di alcuni dipendenti infedeli degli uffici postali. Fra gli arrestati figurano congiunti di un elemento di vertice della cosca COMMISSO di Siderno (RC). Nel comprensorio di Locri permane l’operatività delle cosche CATALDO e CORDÌ, oltre che dei gruppi satellite AVERSA-ARMOCIDA, URSINO e FLOCCARI. A giugno, a Locri e Siderno (RC), nell’ambito dell’operazione “Arma Cunctis”, la Polizia di Stato ha eseguito un’ordinanza di custodia cautelare nei confronti di 38 esponenti delle cosche CATALDO e COMMISSO – alcuni dei quali elementi di vertice “storici” – responsabili di associazione finalizzata al traffico di sostanze stupefacenti, alla coltivazione di piantagioni di canapa indiana e alla cessione di droga (hashish e marijuana), nonché di associazione finalizzata al traffico, alla detenzione ed al porto illegale di armi clandestine, fra cui pistole, fucili mitragliatori e armi da guerra con relativo munizionamento.
Per ciò che concerne il locale di Marina di Gioiosa Ionica, si segnalano le cosche AQUINO-COLUCCIO e MAZZAFERRO, con proiezioni operative anche al centro-nord del Paese e all’estero, anche queste colpite, nel semestre, da un’incisiva azione di contrasto ai patrimoni illeciti. A febbraio infatti, a Roccella Jonica, i Carabinieri hanno dato esecuzione ad un decreto di confisca di beni – del valore di circa 12 milioni di euro – nei confronti di un imprenditore edile ritenuto contiguo alla cosca MAZZAFERRO, già condannato, a 2 anni di reclusione nell’ambito del citato processo “Crimine”, per illecita concorrenza aggravata dal metodo mafioso, avendo, in concorso con altri, commesso atti illeciti volti al controllo e al condizionamento dei lavori relativi all’esecuzione dell’appalto per la realizzazione del tratto della Strada Statale 106, ricadente nel comune di Marina di Gioiosa Jonica. Nel mese di giugno, poi, la Guardia di finanza ha eseguito un decreto di sequestro di beni, con contestuale applicazione della sorveglianza speciale di P.S., nei confronti di un affiliato alla cosca AQUINO, anche questo coinvolto nell’operazione “Crimine”, per aver fatto parte del locale di Marina di Gioiosa Ionica.
Il valore complessivo dei beni è stimato in circa 6,5 milioni di euro. Nel locale di Gioiosa Jonica operano gli URSINO-URSINI, federati con i COSTA-CURCIARELLO di Siderno, nonché con la cosca JERINÒ. Nell’area di Monasterace ed in quelle limitrofe di Stilo, Riace, Stignano, Caulonia e Camini, si continua a registrare l’operatività della cosca RUGA-METASTASIO-LEUZZI, legata ai GALLACE della vicina Guardavalle (CZ). Da segnalare come, nel mese di gennaio, nell’ambito del processo “Confine 2”, il GUP presso il Tribunale di Locri ha condannato, con rito abbreviato, 4 imputati, appartenenti alla cosca RUGA di Monasterace, infliggendo loro un totale di oltre 30 anni di reclusione.
Nel comune di Caulonia (RC) sono presenti, invece, i VALLELONGA, mentre a Sant’Ilario dello Jonio è attiva la cosca BELCASTRO-ROMEO, sul cui conto si segnalano gli esiti della già citata operazione “Happy Dog”, conclusa nel mese di giugno – a Taurianova, Locri, Gioia Tauro, Lamezia Terme (CZ), Melissa (KR) e Guido Visconti (MI) – dalla Polizia di Stato con l’esecuzione di un’ordinanza di custodia cautelare nei confronti di 11 soggetti, ritenuti responsabili, a vario titolo, di tentata estorsione aggravata dal metodo mafioso, turbata libertà degli incanti, illecita concorrenza con minaccia e violenza aggravata dal metodo mafioso, intestazione fittizia di beni e truffa aggravata. Nel comune di Careri sono presenti le famiglie CUA-RIZIERO, IETTO e PIPICELLA, mentre nel comune di Bruzzano Zeffirio esercita la propria influenza la cosca TALIA-RODÀ. Ad Antonimina sono attivi i ROMANO, ad Ardore la cosca VARACALLI, a Ciminà le cosche NESCI e SPAGNOLO, a Cirella di Platì i FABIANO, mentre a Canolo si segnala la presenza della cosca RASO.
[titolo_paragrafo]La ‘ndrangheta in provincia di Catanzaro[/titolo_paragrafo]
In provincia di Catanzaro la cosca cutrese dei GRANDE ARACRI continua la propria ingombrante influenza attraverso il locale di Cutro. Nel capoluogo si conferma l’operatività del clan dei GAGLIANESI e ABBRUZZESE-BEVILACQUA – ZINGARI, operanti soprattutto nei quartieri meridionali.
Nel mese di febbraio, nell’ambito dell’operazione “Passo di Salto”, la Polizia di Stato e l’Arma dei carabinieri, coordinati dalla DDA di Catanzaro, hanno eseguito una misura cautelare nei confronti di 47 soggetti, dediti alla produzione ed al traffico di ingenti quantitativi di stupefacenti. L’inchiesta ha permesso di disarticolare un sodalizio criminoso radicato sul territorio e contiguo alle locali cosche, nonché di identificare soggetti rom che controllavano la vendita degli stupefacenti al dettaglio, concentrata su diverse piazze di spaccio della periferia sud della città. Le investigazioni hanno consentito, inoltre, di documentare sia le modalità con le quali i ricavi illeciti venivano reimpiegati per finanziare l’acquisto all’ingrosso di ulteriori partite di stupefacente, sia quattro distinti canali di approvvigionamento: Guardavalle in provincia di Catanzaro, Gioiosa Jonica e San Luca in provincia di Reggio Calabria ed Isola Capo Rizzuto in provincia di Crotone. Nel medesimo contesto investigativo, sempre a febbraio, nell’ambito dell’operazione “All Ideas”, i Carabinieri hanno eseguito un’altra misura cautelare nei confronti di altri 15 soggetti dediti al traffico di ingenti quantitativi di stupefacente.
Le indagini, condotte a seguito dell’omicidio avvenuto il 6 novembre 2014 nel capoluogo di un soggetto catanzarese, hanno ricondotto il delitto alle dinamiche criminali tracciate con la descritta operazione “Passo di salto”, consentendo altresì di rinvenire e sequestrare armi ed ingenti somme di denaro. Ad aprile, nell’ambito dell’operazione “Keleos”, la Polizia di Stato ha eseguito il fermo di indiziato di delitto di 6 soggetti di origine calabrese e di 3 originari di Cerignola (FG) – uno dei quali contiguo al clan cerignolano PIARULLI – ed Andria (BT), ritenuti responsabili, tra l’altro, di rapina realizzata con schemi di tipo paramilitare, aggravata dal metodo mafioso. Gli arrestati facevano parte del commando armato – composto da almeno 15 persone – che, nella serata del 4 dicembre 2016, assaltò il caveau di un Istituto di Vigilanza ubicato nella zona industriale di Catanzaro, sottraendo 8,5 milioni di euro in contanti. Le indagini hanno fatto luce sulle sinergie criminali tra consorterie pugliesi e calabresi, finalizzate ad agevolare, in particolare, la ‘ndrangheta catanzarese e di San Leonardo di Cutro (KR), atteso che parte del denaro era stato suddiviso tra le varie cosche dell’area.
Nel basso versante jonico-soveratese si attesta il locale che fa capo alla famiglia GALLACE di Guardavalle, alleata con la cosca reggina RUGA-METASTASIO-LEUZZI. Alla famiglia GALLACE fa capo anche la cosca GALLELLI, mentre sul territorio di Soverato e comuni limitrofi, si conferma la presenza della cosca SIA-PROCOPIO-TRIPODI. Nel territorio delle pre-Serre e, specificamente, nei comuni di Chiaravalle e Torre di Ruggiero, operano le famiglie IOZZO-CHIEFARI. I CATARISANO-ABBRUZZO-GUALTIERI-COSSARI, invece, insistono sui comuni jonici di Borgia e Roccelletta di Borgia. Nell’area di Vallefiorita e nelle zone limitrofe risultano operativi i TOLONE-CATROPPA. Nella zona nota come “pre-Sila” si registra la presenza delle famiglie PANE-IAZZOLINO e CARPINO-SCUMACIBUBBO. L’area di Lamezia Terme risulta convenzionalmente ripartita in tre aree, rispettivamente di competenza dei clan IANNAZZO, CERRA-TORCASIO-GUALTIERI e GIAMPÀ (cui si affiancano compagini di minor rilievo) prevalentemente dedite alle estorsioni e ai traffici di stupefacenti. Ad aprile, a Lamezia Terme, Catanzaro ed Ancona, nel prosieguo dell’operazione “Crisalide”, i Carabinieri hanno eseguito una misura restrittiva nei confronti di 4 soggetti, accusati di estorsione, legati alla menzionata cosca CERRA-TORCASIO-GUALTIERI.
Le indagini, oltre a far luce sul legame esistente tra soggetti di etnia rom attivi nel comune di Lamezia Terme ed esponenti di vertice della predetta cosca, hanno documentato come, previo pagamento di una somma di denaro, un soggetto avesse recuperato un automezzo rubato da alcuni degli indagati, ai quali la persona offesa si era rivolta, riconoscendone il ruolo nell’ambito dei circuiti criminali lametini. Sempre nell’area lametina, a maggio, nell’ambito dell’operazione “Zona Franca”, i Carabinieri hanno eseguito un’ordinanza di custodia cautelare nei confronti di 8 soggetti, che avevano la disponibilità di armi da fuoco, documentando la gestione di una piazza di spaccio, divenuta riferimento per tutto il comprensorio di Lamezia Terme.
Nel periodo in esame anche i patrimoni dei sodalizi lametini sono stati colpiti dalle attività di polizia. A febbraio, a Lamezia Terme, la Guardia di finanza ha eseguito la confisca di beni, appartenenti ad un esponente di rilievo della cosca CERRA-TORCASIO-GUALTIERI, tra cui una villa ubicata nella zona sud della città, un’automobile e disponibilità finanziarie, per un valore di oltre 330 mila euro. Ancora, a Lamezia continuano a registrarsi connessioni tra sodalizi locali e la famiglia MANCUSO di Limbadi (VV), così come consolidati appaiono i rapporti tra i CERRA-TORCASIO-GUALTIERI, le ‘ndrine di San Luca e soggetti di origine albanese, finalizzati all’approvvigionamento di stupefacenti.
[titolo_paragrafo]La ‘ndrangheta in provincia di Vibo Valentia[/titolo_paragrafo]
Nella provincia di Vibo Valentia si registra la diffusa, nefasta influenza del locale di Limbadi e, nello specifico,
della famiglia MANCUSO, che vanta solide alleanze con le cosche di Reggio Calabria e con quelle della Piana di Gioia Tauro. Sintomatico di questa asfissiante presenza è il gravissimo episodio, registrato il 9 aprile 2018, quando, a seguito di un attentato realizzato con un ordigno esplosivo posto nell’auto sulla quale viaggiavano, veniva assassinato, per questioni di vicinato, Matteo VINCI, mentre il padre Francesco rimaneva gravemente ferito.
All’esito delle indagini, svolte nell’ambito dell’operazione “Demetra”, i Carabinieri hanno eseguito, il successivo mese di giugno, il fermo di 6 esponenti della cosca MANCUSO, presunti responsabili dell’attentato. Sempre ad aprile, a Vibo Valentia, nell’ambito dell’operazione “Black Widows”, la Polizia di Stato ha eseguito il fermo di 7 soggetti, ritenuti responsabili, a vario titolo, di tentato omicidio e porto abusivo di armi, in quanto autori dell’agguato avvenuto il 28 luglio 2017, a Sorianello, ai danni di due fratelli. Le indagini hanno permesso di ricondurre il movente di tale agguato alle dinamiche criminali in atto nei comuni di Soriano, Sorianello e Gerocarne “…per la conquista della leadership sul territorio tra due fazioni contrapposte, all’interno dello stesso “locale di ‘ndrangheta” noto come locale dell’Ariola…”.
Di assoluto rilievo, ancora una volta, talune donne di ‘ndrangheta (da cui il nome dell’operazione) il cui ruolo, dagli atti d’indagine, viene restituito in tutta la sua centralità: talvolta come mandanti di efferate azioni criminose, talvolta come complici nell’occultamento e nella conservazione delle armi, in ogni caso dimostrano sempre una singolare attitudine decisionistica nelle vicende delittuose: “L’attività di captazione ha cristallizzato, a tal riguardo, l’attività di “rafforzamento della volontà criminosa” espressa senza soluzione di continuità dalle donne della famiglia…. tratteggiando, in sequenza, contributi di natura programmatica tradottisi in atti e fatti degni di autonomo rilievo penale”.
Tuttavia, va evidenziata la tendenza degli indagati di sesso maschile ad estromettere le donne della famiglia dalle fasi prettamente operative: “…le donne a casa devono stare…”. Ulteriore evidenza delle pericolose dinamiche criminali riguardanti il vibonese, risulta l’arresto effettuato dai Carabinieri il 20 aprile 2018, a Nicotera Marina, di due fratelli, pregiudicati, affiliati al locale ‘ndrangheta. Questi avevano costituito, nella propria abitazione, un vero e proprio arsenale composto di armi, munizioni, giubbotti antiproiettile, passamontagna e 2 serie di targhe civili per veicoli. Gli stessi detenevano, inoltre, marijuana e cocaina, bilancini di precisione, materiale per il confezionamento e per il taglio di sostanza stupefacente, nonché un quaderno ove era trascritta la dicitura per il “giuramento di ’ndrangheta”.
Nel capoluogo, permane l’operatività della famiglia LO BIANCO, mentre nell’area di Miletoinsistono i PITITTO-PROSTAMO-IANNELLO, le cui dinamiche sono state profondamente analizzate dall’operazione “Miletos”, conclusa nel mese di marzo dai Carabinieri con l’esecuzione di un’ordinanza di custodia cautelare in carcere nei confronti di 5 soggetti, ritenuti responsabili, a vario titolo, di concorso in omicidio, porto di armi comuni e da guerra, reati aggravati dal metodo mafioso. L’attività investigativa ha permesso di individuare gli autori dell’omicidio di MESIANO Giuseppe, avvenuto il 17 luglio 2013 a Mileto, esponente di primo piano dello stesso locale di Mileto, nonché di identificare mandanti ed esecutori dell’omicidio di CORIGLIANO Angelo Antonio, avvenuto il 19 agosto 2013 a Mileto, affiliato al medesimo locale.
Nella zona marina del capoluogo sono attivi i MANTINO-TRIPODI, cui si affiancano le famiglie FIARÈ-RAZIONALE nel territorio di San Gregorio d’Ippona. Nel semestre in esame il Comune di San Gregorio d’Ippona è stato sciolto per infiltrazioni mafiose: Dalla lettura della proposta di scioglimento, a firma del Ministro dell’Interno, si evince “…la fitta rete di rapporti di parentela e di affinità che legano diversi membri degli organi elettivi e dell’apparato burocratico del comune – alcuni dei quali con pregiudizi penali – a persone controindicate ovvero ad elementi dei sodalizi territorialmente egemoni. Rapporti di natura analoga sono stati riscontrati nei confronti di alcuni professionisti assegnatari di incarichi comunali, tra i quali un soggetto condannato per un omicidio commesso nel 1979 nell’ambito della faida allora in atto tra due sodalizi rivali…”.
Gli accertamenti esperiti in sede ispettiva hanno inoltre messo in luce che “uno degli amministratori comunali…risulta cointestatario di un immobile sito nel territorio comunale, utilizzato come propria abitazione principale da un personaggio di vertice della sopra menzionata ‘ndrina…”. Con specifico riferimento agli affidamenti diretti di lavori, servizi e forniture, sono state riscontrate gravi e reiterate irregolarità, quali l’omesso espletamento di ricerche di mercato ed il mancato ricorso, sia al mercato elettronico della pubblica amministrazione, sia a procedure comparative in ordine alla convenienza economica dei corrispettivi richiesti dalle imprese affidatarie.
Da tale modus operandi avrebbero tratto vantaggio anche ditte vicine ad ambienti malavitosi. Continuando nella mappatura del vibonese, i BONAVOTA, i PETROLO e i PATANIA sono attivi nei territori di Sant’Onofrio e Stefanaconi. Nel mese di giugno, la DIA ha dato esecuzione al sequestro di 2 ditte agricole, un immobile, 14 terreni, 6 rapporti finanziari e 5 automezzi, per un valore di circa 300 mila euro, nei confronti di un sodale alla cosca PATANIA, già arrestato, nel 2013, nell’ambito dell’operazione “Gringia”, che ha fatto luce sulla violenta faida che, tra il settembre del 2011 e il novembre del 2012, che aveva visto contrapposti, nel vibonese, i PATANIA ed i PETROLOBARTOLOTTA di Stefanaconi, sostenuti dai MANCUSO, contro la “Società di Piscopio”.
Quali ulteriori consorterie satelliti dei MANCUSO, nei comuni di Pizzo e Francavilla Angitola si segnala la presenza della famiglia FIUMARA, mentre le famiglie ACCORINTI e LA ROSA risultano attive tra Tropea e Briatico. Nel mese di aprile, nell’ambito dell’operazione “Roba di Famiglia”, proprio tra Briatico, Zambrone, Zungri, Rombiolo e Nerviano (MI), i Carabinieri hanno eseguito un’ordinanza di custodia cautelare nei confronti di 14 soggetti –tra i quali il nipote di un esponente di vertice dei citati ACCORINTI – responsabili di associazione finalizzata al traffico di sostanze stupefacenti e detenzione illegale di armi e munizioni.
Anche il Comune di Briatico è stato sciolto nel semestre, per la “…permeabilità dell’ente ai condizionamenti esterni della criminalità organizzata…”. In particolare, a seguito delle risultanze dell’operazione “Costa Pulita”, eseguita nell’aprile 2016 dalla DDA di Catanzaro, sono emersi “…indefettibili relazioni e rapporti parentali tra i componenti dell’attuale compagine di governo dell’ente ed esponenti della criminalità organizzata nonché evidenti elementi di continuità tra l’amministrazione in carica e quelle già sciolte nel 2003 e nel 2012…”. Inoltre, gli accertamenti compiuti dalla Commissione di indagine hanno rivelato un quadro di forte pervasività della ‘ndrangheta, che riusciva ad ottenere sia commesse per le proprie imprese, sia l’assegnazione, in via diretta, di incarichi professionali a soggetti di riferimento, in spregio ai principi di concorrenza e rotazione. Nella struttura burocratica dell’ente, inoltre, sono state riscontrate carenze organizzative e gestionali ed è emerso che taluni dipendenti annoverano rapporti di parentela con soggetti appartenenti alla criminalità organizzata. Il clan LOIELO, che risulterebbe contrapposto agli EMANUELE, è operativo nei comuni di Soriano, Sorianello e Gerocarne (area delle Serre). Gli stessi risultano alleati, rispettivamente, dei CICONTE e degli IDÀ.
A Serra San Bruno si conferma l’operatività della famiglia VALLELONGA-Viperari, che orbita anche tra le province di Vibo Valentia, Catanzaro e Reggio Calabria, sino al territorio di Guardavalle (CZ) in località Elce della Vecchia, zona dove opera la famiglia NOVELLA. A Filadelfia risulta attiva la cosca ANELLO-FRUCI, che figura tra le compagini investigate nell’ambito dell’operazione “Stammer 2-Melina” conclusa nel mese di marzo dalla Guardia di finanza.
L’attività, sviluppata tra la Calabria, la Sicilia, la Puglia, il Lazio, la Lombardia, la Toscana e l’Albania, ha portato all’arresto di 25 soggetti, responsabili dell’importazione di circa 5 tonnellate di marijuana dall’Albania. L’operazione nasce da uno stralcio della già ricordata operazione “Stammer”, con cui erano state già colpite, nel gennaio del 2017, diverse ‘ndrine del vibonese impegnate nel business della cocaina, documentandone l’ingresso in affari con i narcos albanesi, partner di provata efficienza. Le indagini avevano, di fatto, consentito di disarticolare un’organizzazione estremamente complessa, basata su un accordo criminoso tra i vertici delle ‘ndrine FIARÈ di San Gregorio d’Ippona, PITITTO-PROSTAMO-IANNELLO di Mileto, FRANZÈ di Stefanaconi e, appunto, gli ANELLO-FRUCI di Filadelfia, cosche tutte collegate ai MANCUSO di Limbadi.
Nel semestre in esame, anche il Comune di Limbadi è stato sciolto per mafia. Dalla lettura della proposta di scioglimento del Ministro dell’Interno si evincono “…forme di ingerenza da parte della criminalità organizzata che compromettono la libera determinazione e l’imparzialità dell’amministrazione, nonché il buon andamento ed il funzionamento dei servizi con grave pregiudizio dell’ordine e della sicurezza pubblica…”. Peraltro “…la condizione di assoggettamento e condizionamento ambientale posto in essere dalla criminalità organizzata è ben attestata dalla vicenda riguardante la deposizione testimoniale del sindaco in un procedimento pendente nei confronti di alcuni esponenti della criminalità organizzata nel quale, affinché il primo cittadino – citato quale testimone – si presentasse a deporre è stato necessario disporre, da parte del sostituto procuratore della Repubblica, l’accompagnamento coatto eseguito dalle forze di polizia…”.
Sono stati, inoltre, riscontrati a carico di numerosi dipendenti – alcuni dei quali riconducibili per rapporti di parentela o frequentazioni ad ambienti criminali – pregiudizi di polizia e penali anche per reati di tipo associativo. Inadeguato, poi, si è dimostrato il livello di trasparenza e prevenzione della corruzione che avrebbero favorito il condizionamento dell’attività amministrativa da parte di ambienti criminali.
Dagli accertamenti disposti sulle procedure di competenza dell’area tecnica è emerso il ripetuto ricorso – in carenza dei presupposti richiesti dalla normativa sui contratti pubblici e in violazione della legislazione sulle informazioni antimafia – ad affidamenti diretti, a cottimi fiduciari e a proroghe di servizi, disposti in favore di imprese riconducibili al locale contesto criminale e con liquidazione di consistenti fondi pubblici. In ultimo, a Filandari si registra l’operatività del clan SORIANO, che nel mese di marzo, nell’ambito dell’operazione “Nemea”, è stato duramente colpito dall’Arma dei carabinieri con il fermo di 7 soggetti – alcuni dei quali al vertice dello stesso clan, nonché il figlio di un boss dei MANCUSO – responsabili, a vario titolo, di tentata estorsione, minacce, traffico di sostanze stupefacenti, delitti in materia di armi, condotte tutte aggravate dal metodo mafioso.
[titolo_paragrafo]La ‘ndrangheta in provincia di Crotone[/titolo_paragrafo]
La cosca GRANDE ARACRI, menzionata già con riferimento alla provincia di Catanzaro, rappresenta, attraverso il locale di Cutro, la compagine criminale di riferimento anche per le altre famiglie dell’area, potendo contare, peraltro, su consolidate alleanze con le cosche della provincia di Reggio Calabria, del capoluogo di regione e dell’alto Jonio cosentino, vantando consolidate proiezioni anche fuori della Calabria, come attestato, nel recente passato, dalle inchieste “Aemilia” ed “Aemilia 1992”. L’azione di contrasto sviluppata e conclusa, nel semestre dalla DIA, ha colpito le compagini imprenditoriali del contesto ‘ndranghetistico in esame.
Nel mese di febbraio, infatti, sono stati eseguiti due distinti provvedimenti ablativi, uno di sequestro e l’altro di confisca, emessi dai Tribunali di Catanzaro e Crotone, su proposta del Direttore della Direzione Investigativa Antimafia. Nel primo caso, è stato colpito un imprenditore con rilevanti interessi economici nei settori immobiliare e turistico-alberghiero; la confisca è stata, invece, eseguita nei confronti di un imprenditore specializzato nella lavorazione del legname, tratto in arresto nell’ambito dell’operazione “Kyterion”. Entrambi gli imprenditori sono ritenuti contigui al locale di Cutro, facente capo ai GRANDE ARACRI. I decreti traggono origine da accertamenti condotti dalla DIA su un arco temporale di circa venti anni.
Nel dettaglio, il Tribunale di Catanzaro ha formulato un giudizio di pericolosità sociale sul primo dei due soggetti, anche alla luce dei rapporti di natura economica intercorrenti tra il soggetto ed il capo della citata cosca. Analogamente, il Tribunale di Crotone, a fondamento del giudizio di pericolosità sociale nei confronti del secondo soggetto, ha messo in luce il suo agire attraverso “operazioni finanziarie e bancarie e investimenti commerciali, anche [con l’ausilio di] prestanome;… [e ha evidenziato i suoi] contatti diretti e frequenti con Grande Aracri…, [per il quale si è posto da intermediario con]…altri soggetti estranei all’associazione, al fine di consentir[gli] l’avvicinamento a settori istituzionali …”.
L’attività di ricostruzione contabile operata dagli investigatori della DIA, da cui è emersa una rilevante sproporzione tra beni posseduti e i redditi dichiarati da entrambi i nuclei familiari, ha permesso ai Tribunali interessati di confiscare società, immobili, rapporti finanziari, polizze assicurative, per un valore complessivo di oltre 15 milioni di euro. Per quanto attiene alle presenze criminali del capoluogo si richiama il clan VRENNA-CORIGLIANO-BONAVENTURA-CIAMPÀ, mentre in località Cantorato è presente la cosca TORNICCHIO.
Nel mese di giugno, a Crotone, nell’ambito dell’operazione “Hermes”, la Polizia di Stato ha eseguito il fermo di indiziato di delitto di 15 affiliati alla cosca BARILARI-FOSCHIN (riconducibile ai menzionati VRENNA-CORIGLIANO-BONAVENTURA-CIAMPÀ) responsabili di associazione di tipo mafioso, detenzione di armi, estorsioni, minacce e danneggiamenti ai danni di commercianti e imprenditori. Nella frazione di Papanice sono presenti le cosche MEGNA (cd. dei Papaniciari) e RUSSELLI.
A Cutro, oltre alla cosca GRANDE ARACRI, insistono anche le famiglie MANNOLO e TRAPASSO. Tra le provincie di Crotone e Cosenza, con particolare riferimento al comprensorio di San Giovanni in Fiore (CS), è operativo il clan IONA-MARRAZZO, mentre a Belvedere Spinello insiste un locale di ‘ndrangheta, da cui dipendono le ‘ndrine di San Giovanni in Fiore, Cerenzia, Caccuri, Rocca di Neto e Castelsilano. Sull’area cd. petilina è attivo il locale di Petilia Policastro e si registra anche la presenza di esponenti della famiglia MANFREDA di Mesoraca, subentrati ai COMBERIATI.
Il gruppo FERRAZZO – con diversi esponenti legati alla famiglia MARCHESE di Messina in virtù di consolidati interessi economico-criminali – si conferma attivo a Mesoraca. A Cirò sono attivi i FARAO-MARINCOLA, che hanno proiezioni anche sui territori dello ionio cosentino, nel nord Italia e in Germania. A tal proposito, vale la pena di richiamare la già citata operazione “Stige”, conclusa, nel mese di gennaio, dall’Arma dei carabinieri, che ha investigato la pervasiva operatività della cosca cirotana fuori regione e all’estero. L’attività ha coinvolto ben 169 soggetti, indagati, a vario titolo, per associazione di tipo mafioso, tentato omicidio, estorsione, peculato, corruzione aggravata, impiego di denaro di provenienza illecita, turbata libertà degli incanti, danneggiamento seguito da incendio, porto illegale di armi e munizioni, intestazione fittizia di beni, trasferimento fraudolento e possesso ingiustificato di valori, evasione del pagamento dell’accisa sugli oli minerali, condotte spesso attuate con modalità mafiose.
Contestualmente è stato eseguito il sequestro di circa 60 società, 75 immobili e oltre 400 veicoli per un valore di circa 55 milioni di euro, facendo luce sugli interessi diffusi dei FARAO-MARINCOLA tra Calabria, Lazio, Emilia Romagna, Lombardia, Veneto e Germania, nei settori delle forniture di prodotti e servizi in generale, nei servizi portuali, nell’offerta di prodotto pescato, nel lavaggio industriale di tovagliato per le strutture alberghiere, nella distribuzione dei prodotti da forno, nella gestione dei servizi funebri, nel taglio degli alberi, nella vendita del legname e nello smaltimento dei rifiuti urbani. Venivano, inoltre, perpetrate una serie di truffe mediante la gestione di imprese “cartiere” e l’emissione di fatture per operazioni inesistenti (f.o.i.) con la realizzazione di un traffico transnazionale di autoveicoli di grossa cilindrata, importati dalla Germania.
Il sodalizio, oltre ad aver offerto riparo e sostegno a 5 latitanti nell’area montana silana, dal 2007 al 2014, avrebbe anche sfruttato il centro di accoglienza profughi di Cirò Marina, dove, attraverso la compiacenza di amministratori pubblici locali, aveva realizzato sovrafatturazioni per la fornitura di prodotti alimentari a fronte di un servizio scadente. L’inchiesta, infatti, ha evidenziato come venisse imposto l’acquisto di prodotti alimentari o legati alla ristorazione, attraverso una serie di ditte specializzate nel settore e dedite alla vendita all’ingrosso.
Non da ultimo, è stata accertata la presenza della cosca in Germania i cui membri, stabilmente dimoranti in territorio tedesco e titolari di attività commerciali nel settore alimentare, esercitavano pressioni sui ristoratori calabresi ivi stanziati, al fine di imporre prodotti alimentari tipici. Sono emersi, inoltre, gli interessi delle compagini criminali di Casabona e di Strongoli, subordinate al locale cirotano, nel settore delle estorsioni, del recupero di somme di denaro provento di attività delittuose, nella gestione occulta di imprese attive nella produzione e commercio di semilavorati alimentari e nella gestione illecita di appalti pubblici presso diversi comuni del crotonese e del catanzarese.
Le condotte del locale di Cirò hanno consentito anche l’infiltrazione nell’amministrazione comunale di Cirò Marina che, all’esito dell’operazione “Stige”, è stata sciolta per infiltrazioni mafiose, atteso che le investigazioni hanno fatto emergere, oltre che il coinvolgimento di taluni amministratori comunali, “…rapporti tra gli amministratori e le consorterie locali e hanno evidenziato come l’uso distorto della cosa pubblica si sia concretizzato nel favorire soggetti e imprese collegati direttamente e indirettamente ad ambienti controindicati…”.
Le risultanze dell’operazione di polizia giudiziaria, si evince dalla proposta di scioglimento, hanno messo in luce come la ‘ndrangheta cirotana “…si sia sempre adoperata per porre a capo dell’amministrazione comunale soggetti che, a prescindere dall’appartenenza politica, fossero asserviti agli interessi della cosca…”. Passando al territorio di Strongoli, si segnala l’operatività della cosca GIGLIO, mentre ad Isola di Capo Rizzuto coesistono le famiglie NICOSCIA e ARENA. Anche l’Amministrazione comunale di Strongoli è risultata coinvolta nell’inchiesta “Stige”, al punto che il Comune è stato sciolto per mafia, per le evidenti “…forme di ingerenza della criminalità organizzata che hanno esposto l’amministrazione a pressanti condizionamenti, compromettendo il buon andamento e l’imparzialità dell’attività comunale…”.
In particolare, dalla lettura della proposta di scioglimento a firma del Ministro dell’Interno si evincono pressanti intimidazioni poste in essere da diversi membri delle locali consorterie ‘ndranghetiste nei confronti dell’amministrazione comunale, nonché il ruolo svolto da un dipendente comunale, vero e proprio “intermediario” tra l’ente e gli esponenti apicali dell’associazione criminale. In sede ispettiva sono state rilevate irregolarità ed anomalie nel settore dei lavori e dei servizi pubblici, finalizzate ad avvantaggiare ditte controllate o indicate dalle consorterie locali.
A fronte delle descritte azioni investigative, che danno conto di un evidente interesse delle consorterie a fare “impresa”, persiste l’interesse dei gruppi criminali del crotonese verso i traffici di stupefacenti. In proposito, si richiama l’operazione “Fructorum”, conclusa, nel mese di maggio, tra le province di Crotone, Cosenza e di Messina da militari dell’Arma dei carabinieri, che ha portato all’arresto di 21 soggetti, responsabili, a vario titolo, di associazione finalizzata traffico di stupefacenti, da destinare al capoluogo crotonese. La consorteria si avvaleva anche di commercianti attivi nel settore ortofrutticolo, dediti ad assicurare il trasporto della droga fra carichi di frutta ed ortaggi.
[titolo_paragrafo]La ‘ndrangheta in provincia di Cosenza[/titolo_paragrafo]
A Cosenza e nei comuni limitrofi si conferma l’operatività delle cosche RANGO-ZINGARI, BRUNI e ABBRUZZESE, che operano in connessione con le compagini LANZINO-PATITUCCI e PERNA-CICERO.
Il 28 marzo 2018, a Cosenza, a seguito di attività investigativa conseguente all’arresto di un affiliato al clan PERNA per violazione agli obblighi derivanti il regime di sorveglianza speciale, violenza e resistenza a pubblico ufficiale, la Polizia di Stato ha effettuato una perquisizione sull’autovettura di proprietà del soggetto, all’interno della quale veniva rinvenuto un vero e proprio arsenale tra armi e munizionamento, nonché fogli manoscritti riportanti i riti di affiliazione. È del successivo mese di giugno l’operazione “Faenerator”, conclusa dai Carabinieri tra Cosenza, Trenta, Rovito, Mendicino, Rende, Rose, Luzzi e Massafra (TA), che ha portato all’arresto di 14 soggetti, alcuni dei quali contigui ai CICERO ed ai LANZINO-RUÀ, indagati per usura ed estorsione. Le indagini hanno documentato una capillare rete di soggetti che elargiva a privati e commercianti prestiti a tassi usurari. Gli indagati, inseriti nel locale contesto criminale, non esitavano, infatti, a fare ricorso a ripetute minacce e ad atti di violenza fisica pur di riottenere il denaro.
Nella zona di Scalea è attivo il clan VALENTE-STUMMO, contiguo alla cosca MUTO, egemone a Cetraro e nell’alta fascia tirrenica cosentina, con importanti proiezioni in Basilicata e in Campania. Proprio la cosca MUTO è stata colpita, nel mese di maggio, dalla DIA che ha confiscato una lavanderia industriale, con sede a Diamante (CS), del valore di circa 150 mila euro, intestata al coniuge, ma ritenuta nella effettiva disponibilità di un soggetto contiguo alla cosca, arrestato, nel 2016, nell’ambito dell’operazione “Frontiera” della DDA di Catanzaro. Nel territorio di Paola si registra l’influenza delle cosche MARTELLO-SCOFANO-DITTO e SERPA, tra loro contrapposte, oltre alla già menzionata cosca RANGO-ZINGARI di Cosenza. Nell’area di Amantea sono presenti le consorterie BESALDO, GENTILE e AFRICANO.
Sul versante jonico cosentino e fino a Scanzano Jonico (MT), si conferma l’operatività dei gruppi ABBRUZZESE di Cassano allo Ionio ed ACRI-MORFÒ, dediti prevalentemente al traffico di sostanze stupefacenti. Nel mese di marzo, a Corigliano Calabro, nell’ambito dell’operazione “Tribunale”, i Carabinieri hanno eseguito una misura restrittiva nei confronti di 14 soggetti risultati, a vario titolo, indiziati di associazione per delinquere finalizzata alle estorsioni, tentate e consumate, rapine e ricettazione, nonché del reato di danneggiamento seguito da incendio. L’attività ha fatto emergere come a Corigliano fossero attivi due gruppi contrapposti: quello del “centro storico” e quello dello “scalo”. Il primo, più strutturato del secondo, avrebbe realizzato un vero e proprio “tribunale” per condannare i colpevoli di rapine ed altri delitti realizzati senza preventiva autorizzazione.
Gli equilibri criminali dell’area sono oggetto di costante monitoraggio investigativo anche alla luce dell’omicidio perpetrato, a giugno scorso, in danno del boss della Sibaritide PORTORARO Leonardo (cl. 1955, detto “narduzzu” o “giornale favuzu”), attinto da colpi di fucile mitragliatore kalashnikov, nei pressi di un ristorante di Villapiana Lido, di proprietà della figlia.