Il processo di ‘Ndrangheta in Emilia Romagna
36 ricorsi rigettati, 39 dichiarati inammissibili, mentre per 13 posizioni vengono disposti annullamenti con lievi ricalcoli di pene o rinvii limitatamente a pochi capi d’accusa. La Corte di Cassazione ha ampiamente confermato le condanne decise della Corte di appello di Bologna nel maxi-processo di ‘Ndrangheta ‘Aemilia’ e così pure il quadro accusatorio della storica grande operazione contro le infiltrazioni e il radicamento della criminalità organizzata calabrese in Emilia-Romagna, scattata nel 2015 con 117 arresti.
Si tratta del secondo riconoscimento della Cassazione all’impostazione accusatoria di ‘Aemilia’, dopo quello arrivato nel 2018 con 40 condanne definitive agli imputati che avevano scelto l’abbreviato, tra cui diversi capi e organizzatori dell’associazione ‘ndranghetistica emiliana legata alla Cosca Grande Aracri di Cutro. Per chi ha percorso la via del dibattimento la Corte di Appello di Bologna aveva inflitto a dicembre 2020 oltre 700 anni di carcere complessivi, a 91 persone. Erano 87 quelli ricorsi al terzo grado di giudizio.
Tra gli arrestati anche Giuseppe Iaquinta
Tra questi Michele Bolognino, uno di coloro ai quali è stata rideterminata la pena, a 20 anni e 10 mesi, per la prescrizione di un’accusa. Confermata la condanna a Giuseppe Iaquinta, imprenditore e padre dell’ex calciatore della Juventus e della Nazionale campione del mondo: 13 anni. Il figlio, condannato a due anni con la condizionale per irregolarità nella custodia di armi, non aveva fatto ricorso. Tra gli imputati anche l’imprenditore modenese Augusto Bianchini (9 anni), Gaetano Blasco (21 anni e 11 mesi), Alfredo e Francesco Amato, rispettivamente 17 anni e 16 anni e 9 mesi; Giuseppe e Palmo Vertinelli, 16 anni e 4 mesi e 17 anni e 4 mesi.
Ricorsi giudicati inammissibili
Tra i ricorsi giudicati inammissibili o respinti, 31 riguardavano personaggi con l’accusa più pesante: appartenenza ad organizzazione mafiosa. Vanno così in giudicato le condanne di imprenditori importanti, come Giuseppe Iaquinta, Augusto Bianchini, i fratelli Giuseppe e Palmo Vertinelli, Omar Costi, Mirco Salsi, Luigi Silipo. Gli ex appartenenti alle forze dell’ordine Francesco Matacera, Maurizio Cavedo e Mario Cannizzo. Personaggi della ‘ndrangheta come la latitante Karima Baachoui, Carmine Belfiore, Gaetano Blasco, Gianni Floro Vito. Diversi membri della famiglia Muto e Francesco Amato, che arrivò a minacciare la Presidente del Tribunale di Reggio Emilia Cristina Beretti con la frase: “Morto che cammina”.
È stato dichiarato inammissibile anche il ricorso presentato da Antonio Valerio, il collaboratore di giustizia le cui dichiarazioni al processo sono state fondamentali nella verifica di quanto ricostruito dalla Direzione Investigativa Antimafia, e che ha consentito, con i suoi racconti, l’apertura di nuovi filoni processuali legati ai crimini della ‘ndrangheta operante in Emilia Romagna. Condannato in appello a 7 anni e 5 mesi, la sua appartenenza alla mafia è ostativa alla sospensione dell’ordine di esecuzione e così Valerio dovrà ora scontare il carcere. Le cinquemila pagine delle motivazioni della sentenza di primo grado di Reggio Emilia, nel dicembre 2018, si aprivano con la citazione di una sua frase: “La ‘ndrangheta qui a Reggio Emilia è autonoma, evoluta e tecnologica. Non sono le nostre origini la discriminante, ma ciò che siamo: mafiosi e ‘ndranghetisti, maledettamente organizzati”.