Cronaca

Omicidio Meredith Kercher, quelle domande ancora senza risposta 15 anni dopo il delitto

Tutte le domande ancora senza risposta 15 anni dopo

Omicidio di Meredith Kercher, quel delitto nella propria abitazione a Perugia avvenuto nella notte tra il primo e il 2 novembre del 2007. Tutte le domande ancora senza risposta 15 anni dopo.

Omicidio Meredith Kercher: il delitto di Perugia 15 anni dopo

Nella notte tra il primo e il 2 novembre del 2007, la studentessa inglese di 21 anni fu uccisa nella casa dove si era trasferita da pochi mesi a Perugia. All’inizio le indagini si soffermarono su tre sospettati: Amanda Knox, coinquilina della ragazza, il suo ragazzo, Raffaele Sollecito, e il 21enne ivoriano Rudy Guede le cui tracce vennero trovate sulla scena del delitto.

Meredith aveva solo 21 anni quando fu uccisa. Era una studentessa inglese trasferitasi da poco a Perugia per seguire il programma Erasmus. Venne trovata morta nel proprio appartamento il 2 novembre del 2007, 15 anni fa. Nell’appartamento la ragazza viveva con altre tre studentesse: un’americana arrivata in Italia poche settimane prima, Amanda Knox, che avrà poi un ruolo centrale nella morte della ragazza, e due italiane. “Ragazza straniera morta con taglio alla gola, pista omicidio“, fu il titolo che primeggiava sulle pagine di cronaca. Il corpo ritrovato nella sua stanza, semi vestito e coperto da un piumone. 47 i colpi inferti da un coltello. Successive analisi svelarono che fu proprio il fendente sferratole alla gola a rivelarsi fatale.

Il ritrovamento del corpo

Giunti sul posto incontrarono la coinquilina americana, Amanda Knox, insieme al suo fidanzato, Raffaele Sollecito. I due riferirono di essere tornati dalla casa di lui e di aver trovato un vetro rotto, la porta aperta e aver avvisato i carabinieri. Una volta nell’appartamento l’orribile scena. Tracce di sangue che portavano alla camera della giovane straniera e poi il corpo inflitto dai fendenti in una pozza di sangue. Ormai si poteva solo contestare il decesso della 21enne. Gli agenti avviarono le indagini e scoprirono che non c’erano segni di effrazione evidenti sulla porta d’ingresso. Questo lasciava intendere che Meredith probabilmente conoscesse la persona che l’aveva uccisa.

La fase delle indagini

Nei giorni seguenti, le indagini si concentrarono su quelli che all’epoca furono considerati i principali sospettati: la coinquilina Amanda Knox e Raffaele Sollecito. Non solo gli investigatori ma anche i media sembravano essere convinti che i due fossero i colpevoli o che, quantomeno, fossero coinvolti nell’omicidio della giovane.
Knox e Sollecito denunciarono fin da subito abusi da parte della polizia: omissioni nei verbali e interrogatori senza la presenza di avvocati. La ragazza fu anche denunciata per calunnia da alcuni poliziotti, reato per il quale venne assolta in seguito. Fu proprio durante uno degli interrogatori che Knox fece il nome di una terza persona: Patrick Lumumba, proprietario di un pub in centro a Perugia dove l’americana lavorava. L’uomo venne accusato di aver ucciso Meredith e arrestato in via cautelativa. Dopo due settimane di carcere, venne liberato poiché totalmente estraneo alla vicenda. Knox verrà condannata a tre anni per calunnia nei suoi confronti e la Corte d’appello di Perugia lo risarcirà con 8mila euro. Il 20 novembre 2007, giorno in cui Lumumba venne scarcerato, fece il suo ingresso nella vicenda Rudy Guede, un 21enne di origini ivoriane ma residente a Perugia dall’infanzia. La polizia lo arrestò in Germania: gli investigatori avevano individuato le impronte di una sua scarpa e di una mano insanguinata su un cuscino accanto al corpo della vittima e diverse tracce di Dna in casa.

I processi e le sentenze di primo grado e secondo grado

Rudy Guede decise di essere giudicato con il rito abbreviato. Il ragazzo raccontò di essere stato invitato a casa dalla vittima e che tra i due c’era stato un approccio sessuale, confermando quindi la sua presenza sulla scena del delitto. Ma proprio sulla dinamica dell’omicidio cambiò versione più volte: prima disse di essere andato in bagno e che uscendo aveva visto un giovane biondo chinato sulla ragazza inglese e che tentò anche di colpirlo con un coltello; poi che quando avvenne il delitto stava ascoltando la musica con le cuffie, e non si era accorto di nulla; e ancora che, nonostante le cuffie, avesse sentito Meredith litigare con una ragazza. Insomma, molto tre versioni contorte per qualcuno estraneo ai fatti.

Il ragazzo fu condannato a 16 anni in appello per violenza sessuale e omicidio in concorso, anche se, pur non riconoscendo Guede come unico colpevole per la morte di Kercher, la giustizia non riuscirà mai a stabilire chi avesse agito insieme a lui. Ne sconterà, però, solo 14 ( trascorrendo un anno come volontario per la Caritas) per aver, secondo l’articolo 54 del codice penale, partecipato “all’opera di rieducazione prevista dalla pena”. L’uomo ha comunque sempre e in più occasioni negato di aver ucciso Meredith Kercher.

Per gli altri due protagonisti della storia la vicenda giudiziaria sarà decisamente più lunga e intricata. Il 5 dicembre 2009 la corte d’Assise di Perugia condannò Amanda Knox e Raffaele Sollecito, rispettivamente, a 26 e 25 anni. I giudici sostennero che i due volevano aiutare Guede ad abusare di Meredith e che l’avessero uccisa con lui. Alla sentenza di primo grado si arrivò anche grazie ad altre prove raccolte in fase di indagine, ovvero un coltello trovato nella cucina di Sollecito che, secondo la polizia, presentava DNA di Knox sul manico e di Kercher sulla lama, e al gancio di un reggiseno della vittima dove si sosteneva fosse stato individuato Dna di Sollecito.

Quasi due anni dopo, però, nell’ottobre del 2011, la sentenza di secondo grado ribaltò la prima sentenza. Grazie a una nuova perizia, i giudici assolsero i due imputati “per non aver commesso il fatto” e ne disponevano la scarcerazione. Nuove perizie scientifiche stabilirono che sul coltello trovato non ci fossero tracce di Dna della vittima e che, soprattutto, l’arma non corrispondeva in alcun modo alle ferite trovate sul suo corpo.

La decisione della Corte di Cassazione e l’appello bis

I due ragazzi ripresero quindi le loro vite, Knox tornò anche a Seattle. Ma, meno di un anno e mezzo dopo l’assoluzione, nel 2013, la Corte di Cassazione annullò la sentenza di secondo grado e rinviò tutto alla Corte d’appello di Firenze per un nuovo processo. Il pm chiederà 30 anni per Knox e 26 per Sollecito. Dopo un anno e mezzo di udienze, il quarto verdetto condannerà nuovamente, per concorso nell’omicidio di Meredith, Amanda Knox a 28 anni e 6 mesi e Raffaele Sollecito a 25 anni. “Tra le 21:30 e le 22.00 della sera del primo novembre 2007, entrambi gli imputati e Rudi Hermann Guede erano sicuramente presenti all’interno della villetta ove si trovava Meredith Kercher”, si legge tra le motivazioni della sentenza.

L’ultima sentenza

Il 27 marzo 2015 la Corte di Cassazione mise la parola “fine” sul caso, annullando per la seconda volta la sentenza d’appello bis con l’assoluzione dei due imputati. Negli atti la Corte si espresse in maniera estremamente negativa nei confronti degli inquirenti e dei magistrati: “un iter obiettivamente ondivago, le cui oscillazioni sono, però, la risultante anche di clamorose défaillance o amnesie investigative e di colpevoli omissioni di attività di indagine”.

Sostanzialmente, i giudici esclusero la “partecipazione materiale all’omicidio” di Knox e Sollecito, vista anche “l’assoluta mancanza di tracce biologiche a loro riferibili”, “pur nell’ipotesi della loro presenza nella casa di via della Pergola“. La sentenza recita inoltre che senza le omissioni e gli errori commessi sarebbe stato possibile “sin da subito, delineare un quadro, se non di certezza, quanto meno di tranquillante affidabilità, nella prospettiva vuoi della colpevolezza vuoi dell’estraneità“. Restano quindi ancora avvolte dal mistero, a distanza di 15 anni, l’identità di chi, insieme a Rudy Guede, avrebbe partecipato all’omicidio di Meredith Kercher ma, soprattutto, le motivazioni dietro il folle gesto.

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