«Ho visto questa ragazza che camminava guardando le stelle e ascoltando la musica e dentro di me ho sentito un “feeling”» inizia così la confessione di Moussa Sangare, il 31enne fermato per l’omicidio di Sharon Verzeni. Nel corso di un interrogatorio davanti al pm Emanuele Marchisio il 31enne ha reso alcune dichiarazioni in merito al delitto.
Omicidio di Sharon Verzeni: la confessione di Moussa Sangare
Gli inquirenti sono arrivati a quel racconto, riporta oggi il Corriere della Sera, dopo una lunga serie di contraddizioni. La sera dell’omicidio di Sahron Moussa Sangare era lucido. Non aveva fumato hashish o bevuto birra. Come invece aveva fatto nei giorni seguenti “quasi per stordirsi”.
Quel giorno dopo aver trascorso una serata con degli amici era tornato alla sua casa occupata di Suisio (Bergamo), uscendone un’ora prima del delitto con un coltello e l’intenzione di uccidere. Durante il suo percorso in bici aveva minacciato due ragazzini per poi incrociare Sharon, in via Castegnate.
“Scusa per quello che sta per succedere”
Moussa Sangare l’ha sorpresa alle spalle. Prima di brandire il coltello l’ha afferrata e le ha detto: “Scusa per quello che sta per succedere”. Sostiene di averla colpita da dietro verso il petto, perché voleva puntare al cuore. Ma la lama è “rimbalzata”. Sharon ha provato a divincolarsi, poi le tre pugnalate mortali alla schiena. La 33enne chiedeva solo: “Perché, perché, perché…”. Il prossimo interrogatorio, di convalida del fermo, di Sangare si terrà lunedì mattina nel carcere di Bergamo.
La sorella di Moussa Sangare: “Alla fine è arrivato a uccidere qualcuno”
“Alla fine è arrivato a uccidere”, è il dolore di Awa, sorella 24enne di Moussa Sangare, studentessa di Ingegneria a Bergamo. “Come si fa a dire che ha ucciso Sharon per un impulso improvviso?” aggiunge Clotilda Bejtai, vicina di casa di Moussa.
La donna lo descrive come: “una persona con rabbia accumulata, che nel subconscio ha il male. Era fuori di sé” . E poi “stava qua strafatto, dovevo passargli sopra quando uscivo per andare a lavorare. Entrava nella casa occupata dalla finestra”. Tutti sapevano, assicura Clotilda, “quando gli dicevo di smetterla, che non si poteva andare avanti così, mi prendeva a maleparole”.