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La caccia al video dello stupro di gruppo, cosa rischia chi cerca le immagini e le condivide
Da terribile notizia di cronaca a tema di dibattito politico e feticcio social. Il caso dello stupro a Palermo da più ragazzi, sono sette gli indagati, continua a essere tra i più dibattuti e ha innescato pericolosi fenomeni.
Palermo, caccia al video dello stupro di gruppo
Le foto dei profili Facebook dei giovani finiti nell’inchiesta sono state postate e condivise con migliaia di visualizzazioni. Commenti pieni d’odio hanno invaso ogni piattaforma. Si sono poi moltiplicati i profili a nome degli indagati, che adesso annunciano querele a loro volta. La spirale dell’odio e dell’orrore pare senza fine. Su Telegram in poche ore si sono formati gruppi, pubblici e privati, con migliaia di iscritti e l’unico obiettivo di trovare il video dello stupro di gruppo. C’è chi si dice disposto a pagare per vedere le immagini dell’orrore. Parliamo di violenza pura, che però diventa merce da social.
Le indagini
Secondo quanto è emerso dalle indagini, uno degli indagati avrebbe filmato le violenze e poi avrebbe condiviso il video con gli altri prima di eliminarli. Non è certo che siano anche finiti sul web, eppure è partita una raccapricciante caccia. È intervenuto anche il Garante per la privacy, con due provvedimenti di urgenza: “Sanzioni anche per chi diffonde i dati personali della vittima e la rende identificabile”.
Per la legge anche chi condivide un materiale illecito commette un reato anche se ha “solo” fatto circolare un contenuto fatto da altri. Si rischia l’arresto tra 3 a 6 mesi.