Un uomo, per porre fine ai continui maltrattamenti subiti, chiede di eliminare il figlio e il genero, dichiarandosi anche disposto a pagare. Dodici arrestati, gestivano il racket dopo la scomparsa del boss Mario (2019).
Un uomo, capoclan, chiede di eliminare il figlio ed il genero a pagamento
C’erano gli incaricati di individuare le aziende da estorcere, gli esattori di denaro, quelli responsabili delle vendette. E c’erano i capi, sia i veterani che i nuovi arrivati, che dirigevano, fornivano indicazioni al resto del gruppo e talvolta ascoltavano anche le richieste di comuni cittadini in cerca di favori inverosimili. Nel camposanto di Palma Campania, un uomo, per porre fine ai continui maltrattamenti subiti, chiede di eliminare il figlio e il genero, dichiarandosi anche disposto a pagare.
C’erano tutte le caratteristiche di un clan attivo, capace di imporre la propria autorità sul territorio, nonostante la morte del boss dei boss, Mario o Gravunaro, risalente ormai al 2019. Si tratta del clan Fabbrocino, attivo da sempre nell’area vesuviana, in particolare tra San Gennaro Vesuviano, Palma Campania, Ottaviano e San Giuseppe Vesuviano, che ieri ha subito un pesante colpo grazie alle indagini dei carabinieri del Nucleo Investigativo del Gruppo di Castello di Cisterna, i quali hanno notificato 13 misure cautelari emesse dal gip Leda Rossetti su richiesta della Dda di Napoli.
Dodici di loro sono stati arrestati e il tredicesimo ha ricevuto l’obbligo di firma presso la caserma. I pubblici ministeri della Direzione distrettuale antimafia avevano richiesto addirittura 27 arresti in carcere e due agli arresti domiciliari. Tra le persone fermate, si trova Biagio Bifulco, leader di Ottaviano, considerato da tempo il reggente della cosca, e soltanto un anno e mezzo fa era stato rilasciato. Insieme a lui, c’è anche Mario Fabbrocino, nipote e omonimo dello zio fondatore del clan, che, secondo le accuse, ha mantenuto il controllo dell’organizzazione fino alla liberazione di Bifulco. Analizzando i nomi delle persone finite in carcere, emergono molti volti noti del gruppo criminale, insieme a qualche new entry.
Le indagini e il pizzo da pagare
Un quadro che dà l’idea della compattezza del clan, oltre che della capacità organizzativa. Gli investigatori li hanno incastrati dopo anni di lavoro, con intercettazioni telefoniche e ambientali ma anche pedinamenti, appostamenti notturni, foto scattate di nascosto e finite dritte nella corposa ordinanza. Un’attività ingente, grazie alla quale è stato ricostruito il ruolo di ogni personaggio coinvolto, con l’individuazione di chi faceva da collettore tra clan e aziende taglieggiate, di chi “bonificava” i locali prima dei summit (usavano delle stanze dentro il cimitero di Palma Campania), chi deteneva le armi.
Non mancava lo scambio di pizzini e di informazioni con linguaggio criptico, per evitare di farsi scoprire. La principale attività del sodalizio era quella del racket, nel pieno rispetto della storia dei Fabbrocino, che intorno alla richiesta di pizzo hanno costruito la loro fortuna criminale. In alcune conversazioni inserite nell’ordinanza emerge, per esempio, che un imprenditore di una ditta di trasporti (indagato ma non destinatario di una misura cautelare), avrebbe versato 4mila euro al mese al boss Biagio Bifulco, il quale aveva «imposto» a un noto gruppo imprenditoriale «di avvalersi, per l’autotrasporto, della società gestita di fatto» da colui che versava i soldi al clan.
La tangente da 4mila euro, quando il boss era in cella, sarebbe stata versata dall’imprenditore attraverso un intermediario, anch’egli indagato. La vicenda viene ritenuta dagli inquirenti pregnante per descrivere la caratura criminale del boss. Forti gli interessi anche nel campo dell’edilizia, con l’imposizione dell’acquisto di materiale presso aziende complici. Peraltro, sono state sottoposte a sequestro preventivo anche due società la cui attività sarebbero riconducibile al clan.