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Il 14 febbraio 2003 è l’anno in cui muore la Pecora Dolly, ci lascia il primo simbolo della clonazione

14 febbraio 2003: muore Dolly il primo mammifero clonato con successo. Dolly fu clonata il 5 luglio 1996, presso il Roslin Institute in Scozia partendo da una cellula somatica. Anche se Dolly non fu il primo animale ad essere clonato, fu però il primo ad esserlo da cellule adulte.

14 febbraio 2003: muore la Pecora Dolly, il primo clone della storia

Il 14 febbraio 2003 all’età di sei anni, i veterinari hanno iniettato un siero letale alla celeberrima Pecora Dolly, dopo aver scoperto che soffriva di una malattia degenerativa al polmone. In quel periodo ci lascia, dunque, l’animale simbolo della prima clonazione di un essere vivente.



Harry Griffin, il direttore dell’istituto, confermando la notizia della morte di Dolly aggiunse che le malattie polmonari sono comuni nelle pecore anziane.

Fatti antecedenti

Il 5 luglio 1996, per la prima volta nella storia dell’umanità, si è riusciti a clonare artificialmente un esserevivente partendo esclusivamente dalle sue stesse cellule, anche se in passato procedimenti analoghi, sebbene “spuri” fossero già stati realizzati con successo, soprattutto con anfibi, topi e bovini.



Il risultato di questo esperimento è passato alla cronaca con il nome di Dolly, una “semplice” pecora di razza Finn Dorset che è la “fotocopia” esatta di un altro esemplare. Ciò significa che i patrimoni genetici dei due animali sono assolutamente identici tra loro.

La notizia della nascita

La notizia della sua nascita venne dal Roslin Institute di Edimburgo dove un gruppo di ricercatori, capitanati da Ian Wilmut, si occupava da tempo di clonazione di animali da fattoria. A tutt’oggi, comunque, la clonazione è una pratica che presenta molti aspetti ancora poco chiari.



Gli animali clonati, ad esempio, sono in genere affetti da obesità e gigantismo, soffrono di problemi respiratori e cardiaci e hanno gravi problemi immunitari. La stessa Dolly è andata incontro ad una serie di degenerazioni genetiche che hanno smorzato, almeno in parte, gli entusiastici proclami che gli scienziati avevano diffuso alla sua apparizione.

E’ per questo che Ian Wilmut, il “padre” della pecora clonata, si è affrettato a dichiarare che, malgrado l’artrite contratta in giovane età, “è ancora presto per tirare conclusioni dal caso Dolly. Tuttavia sarebbe importante che le aziende biotecnologiche e i laboratori si ricerca pubblici si scambiassero le informazioni sulla salute degli animali clonati, per vedere se ci sono possibili minacce“.

La particolarità della clonazione

Ripercorrendo le tappe che hanno portato ad un risultato che, comunque lo si voglia giudicare, è del tutto straordinario, bisogna risalire al “lontano” 1994, quando vi fu il primo successo nella caccia alla cellula madre di tutte le cellule, in grado di generare ogni tipo di tessuto e organo: il gruppo di Peschle identificò infatti il gene Kdr, che controlla il recettore del fattore di crescita delle pareti dei vasi sanguigni. In seguito, numerosi altri animali sono stati clonati ma sempre partendo dalle cellule embrionali.



In passato, ad esempio, era già stato clonato un topo mentre in Giappone, per fare un altro esempio, da una mucca vennero riprodotti otto vitelli identici. Oppure, il ricercatore Cesare Galli aveva annunciato di aver clonato a Cremona il Tobro Galileo.

La particolarità di Dolly e il motivo per cui ha provocato fiumi di inchiostro e la descrizione di scenari futuri di ogni genere, è che si tratta di un clone “puro”, ossia la replica di un singolo individuo adulto, senza gli elementi di variabilità tipici degli esperimenti precedenti. Le cellule embrionali, infatti, contengono geni maschili e femminili in una mescolanza che non lascia prevedere a priori quali saranno le caratteristiche del clone.

Polemiche sulla degenerazione etica

Da questo susseguirsi impressionante di successi scientifici si è levato però anche un coro di voci preoccupate di una possibile degenerazione etica della pratica della clonazione, anche perché da più parti si è evocato lo spettro dell’applicazione di questa tecnica “innaturale” ad esseri umani.



Ad esempio, si vocifera che in estremo oriente, in remoti e segretissimi laboratori, qualcosa del genere sia già avvenuto.

Per il momento, sono solo voci di corridoio o, più probabilmente, come sostiene qualcuno, studiati allarmismi dei soliti catastrofisti.

Ad ogni buon conto, è da questi giustificati timori che prende corpo l’ordinanza dell’allora ministro della sanità Rosy Bindi che pone un freno alla pratica della clonazione, di fatto vietandola. In effetti, fino a quel momento in Italia vigeva a proposito un vero e proprio Far West.

Vediamo dunque nello specifico come funziona la tecnica della clonazione. Un uovo, estratto dalla madre, e dello sperma, preso dal padre, vengono usati per produrre un uovo fertilizzato.

Una volta che l’embrione si è diviso in otto cellule, questo viene diviso in quattro embrioni identici, ognuno dei quali è costituito di due sole cellule. I quattro embrioni vengono impiantati nell’utero di una femmina adulta per la gestazione.

Tecnica e dubbi

La tecnica in sostanza consente di riprogrammare il nucleo di una cellula adulta e farlo partire da zero, consentendo così all’ovocita in cui viene immesso, di sviluppare un feto e poi un animale adulto. In sostanza, nel nucleo di ogni cellula di Dolly c’è il Dna dell’animale adulto clonato, mentre negli altri organuli cellulari, come i mitocondri, c’è il Dna della femmina che ha fornito l’ovulo.



Ma, questa è la domanda, l’organismo che nasce porterebbe in qualche modo memoria dell’età adulta del nucleo cellulare da cui si è sviluppato e, quindi, nascere già vecchio o andare incontro ad impreviste degenerazioni genetiche.

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