di Domenico De Rosa
Negli ultimi anni, l’ideologia “green” in Europa è diventata il motore di molte politiche governative, dalle normative ambientali rigorose alle ambiziose iniziative per la transizione energetica. Tuttavia, mentre il movimento ecologista è nato con l’intento di promuovere la sostenibilità e la protezione dell’ambiente, la sua implementazione nell’Unione Europea sta rapidamente assumendo tratti pericolosi. Questo approccio ideologico, pur avendo in apparenza come obiettivo il bene comune, rischia di diventare un boomerang, con effetti devastanti su economia, occupazione e coesione sociale.
Uno degli aspetti più critici della “rivoluzione green” europea è l’attacco frontale ai combustibili fossili. L’Unione Europea si è impegnata a ridurre drasticamente le emissioni di CO2, portando avanti una serie di regolamenti che penalizzano pesantemente settori come quello dell’industria, dei trasporti e dell’agricoltura. Il Green Deal Europeo, con la sua spinta verso l’elettrificazione dei trasporti e il potenziamento delle energie rinnovabili, è divenuto una vera e propria ideologia che non lascia spazio al dialogo o al compromesso. La narrativa dominante demonizza le fonti fossili come l’ultimo grande nemico del pianeta, spingendo le nazioni a investire ingenti risorse in tecnologie ancora immature, come le batterie elettriche e le fonti di energia intermittente.
Questa lotta ideologica contro il petrolio, il gas naturale e il carbone non considera che, se da un lato questi combustibili sono responsabili di una parte significativa delle emissioni, dall’altro sono anche i pilastri su cui si regge l’economia mondiale. Eliminare o ridurre drasticamente l’uso di questi combustibili senza una valida alternativa immediata crea una crisi energetica che colpisce in particolare le fasce più vulnerabili della popolazione, i settori produttivi e l’industria pesante. L’Europa si sta dirigendo verso una dipendenza crescente da fornitori esterni, in particolare dai paesi produttori di gas naturale e minerali rari necessari per le tecnologie “verdi”, mettendo a rischio la propria sicurezza energetica.
Un altro aspetto della visione green europea che merita attenzione è la contraddizione insita nella transizione energetica. La promozione delle energie rinnovabili, come il solare e l’eolico, ha portato a un aumento vertiginoso dei costi dell’energia in molti paesi europei. Nonostante gli enormi investimenti pubblici e privati, la capacità di questi sistemi di soddisfare in modo costante e affidabile la domanda energetica resta limitata. I periodi di bassa produzione (nuvole o calma piatta) sono frequenti e non facilmente compensabili con batterie o altre soluzioni, facendo sì che i consumatori si trovino a fronteggiare costi crescenti, senza un reale miglioramento dell’efficienza o della sicurezza.
In parallelo, l’Europa sta affrontando un’emergenza economica legata all’alto costo dell’energia, che sta strangolando interi settori industriali, in particolare quelli ad alta intensità energetica, come l’acciaio, la chimica e la ceramica. Queste industrie sono fondamentali per l’occupazione e la competitività europea, ma rischiano di delocalizzare altrove, dove le normative ambientali sono meno stringenti, portando con sé non solo perdita di posti di lavoro, ma anche un aumento delle emissioni globali a causa del trasporto delle materie prime e dei prodotti finiti.
L’aspetto sociale della politica “green” è forse il più preoccupante. L’adozione di politiche ambientali senza una considerazione adeguata delle disuguaglianze economiche e sociali sta creando una società a due velocità. Le politiche verdi penalizzano le classi più basse e i paesi meno sviluppati, che non hanno la capacità di sostenere l’alto costo della transizione energetica. In molte nazioni, la classe media e i ceti popolari si trovano a dover fare i conti con l’aumento dei costi della vita, inclusi quelli legati all’energia, alla mobilità e ai beni di consumo.
Nel frattempo, il “capitalismo verde” sta beneficiando le grandi multinazionali e i settori tecnologici che dominano il mercato delle rinnovabili e delle auto elettriche. Le politiche fiscali favorevoli, i sussidi statali e gli investimenti pubblici stanno creando una nuova élite economica, mentre le persone comuni sono costrette ad affrontare l’aumento delle tasse, dei prezzi e delle difficoltà quotidiane.
L’agricoltura è uno dei settori più colpiti dalle politiche ecologiche europee. Il Green Deal ha imposto regolamenti stringenti sull’uso dei pesticidi, dei fertilizzanti e delle pratiche agricole convenzionali, mettendo in difficoltà numerosi agricoltori. L’obiettivo di ridurre l’uso di pesticidi del 50% entro il 2030 rischia di compromettere la produttività agricola in tutta Europa, con conseguenze devastanti per la sicurezza alimentare.
In molte aree rurali, il settore agricolo è una delle principali fonti di reddito. Limitare l’uso di tecniche tradizionali e applicare nuove normative in modo troppo rapido e senza adeguati strumenti di supporto rischia di generare una vera e propria crisi agricola. Inoltre, l’abolizione delle coltivazioni di cereali e l’introduzione di norme restrittive su prati e pascoli stanno mettendo in pericolo la capacità dell’Europa di essere autosufficiente dal punto di vista alimentare, rendendola dipendente dalle importazioni da paesi con standard ambientali molto inferiori.
Mentre l’Europa continua a spingere per una rapida e radicale transizione verso un futuro “green”, è fondamentale fare i conti con le sue gravi implicazioni. Le politiche attuate rischiano di soffocare l’economia, creare disuguaglianze e compromettere la sicurezza alimentare ed energetica. È essenziale che l’Unione Europea riconsideri il suo approccio, adottando una visione più equilibrata e pragmatica che non si limiti a inseguire un ideale ecologico senza tenere conto della realtà economica e sociale.
L’ideologia green europea, così come è stata impostata, sembra essere una corsa verso un precipizio, dove i costi sono enormi e i benefici, almeno per ora, incerti. La sostenibilità ambientale è certamente un obiettivo condivisibile, ma deve essere perseguita in modo razionale e sostenibile, senza sacrificare su un altarino ideologico le fondamenta stesse della società europea.