In Perù è stato concesso l’aborto a una bimba di 11 anni rimasta incinta in seguito a uno stupro da parte del patrigno. Ma, come riporta Tgcom24, i vescovi cattolici locali hanno lanciato un appello al governo chiedendo di ribaltare la decisione perché ritengono si tratti di un “atto di ingiustizia e violazione del diritto alla vita del nascituro”.
Perù, 11enne incinta del patrigno dopo uno stupro: ok all’aborto
La vicenda di Mila – nome con cui è stata ribattezzata la bambina dai quotidiani locali – è stata riportata dall’agenzia Reuters. La bimba di 11 anni, originaria di una famiglia povera del Perù nord-orientale, sarebbe stata abusata sistematicamente dal patrigno da quando aveva 6 anni.
A giugno di quest’anno è rimasta incinta e il patrigno è stato arrestato e incarcerato, ma per mancanza di prove è stato rimesso in libertà. Nel frattempo la madre della piccola si è rivolta a Promsex, organizzazione non governativa peruviana impegnata nella difesa della dignità delle persone e della loro salute sessuale e riproduttiva. L’Ong ha quindi contattato le autorità sanitarie peruviane per chiedere l’aborto terapeutico.
I rischi per la bambina
Una commissione medica della regione di Loreto, dove vive la bambina, ha inizialmente stabilito che Mila non potesse abortire: a nulla sono servite le evidenze portate da Promsex sui rischi legati alla gravidanza per le ragazzine sotto i 15 anni, che hanno una probabilità di morire di tre volte maggiore rispetto alle donne incinte sopra i 20 anni.
L’intervento dell’Onu
Grazie all’intervento dell’Onu, una commissione medica di Lima ha rivisto la decisione della regione di Loreto e ha acconsentito all’aborto. Ma questo dietrofront ha fatto arrabbiare i vescovi cattolici del Paese.
Come riporta Vatican News, in un comunicato stampa la Conferenza episcopale peruviana ha chiesto al governo di “non aprire le porte alla cultura della morte”, rifacendosi all’insegnamento della Chiesa sul diritto alla vita dei bambini non nati e sui diritti delle madri.
“Di fronte a questo atto di ingiustizia e violazione del diritto alla vita di un nascituro, alziamo la nostra voce nel rifiuto di questo atto ingiusto e indolente”, affermano i vescovi nella nota, aggiungendo che “l’insegnamento costante della Chiesa, in questi casi, è sempre quello di salvaguardare il diritto alla vita” sia della madre che del bambino.
La Conferenza episcopale peruviana ha insistito sul fatto che la vita è “un diritto assoluto e inalienabile, perché è un dono divino, che Dio ci chiede di custodire, come afferma il quinto comandamento Non uccidere”.
L’opposizione del vescovi cattolici locali
Nel comunicato i vescovi hanno poi ricordato che la Costituzione del Perù e il Codice peruviano per l’infanzia e l’adolescenza riportano che “ogni essere umano è considerato un bambino dal concepimento fino all’età di 12 anni. Lo Stato ha il dovere di proteggere il concepito”.
Sulla base di tali considerazioni, chiedono infine che Mila “sia adeguatamente curata e aiutata a guarire dalle ferite dello stupro, che non sia sottoposta ad aborto, che lo stupratore sia perseguito fino in fondo e che siano evitati nuovi abusi”.