Cronaca

Peter Brook, addio ad uno dei più grandi registi di cinema e teatro del Novecento

Peter Brook è morto all’età di 97 anni: è stato uno dei più grandi registi di cinema e teatro del Novecento. La sua fama è legata tra l’altro al kolossal teatrale “Il Mahabhàrata”. L’anziano è scomparso a Parigi, dove risiedeva da oltre 50 anni.

Parigi, Peter Brook è morto a 97 anni

Il pioniere del teatro sperimentale è scomparso a Parigi, in Francia, dove risiedeva da oltre 50 anni, nella serata di ieri 2 luglio. Il grande regista ha scritto una pagina importante dello spettacolo del Novecento. Acclamato dalla critica e amatissimo dal pubblico che lo ha seguito.

Chi è Peter Brook

Il regista e sceneggiatore britannico, è stato un uomo di spettacolo completo che appartiene di diritto alla generazione europea dei riformatori teatrali della seconda metà del Novecento.

La sua fama, come anticipato precedentemente, è legata tra l’altro al kolossal teatrale “Il Mahabhàrata”, con il quale ha dimostrato che anche il cinema e la televisione possono cimentarsi in modo creativo con i miti dell’umanità.

Il teatro sperimentale di Brook

L’attività di Brook rientra in quel contesto sperimentale che ha oltrepassato le barriere fra le arti, praticando un’interazione tra cinema, teatro e televisione. Nella pratica artistica di Brook la prospettiva antropologica si è tradotta in vissuto, in esperienza di lavoro, ancor prima delle mode multiculturali degli anni Ottanta.

Nato a Londra il 21 marzo 1925,  esordì nel cinema mentre completava gli studi a Oxford, con “Sentimental journey”, un film privo di dialoghi e interpretato da attori non professionisti reclutati nei pub. Fra il 1944 e il 1945 realizzò cortometraggi didattici per l’esercito inglese e contemporaneamente iniziò un’intensa attività teatrale, ricca di successi, che sarebbe culminata negli anni Sessanta.

Brook si impose come acuto interprete del teatro di William Shakespeare. Ha affiancato al repertorio tradizionale opere moderne e lavori sperimentali. Nel 1970 ha fondato il Centre international de création théâtrale, dove, sotto l’influenza di Jerzy Grotowski e del Living Theatre di Julian Beck, sono state sperimentate le possibili applicazioni teatrali di un linguaggio non significante, improvvisato e massimamente gestualizzato.

Il cinema

L’attività cinematografica non si rivela tuttavia un successo come quella teatrale, anche se da essa trae un proficuo alimento. Fuori dai radicalismi del cinema sperimentale, il regista vede nella macchina da presa la possibilità di presentare la vita nel suo accadere. Così, dopo “Il masnadiero” (1953), trasposizione cinematografica del famoso testo teatrale di John Gay, realizzò “Moderato cantabile – Storia di uno strano amore” (1960), tratto da un romanzo di Marguerite Duras: nel film il dispositivo dominante è la parola e la macchina da presa, fissa di fronte ai due protagonisti: capta le emozioni dei due attori, il loro vissuto reale, lasciando che le cose succedano di fronte a essa.

La politica

Il forte impegno politico venne confermato dal successivo “Tell me lies” (1968), girato sulla messa in scena teatrale di due anni prima, “US”, in cui si sviluppa una documentata denuncia delle responsabilità storiche del governo statunitense nella guerra in Vietnam.

La carriera

Nel 1989 con “Il Mahabharata” ha offerto una rappresentazione di notevole forza visiva del vasto poema epico, vero e proprio monumento letterario dell’antica cultura indiana. Nel 2001 ha realizzato una versione cinematografica dello straordinario spettacolo teatrale multietnico “Hamlet”, che aveva debuttato l’anno precedente sempre al teatro Bouffes du Nord.

Numerose le onorificenze e i riconoscimenti ricevuti: Commendatore dell’Ordine dell’Impero Britannico, membro dell’Ordine dei Compagni d’onore, Premio Kyoto per le arti e la filosofia, Commendatore dell’Ordine della Legion d’onore, Premium Imperiale, Premio Nonino “A un Maestro del nostro tempo”, Premio Principessa delle Asturie per l’arte.

Il racconto

“Il ruolo del teatro non è quello di dare lezioni. Il regista non deve inculcare delle idee nella testa del pubblico. Quello che chiamiamo pubblico è una comunità composta da singoli individui, ognuno dei quali a teatro vive un’esperienza personale, che nasce dalla relazione diretta con gli attori e con ciò che accade sulla scena”, raccontava Peter Brook.

“Ogni spettatore ha uno sguardo diverso sullo spettacolo, se ne nutre in modo diverso. Quello che conta sono le domande che si pone una volta uscito dalla sala. Ma non mi permetterei mai di chiedere ad uno spettatore che domande si è posto guardando The prisoner, è una questione privata. Non mi interessano i dibattiti a fine spettacolo, e credo che ognuno abbia bisogno di un tempo di elaborazione. Di uscire, camminare e pensare. Il teatro è un viaggio, che ci porta da un punto a un altro, attraverso un percorso che è insieme condiviso e individuale”.

CinemaluttoParigi