Almanacco

12 dicembre 1969: la strage di Piazza Fontana, nel centro di Milano

Nel pomeriggio del 12 dicembre del 1969 quattro bombe piazzate da un gruppo neofascista esplosero tra Milano e Roma. Quella che causò i danni maggiori scoppiò in mezzo alla sala principale della Banca dell’Agricoltura di piazza Fontana, nel centro di Milano.

Diciassette persone morirono, più di 80 furono ferite: le indagini conseguenti furono sviate e ostacolate da interventi di esponenti delle istituzioni, che divennero un lungo strascico delle responsabilità dell’attentato stesso.

E la strage rimase, tra le altre cose, come una svolta storica e una “fine dell’innocenza” per i movimenti giovanili di cambiamento sociale del ’68 e del ’69 che si trovarono da allora di fronte a una risposta violenta e sanguinaria che determinò parte degli sviluppi violenti e sanguinari nella vita italiana degli anni successivi.

Strage di Piazza Fontana, la madre di tutte le stragi

Una strage. La madre di tutte le stragi, come ha scritto Benedetta Tobagi nel libro “Piazza Fontana, il processo impossibile”. Diciassette morti e 88 feriti, un attacco al cuore dell’Italia, a 200 metri dal Duomo e a fianco dell’Arcivescovado, che non ha precedenti nella breve storia della nostra Repubblica. La città è avvolta dalla paura, con le sirene delle ambulanze che lacerano i timpani.

Sulle prime si parla di una caldaia. Ma la verità emerge presto. Achille Serra, giovane funzionario di polizia, poi prefetto di Roma, racconta: “Altro che caldaia! Quando vidi quello che era successo gridai al telefono che servivano 100 ambulanze. In questura non mi credevano. Alla fine di ambulanze ne arrivarono 98”.

Ma non era l’unica bomba. In totale erano cinque. Due a Milano alla Banca dell’Agricoltura e nell’atrio della sede centrale della Banca Commerciale in piazza della Scala. E tre a Roma: una dentro un passaggio sotterraneo della Banca Nazionale del Lavoro, le altre all’Altare della Patria, su entrambi i lati. Tutte esplose, tranne quella collocata alla Commerciale.

Il primo di molti depistaggi

Il processo sulla strage di piazza Fontana è divenuto famoso per il ruolo dei servizi segreti nel depistare le indagini e nel proteggere i responsabili, che contribuì a far crescere un’intera generazione di militanti e simpatizzanti della sinistra con la convinzione che lo Stato approfittasse e fosse addirittura complice della violenza stragista (la cosiddetta “strategia della tensione”).

Le falsificazioni compiute inizialmente dalle indagini, l’indicazione di colpevoli che non lo erano, la ricerca di capri espiatori nei movimenti anarchici e di sinistra, e il tempo impiegato e le difficoltà nel giungere a una sentenza di condanna nei confronti del gruppo neofascista responsabile dell’attentato costruirono un diffuso disincanto sulla capacità della giustizia di fornire risposte soddisfacenti e sulle complicità nelle istituzioni. Ma a cinque decenni dalla strage esiste un quadro quasi completo di quel che accadde.