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23 novembre 1890: viene inventato da Louis Glass e William S. Arnold, il primo prototipo di juke-box

Il primo juke-box: storia, record e leggende della celebre "scatola magica"

Il 23 novembre del 1890 viene inventato, da Louis Glass e William S. Arnold, il primo prototipo di juke-box. Si trattava di un fonografo che veniva alimentato da monete e che emetteva musica da una sorta di tubi.

Il primo juke-box è costruito dalla Pacific Phonograph Co; per la sua realizzazione sono state agganciati quattro tubi simili a stetoscopi, installati assieme a un fonografo di Edison (di classe M) e inseriti all’interno di un armadio di quercia.

I tubi venivano azionati singolarmente, ciascuno di essi attivato mediante l’inserimento di una moneta: ciò significa che quattro ascoltatori diversi potevano ascoltare contemporaneamente la stessa canzone. Degli asciugamani venivano forniti ai clienti in modo da poter pulire dopo ogni ascolto l’estremità del tubo.

Il successo del juke-box, la mitica “scatola magica”

Originariamente la macchina che oggi chiamiamo juke-box (o anche juke-box) è stata chiamata “nickel-in-the-slot player” da Louis Glass, l’imprenditore che ha installato presso il Palais Royale il primo esemplare.

Tradotto in italiano suonerebbe come “lettore musicale con monetina-in-fessura”; un nickel (la monetina) allora aveva un potere di acquisto di 1.20 $ odierni, circa 1.00 €.

Il nome “juke-box”, arriverà solo più tardi, ma non è chiaro da dove abbia origine tale parola. Si pensa derivi da “juke house”, un riferimento slang per indicare i bordelli, luoghi dove la musica non era sconosciuta.

La grande evoluzione

Solo nel 1920 ci sarà l’evoluzione verso il vero juke-box, grazie all’arrivo dei dischi registrati e suonati elettricamente. Il cuore del juke-box era il sistema di cambio per mezzo del quale i dischi venivano accatastati, estratti per essere suonati sul piatto e poi riposti.

Il primo esemplare risale al 1927 presentato dalla Ami che, nonostante abbia anticipato le antagoniste, non ebbe il primato nel mercato americano.

Ognuna delle maggiori case produttrici sviluppò un suo particolare sistema: a cominciare dalla Wurlitzer, che fece del cambiadischi in mostra la sua caratteristica, seguita per alcuni periodi anche dalle altre industrie; usava il sistema “Simplex”, con il quale i dischi erano tenuti in ripiani, quando uno di questi veniva selezionato ruotava sopra il piatto che si alzava, prendeva il disco e lo portava fino al braccio della puntina che si spostava sopra il disco facendolo suonare.

La Rock-Ola aveva un sistemaMulti-selector” molto simile a quello della Wurlitzer mentre la Seeburg usava un meccanismo “Freborg”, che permetteva di far scivolare i dischi fuori dal portadischi fino al piatto.

Infine la Ami, il cui cambiadischi si rivelò talmente efficiente che durò fino alla seconda metà degli anni 50: i dischi venivano accatastati in un portadischi fisso, a rastrelliera, e venivano estratti da un braccio meccanico che li posizionava sul piatto.

Quando al funzionamento tecnico si aggiunsero colore, suoni e stile, il mito del juke-box prese forma, dando vita ad un sistema musicale che divenne protagonista di un’epoca, collante inconsapevole di momenti culturali e sociali oltre che un’imponente macchina economica e commerciale.


juke-box


Il record di vendite e la leggenda del nome

Fu la Wurlitzer che dopo il suo primo modello del 1933, segnò il record di vendite mai più eguagliato nella storia: esattamente 80 anni fa, nel 1936, vendette ben quarantamila juke-boxes. Ben presto anche gli altri due colossi del settore, la Seeburg e la Rock-Ola, si allinearono e iniziarono a produrre numerosi apparecchi.

L’apice fu raggiunto negli anni 40/50, quando il juke-box invase i locali e i luoghi di aggregazione, diventando la colonna sonora di giorni nuovi e densi, anticipatori di lotte sconosciute e di sconfitte, di speranze incoscienti e di fallimenti. Quella scatola luminosa e colorata divenne parte integrante dell’American way of life.

Non è chiaro come sia nato il nome “juke-box”, secondo alcune teorie sarebbe una corruzione della parola “jook”, un termine che nello slang della gente di colore significava danzare e “box”, la scatola che riproduceva la musica.

Un’altra corrente di pensiero sostiene che “jook” significa sesso e che il “jook box” era il sistema per fare musica usato nei bordelli, mentre altri fanno risalire il termine a “jute joints“, i locali in cui i braccianti che raccoglievano la iuta si riposavano.

Oltre che per il riferimento alle case chiuse, la parola ebbe una connotazione negativa perché aveva caratterizzato gli “speakeasy“, i locali clandestini in cui si vendevano gli alcolici.

La cosiddetta “musica in scatola” fu amata e odiata ad un tempo: l’atmosfera magica portata dal sound di Artie Shaw o di Glenn Miller nei cocktail bar contrastava con le proteste dei musicisti che accusavano quella potente “macchina sonora” di sostituirli rubando loro il lavoro.

Gli anni ’50 e il rinnovamento

Ma l’ascesa del juke-box fu inarrestabile, sospinta dalla crescente coscienza della musica che il pubblico aveva grazie alla radio e ai dischi.

Tra i vari modelli che costruirono la mitologia del juke-box uno in particolare è degno di nota: il 1015 della Wurlitzer, nato nell’immediato dopoguerra fu protagonista della piú grande campagna pubblicitaria mai dedicata ad una macchina a moneta e rivolta al grande pubblico. Questa versione innescò un imponente processo di marketing invadendo pubblicità, riviste e locali.

Simbolo per eccellenza del divertimento dei giovani degli anni 50/60, ne furono costruiti ben 50.000 esemplari e questo modello, a differenza degli altri, non subì colpi dall’evoluzione del mercato perché, invece di essere ritirate, le nuove versioni del 1015 furono riadattate e perfezionate, passando dal 78 giri al 45. Grazie al microsolco, il vinile fornì una carica di efficienza e di fedeltà di suono ai juke-box.

La Seeburg, la più tecnologica tra le case di produzione, cavalcò l’evoluzione presentando il modello M 100A, che conteneva 100 dischi a fronte dei 24 degli altri esemplari, seguito dall’M100B che permetteva di scegliere tra 50 dischi da 45 giri incisi su entrambi i lati.

Fino agli anni 60 ci fu un’acerrima lotta fra le maggiori case produttrici che continuarono a sfornare nuovi modelli ad un ritmo convulso in un’affannosa gara senza esclusione di colpi.

Il juke-box era diventato “il divertimento al prezzo di un nichelinopreferito dall’America. Esso sopravvisse al suo declino negli ultimi anni 40 grazie ad una spinta decisiva di nuova tecnologia e stile.

Durante gli anni 50, sulla scia degli svaghi delle classi abbienti e del consumismo dilagante, il juke-box si adeguò ai tempi prima con i dischi a 45 giri, poi con l’hi-fi, con il disco microsolco e infine con lo stereo, cambiando in continuazione per adattarsi agli umori e alle esigenze di quegli anni.

Ora che i colori sono sbiaditi, le luci rotte e i dischi fermi, ora che non ci sono più nichelini da inserire in una fessura perché la musica è disponibile in streaming in modo illimitato, sarebbe bello soffiare via la polvere dagli ultimi esemplari ancora chiusi in qualche fumoso magazzino e riscoprire il fascino del sound impreciso, leggermente sporcato dallo stridore del disco durante la selezione di un pezzo di Bing Crosby o di Chuck Berry, di Hank Williams o di Elvis Presley.


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