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Racket a Napoli, il boss della camorra chiede il pizzo in videochiamata dal carcere: “Il silenzio delle vittime, nessuna denuncia ai pm”

racket napoli inchiesta ultime notizie 27 gennaio
Le indagini

Racket a Napoli, il boss della camorra chiede il pizzo in videochiamata dal carcere: “Il silenzio delle vittime, nessuna denuncia ai pm”. Sette gli imprenditori e commercianti vittime di usura ed estorsione. Lo riporta l’odierna edizione del Mattino.

Racket a Napoli, il boss della camorra in videochiamata

Sembra la trama di un brutto film dell’orrore. Ma al centro della scena non ci sono attori premiati, bensì un presunto boss della camorra napoletana. Nonostante debba scontare quattro ergastoli, non ha esitato a diventare il manager di se stesso. O meglio, il gestore delle sue attività illecite, che spaziano dalla produzione di guanti in pelle all’accoglienza turistica, dal settore immobiliare a quello degli orologi Rolex, con un inevitabile legame con Dubai. Ma torniamo al brutto film dell’orrore. Qui, l’Oscar non è quello di Hollywood, ma si riferisce a un racconto di Oscar Pecorelli, presunto boss del clan Lo Russo.

È considerato il presunto regista di una vicenda simile a quella de “Il silenzio degli innocenti”. Infatti, durante mesi di indagini, il silenzio ha caratterizzato il comportamento delle vittime di racket e di estorsione. Sette sono i nomi di imprenditori e commercianti che hanno subito la pressione usuraria ed estorsiva che la Procura di Napoli attribuisce a Oscar Pecorelli.

Le indagini

Sette nomi sono emersi nell’ordinanza di custodia cautelare firmata dal gip del Tribunale di Napoli, Rosamaria De Lellis, come presunti soggetti offesi in una trama criminale basata su richieste di denaro. Si tratta di somme prestate a tassi usurari o estorte con minacce. L’inchiesta, condotta dal pm Maria Sepe e coordinata dal procuratore aggiunto Sergio Amato, ha portato a un blitz a Milano pochi giorni fa. Ricordate la vicenda? Gli agenti della Finanza (nucleo di polizia economica e finanziaria) e della polizia penitenziaria hanno notificato un ordine di arresto a Pecorelli, che si trovava nel carcere milanese di Opera, dove gestiva i suoi affari attraverso colloqui regolarmente autorizzati. In sostanza, il gruppo attorno a Pecorelli riusciva a convocare imprenditori e operatori economici per vere e proprie audizioni in videoconferenza, durante le quali le minacce si materializzavano da un lato all’altro dello schermo.

Le richieste di saldare debiti (per prestiti usurai) o di pagare il pizzo si affiancano al tentativo di assecondare le vittime. Tuttavia, aleggia la paura di denunciare. Le parti offese rimangono in silenzio, tutti tacciono. C’è timore per possibili ritorsioni da parte di un individuo considerato responsabile di alcuni omicidi avvenuti durante le faide che hanno insanguinato l’area a nord di Napoli nel primo decennio di questo secolo. Non è un caso che Oscar Pecorelli venga etichettato come o malommo, proprio per la sua abilità nel manifestare la violenza.

La vicenda del racket in videoconferenza ha portato all’arresto del boss ergastolano e di sua moglie, Mariangela Carrozza, mentre il gip ha disposto gli arresti domiciliari per il loro figlio, Rosario Pecorelli, di 19 anni. Le indagini si concentrano sulla capacità degli inquirenti di acquisire e intercettare le conversazioni avvenute durante i colloqui. Finora sono stati identificati almeno sette individui che, per il momento, si sono astenuti dal confermare le ipotesi investigative.

Le ipotesi

Le due possibilità sono: o sono coinvolti in attività di riciclaggio orchestrate da un detenuto a Milano, oppure sono semplici vittime spaventate dalla potenziale reazione di un individuo che, secondo gli inquirenti, dispone di una rete di complici. Tra le intercettazioni raccolte, ce n’è una che recita: «Non vorrei essere costretto a chiamare mio cugino o i…».

Questa mattina, i tre individui avranno l’opportunità di difendersi durante l’interrogatorio di garanzia, cercando di dimostrare la loro estraneità alle accuse formulate dalla DDA di Napoli. Sotto la difesa dell’avvocato penalista Domenico Dello Iacono, i presunti membri del gruppo Pecorelli sono accusati di essere al centro di una rete affaristica che avrebbe coinvolto anche diversi prestanome. Tra i documenti dell’inchiesta emergono veri e propri registri contabili, tutti riconducibili al boss attualmente detenuto. Questi documenti fanno parte della gestione di un’azienda ora sotto sequestro, dove, secondo i pubblici ministeri, sarebbero stati canalizzati i proventi di attività illecite come racket e usura. Il tutto avviene nel silenzio di chi è innocente.