La procura di Firenze inguaia il senatore Matteo Renzi con le indagini sulla Fondazione Open. Il leader di Italia Viva avrebbe utilizzato in maniera impropria Open, fino a sollevare dubbi in merito ad eventuali conflitti d’interesse. Oltre 92mila le pagine raccolte nell’inchiesta. Dove è finita l’etica pubblica?
L’indagine su Matteo Renzi e sulla Fondazione Open
L’indagine ha permesso di scoprire alla procura di Firenze uno stretto legame tra la Fondazione Open e l’ex Segretario del Partito Democratico. Addirittura, Renzi avrebbe utilizzato Open per finanziare il suo partito, senza rispettare i requisiti di trasparenza e di tracciabilità, ormai richiesti inderogabilmente. Ulteriori dettagli saranno, poi, forniti durante lo svolgimento del procedimento. Ancora una volta, dunque, si riapre il dibattito circa le modalità di finanziamento della politica, oggetto di innumerevoli critiche, nel corso della storia italiana.
Nata nel 2012 sotto il nome di Big Bang, la Fondazione Open era stata spesso accostata all’ex Premier ed alla sua fedelissima frangia, sin dai tempi della Segreteria del Partito Democratico. Circa 6 milioni di euro sarebbero stati raccolti, fino al 2018, dalla stessa Open, per far fronte alle spese politiche della corrente renziana. Tra questi, però, l’inchiesta, così come spiega il Fatto Quotidiano, si concentra su oltre tre milioni e mezzo di euro utilizzati in maniera opaca tra il 2014 ed il 2018, proprio per sostenere l’attività politica di Renzi, Lotti e Boschi.
Fondi utilizzati in maniera lecita?
La procura di Firenze contesta al leader di Italia Viva la presunta incompatibilità tra i fondi e le attività della fondazione politica. Nello specifico, i soldi sarebbero stati distratti proprio per organizzare eventi, incontri ed altre iniziative da Matteo Renzi, configurando un vero e proprio finanziamento illecito all’allora partito del politico toscano.
Pessime notizie anche per Lotti, ex segretario del Comitato Interministeriale per la Programmazione Economica (CIPE), accusato di corruzione per l’esercizio della funzione, a causa di un donazione di oltre 250mila euro ricevuta da una società produttrice di sigarette, ovvero la British American Tobacco. Proprio Lotti, secondo l’accusa, potrebbe essere condannato per essersi “ripetutamente adoperato in relazione a disposizioni normative di interesse”, in favore dell’azienda.
Inoltre, Lotti, insieme al presidente della Fondazione stessa, avrebbe ricevuto anche somme di denaro dalla Toto Costruzioni, in cambio di pressioni sul governo. Parte di queste somme di denaro (circa 200mila euro), poi, sarebbero state spostate sul comitato per il Si al referendum del 2016, proposto proprio da Renzi.
La reazione di Renzi alla pubblicazione del conto corrente
La procura ha acquisito l’estratto conto di uno dei conti corrente di Renzi, così come pubblicato in anteprima dal Fatto Quotidiano. Lo stesso senatore di Italia Viva avrebbe contestato i metodi di acquisizione delle notizie oggetto di reato, definendole finanche “barbarie”, nelle differenti dichiarazioni televisive finora raccolte.
Nel mirino del senatore si scorge soprattutto Il Fatto Quotidiano, reo di aver pubblicato il suo estratto conto, ovvero di tutte le entrate percepite presso la filiale della sua banca al Senato. Per di più, a scanso di querele, il giornale diretto da Marco Travaglio ha precisato che nella pubblicazione non sarebbe stato commesso nessun illecito. Al centro dell’inchiesta i pagamenti per le sue conferenze internazionali. Nello specifico, è stata segnalata la conferenza per l’Arabia Saudita, oltre che i 653mila euro ricevuti per il famoso documentario sulla città di Firenze, di cui era sindaco prima di divenire Segretario dei Dem.
Cosa è emerso dall’analisi del conto corrente di Renzi?
Tra le 92mila pagine dell’inchiesta, però, media e tv hanno focalizzato maggiormente l’attenzione sulla fonte di tali finanziamenti comparsi sul conto corrente legato al leader di Italia Viva. A prescindere dalla liceità delle azioni del senatore, infatti, a far rabbrividire elettorato e detrattori sono i pagamenti ricevuti dall’Arabia Saudita e dal suo principe. Proprio Mohammad Bin Salman, noto alla cronaca italiana per l’esilarante sipario del politico fiorentino, con cui affermò che in Arabia ci fosse un “New Reinassance”, sarebbe un acerrimo nemico della democrazia. A lui sarebbe finanche ricondotto l’ordine di assassinio del giornalista Jamal Kashoggi, come emerso dall’ultimo rapporto della Cia del 2021.
Le presunte violazioni costituzionali, così come definite dal leader di Italia Viva, hanno comunque permesso l’emersione di ingenti spostamenti di fondi, calcolati in circa 2,5milioni di euro. Oltre ai finanziamenti inglesi, arabi e coreani sarebbero spuntati dall’informativa altri compensi, utili a far impallidire gli esponenti di Italia Viva. Nello specifico, sono stati elencati quelli ricevuti dal fondo Algebris del finanziere Davide Serra, della Invest Industrial e della società di private equity di Alessandro Benetton, successivamente al crollo del Ponte Morandi.
Renzi e caso Open: dove è finita l’etica pubblica?
Nonostante il senatore Renzi non abbia ammesso nessun illecito, la questione scalfisce ulteriormente il corroso rapporto tra cittadini ed esponenti politici. Così come rimarcato dal Greco (Groupe d’Etats Contre la Corruption), i parlamentari ricevono compensi sufficienti per abbandonare ogni altra forma di guadagno, che eventualmente potrebbe porsi in conflitto di interessi, rispetto a quello pubblico. Inoltre, come specificato dallo stesso organismo di controllo del Consiglio d’Europa, in Italia è assente uno specifico regolamento per i senatori volto a redimere i conflitti d’interessi. Ciononostante, questi non potrebbero essere liberi di cacciarsi in situazioni scomode e difficilmente giustificabili, in virtù dei principi di etica pubblica, posti alla base del loro impegno pubblico.