Cronaca

Rom incinta pestata in metro a Roma, 4 anni a una delle aguzzine: “Verranno a cercarmi di nuovo”

Roma, donna incinta picchiata in metro: la paura dopo la condanna
L'aggressione

Non vivo più, non dormo più e ho paura ad uscire di casa, perché temo che prima o poi mi uccideranno. Sono stata costretta a lasciare l’Italia, devo difendere me e mio figlio”. Queste le parole di M.S., la 40enne croata aggredita brutalmente a Roma mentre era incinta. Nonostante siano passati quasi 8 mesi dall’aggressione, la donna è ancora profondamente scossa.

Rifugiata all’estero, circondata dall’affetto dei suoi cari, ha appreso ieri della condanna dei suoi aggressori, responsabili di averla picchiata selvaggiamente davanti agli occhi di passanti e turisti, il 5 aprile scorso, alla stazione della metro B di Termini.

Roma, donna incinta picchiata in metro: la paura dopo la condanna

Tra gli aggressori, la 40enne ha riconosciuto Sabira S., una delle cinque persone coinvolte (tutti di etnia rom), che è stata condannata ieri a 4 anni e 8 mesi di reclusione con rito abbreviato. Un altro dei partecipanti andrà a processo con rito ordinario, mentre uno è ancora latitante e due minorenni saranno giudicati dal tribunale per i minori.

Secondo l’accusa, Sabira S. e Martina (ancora non identificata) avrebbero estorto denaro alla vittima, che lavorava nei pressi della metro B. Le due donne, infatti, le avevano chiesto una somma di mille euro giornalieri per permetterle di operare nella zona senza essere molestata dai borseggiatori. M.S. aveva già consegnato 300 euro come anticipo, ma il giorno dell’aggressione, dopo essersi rifiutata di pagare il saldo, è stata brutalmente picchiata. Il gruppo, infatti, ha fatto in modo che le porte del treno non si chiudessero, bloccandolo e aggredendo la donna con calci, pugni e una bottiglia di vetro, procurandole gravi lesioni.

La donna, che ha rischiato la vita a causa del violento attacco, è stata ricoverata in condizioni critiche al Policlinico Umberto I, dove è stato necessario un parto d’urgenza per salvare il bambino. Dopo diverse operazioni, è stata dimessa.

La condanna a Sabira S. è stata accolta con un misto di sollievo e frustrazione dalla vittima, che lamenta la pena troppo lieve. «Avrebbero dovuto darmi una pena più severa, volevano uccidere me e mio figlio, questa volta non ci sono riusciti, ma la prossima volta ci riusciranno», ha commentato la donna, che dovrà subire un ulteriore intervento chirurgico alla mandibola. La 40enne, ancora traumatizzata, racconta anche degli incubi che la tormentano ogni notte. «Il mio calvario è iniziato quel giorno», ha detto, mentre il fratello esprime preoccupazione per la sicurezza della sua famiglia, temendo che gli aggressori possano tornare.

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