Inchiesta sulle azienda bufaline nella Piana del Sele: ecco tutti gli affari del nipote di Marandino, boss di Capaccio Paestum.
Ecco tutti gli affari di Marandino jr
Il grande affaire del latte e delle aziende bufaline a Capaccio. Il quotidiano Cronache, nelle settimane scorse, aveva parlato di un settore in crisi, facilmente preda di affaristi a buon mercato.
Qui sono comparsi improvvisamente il nome di Tonino Campione, Giovanni Maiale e sullo sfondo quello del vecchio boss Marandino. Ma ad onor del vero fu la trasmissione Report di Rai Tre, lo scorso anno, a scoperchiare un filone che stranamente, vista anche la caratura dei personaggi che si presentano sulla scena, meriterebbe più approfondimento dalle Forze dell’Ordine.
E la storia raccontata da Report tira in ballo Giovanni Marandino jr. Porta lo stesso nome di suo nonno, braccio destro di Cutolo negli anni ’80 e ancora oggi ras incontrastato nella Piana del Sele. La vittima è un allevatore di Capaccio Pasquale Di Luccio, ex ufficiale della Guardia di Finanza. E’ il 2012. Non riesce più a far fronte alle rate di un mutuo da 290 mila con la Banca di Credito di Serino.
Per questo, l’istituto si rivolge al Tribunale di Salerno che commissaria la fattoria dell’imprenditore paestano e nomina una custode giudiziaria, la calabrese Oriana Travaglio. Per poter continuare a mantenere in piedi la sua attività e lavorare dentro la sua stessa azienda, Pasquale Di Luccio deve pagare ogni mese un affitto di 2000 euro.
Di Luccio paga la rata stabilita dal Tribunale e le cose sembrano andare meglio. Dopo qualche mese acquista altre 160 bufale da un altro allevatore di Capaccio Paestum. Le compra per 140mila euro con un pagamento rateale. Anche in questo caso, Pasquale Di Luccio inizia a saldare regolarmente quanto dovuto, arrivando a versargli 106mila euro. A pochi mesi dalla transazione, le bufale acquistate dall’imprenditore paestano vengono pignorate.
Stavolta però non dipende dalle difficoltà economiche di Di Luccio. La responsabilità è dell’imprenditore che gliele ha vendute, il quale, nonostante avesse incassato l’acconto e le rate, non aveva mai registrato la cessione del bestiame. Di Luccio lo scopre solo nel momento in cui l’Azienda agricola Fravita s.r.l. chiede all’allevatore di saldare un debito di oltre 100 mila euro e quindi prova a rivalersi attraverso il pignoramento delle 160 bufale che Di Luccio pensava di aver acquistato regolarmente.
Il pignoramento scatta all’inizio del 2016, è a questo punto che fa la sua comparsa nella storia Giovanni Marandino jr. già titolare di quote di alcune società che i magistrati della Procura di Firenze hanno ritenuto nella disponibilità del nonno camorrista: Auto2000 e Azienda Agricola Sabatella, formalmente intestate a Giovanni Marandino junior e a Emanuel Marandino, figlio di seconde nozze del boss. Marandino Junior, che finora non è stato mai sottoposto a procedimenti per associazione mafiosa, fa l’imprenditore nella Piana del Sele.
Sebbene con fortune molto alterne, considerato che il suo nome spunta più volte nel registro dei “protestati” della Camera di Commercio per il mancato pagamento di cambiali. Giovanni Marandino si propone come mediatore nella controversia tra l’allevatore di Capaccio e l’Azienda Fravita. Il nipote del boss avrebbe organizzato dunque un incontro a cui partecipano i titolari della Fravita srl, tra cui uno dei più famosi notai della Piana del Sele: Pasquale Cammarano.
A Report Cammarano conferma la riunione e precisa: «Non avevo mai incontrato prima Marandino Jr, ma conoscevo bene suo nonno che è stato più volte mio cliente negli anni ‘70». Insieme, secondo l’esposto fatto al Gico da Di Luccio, raggiungono un accordo in base al quale il debito sarebbe sceso a 80mila euro e sarebbe stato rilevato da Marandino Junior attraverso una società di famiglia.
Il nipote del più potente e pericoloso camorrista della Piana del Sele da mediatore diventa così creditore dei due imprenditori. «In realtà – è la versione del notaio – quei soldi non li ho mai più recuperati e infatti sulla questione pende una causa civile» La somma che deve saldare Di Luccio ammonterebbe invece a 34mila euro, vale a dire la quota restante non ancora pagata per le 160 bufale.
Dal momento che Di Luccio non è in grado di saldare subito, si legge nell’esposto, accetta che il pagamento avvenga in latte di bufala, che, per mesi, ogni mattina sarebbe stato consegnato al Caseificio “La Cilentana”, di proprietà della famiglia Marandino. Inoltre, viene chiesta in cambio a Di Luccio la cortesia di ospitare una sessantina di bufale, intestate alla Buvar, società costituita in quelle settimane, che vede come titolare la moglie di Marandino Jr e amministratrice la madre, Angela Paladino, nuora dell’anziano boss.
Ma, secondo il racconto fatto al Gico, quando Di Luccio ha chiesto al nipote del boss di reaver mai pronunciato, fornendo una versione diversa. Conferma di essere entrato nella trattativa con il notaio e di aver rilevato il debito, ma ottenendo in cambio l’intera mandria di bufale, che era al centro della contesa. Stando a quanto riferisce a Report, non ci sarebbe dunque stato nessun accordo con Di Luccio, che a suo avviso non poteva accampare all’epoca nessun diritto sul bestiame. Circostanza questa che sarebbe però smentita dalla scrittura privata tra Di Luccio e l’allevatore capaccese.
Nonostante le minacce verbali riferite, Pasquale Di Luccio ha il coraggio di denunciare il nipote del boss e prova a cacciarlo dalla sua azienda. Ci prova ma non ci riesce. Quando inizia la causa scopre infatti che Marandino Jr ha consegnato alla custode, la Travaglio, un contratto di comodato d’uso gratuito della fattoria dei Di Luccio, intestato alla Buvar, che, stando all’esposto presentato dall’imprenditore, sarebbe falso. Quindi, formalmente, i Marandino avrebbero avuto il pieno diritto a continuare a stare nell’azienda. Tutto pulito, legale.
Le Cronache