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“Io, infermiere positivo al coronavirus”: la lettera di un operatore sanitario del Ruggi di Salerno

La commovente lettera di un infermiere del Ruggi di Salerno positivo al coronavirus “Ce la faremo, ma sicuramente abbiamo tutti bisogno di maggiore attenzione da parte delle Istituzioni. Essere “un positivo” oggi ti fa accorgere di quanto sia importante la solidarietà tra uomini e donne”.

Salerno, infermiere del Ruggi positivo al coronavirus: la lettera

Sono Raffaele Sicignano, un operatore sanitario dell’Azienda Ospedaliera Universitaria San Giovanni di Dio e Ruggi d’Aragona di Salerno e sono risultato positivo al tampone per il COVID-19.
Sono in buone condizioni, sono a casa in quarantena da quasi quindici giorni, legittimamente preoccupato per i miei familiari e per quanti sarebbero potuti rimanere contagiati visto il mio stato di salute.
E’una condizione particolare quella di chi come me vive un momento delicato, a fronte di quanto successo in queste drammatiche settimane in tutta Italia. Esprimo la mia solidarietà a tutti coloro che oggi combattono questo virus, a tutti i colleghi che come me si trovano in questa situazione.
Ce la faremo, ma sicuramente abbiamo tutti bisogno di maggiore attenzione da parte delle Istituzioni. Avremmo bisogno di essere seguiti nella nostra degenza domestica. Vorrei avere un quadro più preciso e completo del mio stato di salute. Ad oggi non sono stato sottoposto né ad una visita presso il mio domicilio, né ad un esame del sangue, una radiografia per verificare che tutto stia andando nel verso giusto.
Spero di uscirne presto, in attesa del secondo tampone, ma bisogna fare di più!
Ho deciso di scrivere qualche riga, per combattere la solitudine, perché essere “un positivo” oggi ti fa accorgere di quanto sia importante la solidarietà tra uomini e donne. Ringrazio quanti in questi giorni mi hanno dimostrato la loro vicinanza, con telefonate, messaggi. Mi sono reso conto che solo “insieme” riusciremo a superare questo momento difficile. Ma devo anche dire che non tutti hanno dimostrato la loro solidarietà, come se essere “positivo” significhi essere un appestato, una persona da evitare, o da colpevolizzare per il suo stato di salute. Io sono un infermiere, molti ci definiscono “eroi”, ma in realtà siamo semplicemente uomini e donne che prestano il loro servizio a tutela dei cittadini nelle strutture ospedaliere. Voglio tornare al mio lavoro, tra i miei pazienti, tra i miei colleghi, con la speranza di ricevere l’affetto di cui tutti noi abbiamo bisogno, ma che, ripeto, in alcuni momenti ho sentito venir meno.
Tornerò a lavorare, cercando di garantire a me e i miei colleghi la maggiore sicurezza possibile, perché il virus resta, il pericolo è ancora alto e non bisogna allentare l’attenzione nella cosiddetta “fase 2”.
La sicurezza dei pazienti passa anche per quella di noi operatori. Uno sforzo comune dal più alto in grado, all’ultimo degli operatori, tutti insieme uniti per uscirne più forti, con un unico obiettivo “curare i cittadini” e garantire una sanità pubblica al servizio di tutti, investendo sempre di più in strutture e strumentazioni.

 

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