Il caso Eboli, con le sue presunte corruzioni ed i suoi altrettanto presunti peculati giunti di recente al centro dell’attenzione mediatica, finisce sulla scrivania del procuratore di Napoli.
Corruzione ad Eboli: il caso finisce a Napoli
E cosa c’entrino i magistrati napoletani può essere spiegato soltanto in un modo una volta superata (anche) la fase dell’avocazione a sé della procura generale: far luce sullo stato delle indagini condotte dai colleghi di Salerno, perché si siano mosse in un certo modo o addirittura non si siano mosse affatto, se c’è qualcosa che le rallenti, se il ritmo delle stesse sia o sia stato condizionato da qualsiasi elemento, endogeno od esogeno rispetto all’apparato. È la legge che regola queste cose, a partire dall’articolo 11 del codice di procedura penale.
L’indiscrezione filtra dal centro direzionale partenopeo dopo il boom mediatico ottenuto dal caso derivata a Napoli: dopodiché, a questo punto, è lecito supporre un po’ tutto, solo il tempo potrà chiarire questi aspetti. Vedremo. Intanto, emergono ulteriori aspetti della faccenda, a partire dai rapporti intercorsi o intercorrentitra il Comune di Eboli e l’imprenditore Gennaro Mastrolia, coindagato dell’amministrazione, finito quattro anni fa nelle maglie della giustizia per una storia di usura e intimidazioni aggravate dal metodo mafioso nell’ambito di un blitlle pesanti contestazioni (corruzione, peculato, falso) elevate dal pubblico ministero di Salerno al sindaco di Eboli, Massimo Cariello, ad un suo assessore, a un paio di dipendenti comunali, a un imprenditore macchiato da collusioni mafiose e ad un esperto informatico, a sua volta parte lesa di un procedimento “madre” corposo e dettagliato.
Come sia finito a Napoli il cosiddetto “dossier Ciaglia” (dal nome del denunciante il presunto sistema corruttivo dell’amministrazione ebolitana) non ci è dato saperlo, così come non ci è dato sapere se e in quale senso si siano mosse o intendano muoversi le toghe napoletane in relazione ai fatti. Quel che sappiamo è che la “pratica” è arz della Dda (l’inchiesta “Rete”) che strinse le manette ai polsi di noti pluripregiudicati per reati specifici legati al crimine organizzato (su tutti D’Ambrosio e Ricciardi, rispettivamente di Campagna ed Eboli). Risulterebbero, infatti, determine di pagamento del comune di Eboli in favore di una società riconducibile a Mastrolia per importi non particolarmente sinificativi ma al di fuori della normativa: in pratica, pagamenti diretti senza il previo impegno di spesa, per giunta frazionati per non superare le soglie di legge. In questo modo si elude l’obbligo di presentazione del certificato antimafia.
Se la circostanza venisse confermata da riscontritecnici ufficiali, la rogna per il sindaco e per i coindagati potrebbe addirittura raddoppiarsi: la disciplina giuridica che regola i casi di scioglimento degli enti locali infiltrati dalla mala, per quanto spesso assurda e farraginosa, non lascia scampo, specie dinanzi a plateali quanto spericolate ed incoscienti manovre di aggiramento dei parametri minimi stabiliti dalla legge.
Insomma, un gran bel casino, frutto forse del clima da “out of control” che sembra governare la macchina comunale. Quindi: da un lato c’è (ci sarebbe?) l’occhio della procura di Napoli su quella di Salerno, peraltro depotenziato (o potenziato?) proprio dalla richiesta di proroga delle indagini del “fascicolo Ciaglia” (il 6509/2018 Rgnr), dall’altro la spada di Damocle di un corto circuito causato dalle relazioni pericolose che la macchina amministrativa avrebbe coltivato.
Ora, rebus sic stantibus, l’affare si ingrossa perché a quanto pare la recente vicenda ebolitana ha dato la stura ad una serie di doglianze sulle lungaggini di altre inchieste giudiziarie, apparentemente ferme al palo e che pure si rischia finiscano a Napoli: c’è quella sull’Asl di Salerno (40 indagati) quella sulla Casa del Pellegrino, quella sulla cooperativa Ises, sul centro Cedisa di Salerno, sulla società di riscossione tributi Soget e chissà quali altre.
L’apparato salernitano sconta, questo va detto, la lunga fase di interregno del posto di comando, anche se i boatos danno per chiusa la partitacon la nomina a procuratore capo di Leonida Primicerio, attuale procuratore generale di Salerno. Essendo la scelta essenzialmente di natura politica (i magistrati, checché se ne dica o pensi, fanno esattamente quel che fanno tutte le categorie, cioè spartiscono posti e poltrone sulla base del potere attuale della corrente di appartenenza, nessuno si scandalizzi) trovare la famosa quadra non è facile, ergo, il tempo scorre, i sostituti lavorano spesso a vuoto per l’assenza della copertura “garantita” dal vertice dell’ufficio, e giocoforza le indagini ne risentono. Sarà anche normale, di certo non è un bene, soprattutto per le parti lese.
Fonte: Le Cronache