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Dall’altra parte delle sbarre, quando morire sembra essere una scelta plausibile

“Dopo Danise ancora un caso di trattamento inumano e degradante al carcere di Fuorni. Negare ancora una volta i livelli essenziali di assistenza ai detenuti vuol dire violare continuatamente l’art. 3 della Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo. Mi chiedo e chiedo al Dottor Maiese che è il responsabile dell’Asl salernitana per la sanità penitenziaria se ha già stabilito un’inchiesta volta a stabilire i fatti e responsabilità relativi all’ennesima vicenda subita da Francesco Sorrentino”.

Questa l’ennesima denuncia del segretario dei Radicali di Salerno Donato Salzano, che da tempo si batte affinché vengano rispettati i diritti umani anche dietro le sbarre.

L’articolo 3 della Convenzione Europea dei Diritti Umani titola: “Proibizione della tortura”. Questo definisce che “nessuno può essere sottoposto a tortura né a pene o trattamenti inumani o degradanti”.

Ma da quanto si evince  dalla testimonianza di chi ha visto e, soprattutto, vissuto la realtà carceraria, nella struttura detentiva di Fuorni vige l’emarginazione dell’ultimo, abbandonato a se stesso nell’isolamento dalla vita reale e lontano da una condizione di vita accettabile per un detenuto.

Francesco Sorrentino come Giuseppe Danise.

Ma andiamo per gradi.

Il caso Danise

Giuseppe Danise, parcheggiatore abusivo originario di Siano, nel 2004 viene arrestato e processato per estorsione. Nel novembre del 2013 viene confermata la condanna a 7 anni dalla Cassazione e Danise viene portato nel carcere di Fuorni.

L’uomo, però, da anni è affetto da gravi malattie quali l’Aids, la cirrosi epatica avanzata, l’epatite C e il tumore al fegato che, con il passare degli anni, hanno peggiorato le sue condizioni fisiche e ridotto le aspettative di vita.

Il suo legale rappresentate, Gerardo Di Filippo, chiede ed ottiene gli arresti domiciliari per il periodo di un anno, dandogli la possibilità di seguire cure adeguate. Ma allo scadere dei termini, quando l’avvocato fa richiesta di ulteriore proroga di 12 mesi, questa viene respinta e Danise torna in carcere.

Successivamente ricoverato nella sezione detentiva dell’ospedale San Giovanni di Dio e Ruggi D’Aragona, dopo pochi mesi è stato trasferito nella struttura clinica San Paolo di Poggioreale perché Fuorni è fornita di un’infermeria che non può gestire casi della portata di Danise.

«L’ultima stazione di un calvario nella via crucis del penitenziario più affollato d’Europa, dove nell’indifferenza di quasi tutti si ammassa carne umana come in un nuovo girone dantesco da campo di sterminio nazista», la dura reazione dei Radicali di Salerno.

Trattamenti inumani e degradanti

Ma il caso di Danise non è che un esempio delle tante falle nel sistema carcerario italiano, compresa la struttura di Fuorni.

A raccontarla sono gli stessi detenuti attraverso una lettera aperta pubblicata sul quotidiano La Città.

Un quadro desolante quello che emerge: spazio nelle celle al di sotto delle normative; giornate intere di inattività; scarsa igiene e sostegno medico inconsistente; solitudine spinta alla depressione.

Ecco alcuni estratti.

“In uno spazio di 28 metri quadrati ci costringono a trascorrere 22 ore al giorno, costretti a svegliarsi alle ore sei del mattino per poter mantenere quel minimo di igiene personale ed essere tutti pronti per l’ora d’aria”

“con un tavolo di due metri quadrati per consumare il pranzo e la cena in otto persone bisogna creare dei sensi unici alternati per poter scendere dal letto”

“o stai sul letto, o stai sul letto, non hai altre possibilità”

 “un bagno di circa 2 metri quadrati con lavabo e water. Per il bidet ci hanno dotato di una bacinella di plastica, manca pure la doccia e l’acqua calda”

 “un mio amico di cella mangia e rimette già da una settimana. La sera prego per lui perché Dio lo aiuti a superare questi cinque mesi”

 “È vietato accarezzare una mamma, prendere per mano un figlio. Non è possibile farsi portare una caramella o una bottiglia d’acqua o qualsiasi altra cosa che aiuti i nostri cari a trascorrere il tempo dell’attesa prima dell’ora di colloquio”

 “la sezione dei detenuti è dotata di una stanza che usiamo quando vengono a farci la perquisizione, ogni sei o sette giorni: la stanza per la socialità. Vi descrivo l’arredamento: un calciobalilla, un tavolo da ping pong, un tavolo, quattro sgabelli e un mazzo di carte”

Donato Salzano, dopo la pubblicazione della lettera ha invitato la direzione del carcere di Fuorni a far visita ai detenuti e verificare di persona “magari con un metro” le condizioni in cui vivono e per accertare la reale violazione dei “diritti dell’uomo”.

“il carcere è lutto, perché uccide la voglia di vivere ed è proprio questo che porta troppe persone a quella che si chiama scelta di morte”

Così si chiude la lettera dei detenuti. Ma c’è una domanda che sembra giusto fare: qual è lo scopo ultimo del sistema carcerario, rieducare o punire?

 

 

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