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Migranti a Salerno, sei sbarchi in tre mesi

SALERNO. Il primo luglio il Porto Commerciale di Salerno ha fatto da scenario al primo sbarco di migranti. Da allora si sono susseguiti alti 5 sbarchi: 19 luglio, 5 agosto, 18 agosto e quello di oggi, 16 settembre. Sono migliaia le persone provenienti da Costa d’Avorio, Pakistan, Siria, Palestina, Iraq, Somalia, Gambia e Eritrea che sono giunte in Italia, e più precisamente a Salerno, a bordo delle navi militari quali Etna, Virgilio Fasan e San Giusto. Tantissimi anche i minori non accompagnati che hanno affrontato il cosiddetto viaggio della speranza alla ricerca di un futuro migliore. In occasione dei primi due sbarchi, i minori hanno soggiornato per alcuni giorni presso la sede del Nucleo Comunale della Protezione Civile di Salerno di via dei Carrari, in attesa di essere trasferiti nei centri di accoglienza. Ma ciò non è accaduto per gli altri sbarchi e, forse, nemmeno con quest’ultimo. Alla base di questo rifiuto del Comune ci sarebbe una querelle politica tra questi e la Regione, di natura economica. Ma torniamo ai migranti. Perché giungono a Salerno? Il porto Commerciale della città è stato inserito, dal governo, nella lista dei centri attualmente operativi, dopo quello di Lampedusa (Agrigento), Elmas (Cagliari), Otranto (Lecce) e Pozzallo (Ragusa). Le operazioni di sbarco sono complesse: la nave militare attracca al Porto e i volontari iniziano a far scendere queste persone. Vengono suddivise per nazionalità già sulla nave, in maniera da rendere più fattibile l’operazione di riconoscimento. Come facilmente prevedibile i migranti che scendono dalla nave potrebbero essere affette da patologie. Molti, infatti, sono stati i casi di scabbia registrati tra gli extracomunitari giunti a Salerno e trasferiti nei centri di accoglienza di Sicignano. I restanti migranti sono invece stati trasferiti nelle strutture di accoglienza di Liguria, Piemonte, Lazio, Toscana, Veneto, Umbria, Friuli Venezia Giulia, Basilicata, Abruzzo, Marche e Lombardia. Altri, invece, sono stati trasferiti nelle strutture di Salerno, Napoli, Benevento e Avellino.Ma perché in Italia continuano a susseguirsi questi sbarchi? Presto detto. Il ministro dell’Interno Angelino Alfano ha dato vita alla cosiddetta operazione ‘Mare Nostrum’ lo scorso 18 ottobre 2013. Consiste in un’operazione militare, nel Mar Mediterraneo, con lo scopo di fronteggiare lo stato di emergenza umanitaria nello Stretto di Sicilia, a causa dell’afflusso di migranti. Un’operazione, questa, criticata da vari esponenti politici che ne richiedono lo stop immediato. Alfano, intanto, intende sostituire l’operazione ‘Mare Nostrum’ con la ‘Frontex’, un’istituzione dell’Unione Europea il cui scopo è coordinare il pattugliamento delle frontiere esterne aeree, marittime e terrestri degli Stati della UE e l’implementazione di accordi con i Paesi confinanti con l’Unione europea per la riammissione dei migranti extracomunitari respinti lungo le frontiere.
Altro quesito posto dai più è: come vivono questi migranti una volta giunti in terra straniera per affrontare la quotidianità? In realtà c’è da dire che qui fugge da questi paesi non sempre sono persone povere. Molte, infatti, nelle loro terre hanno condizioni economiche stabili e sufficienti per mandare avanti la famiglia. Dopo lo sbarco e il trasferimento nei vari centri di accoglienza questi ricevono circa 37 euro al giorno. Per i minori, invece, la situazione è diversa: restano nei centri di accoglienza fino al compimento della maggior età per poi ricevere un ‘bonus’ economico prima di lasciare il centro. Ma a questo punto la domanda sorge spontanea: dove vanno? Cosa faranno? La loro vita sembra lasciata al caso. Il destino decide per loro: i più fortunati troveranno qualcuno che si occuperà di loro, un lavoro, una casa o un centro in cui vivere. Per altri, invece, il destino continuerà ad essere avverso e si ritroveranno a fare la vita dei clochard. Ma forse questo poco importa a chi gestisce il centro. E così ecco che ritorna prepotente la paura del futuro. Queste persone hanno nei loro occhi la paura, la sofferenza ma anche la speranza per un futuro migliore, magari lontano da guerre, morte, fame e miseria. Eppure non sempre è così. Per molti migranti dopo un periodo di stabilità e di serenità sembra riaffacciarsi la possibilità di affrontare un nuovo viaggio, certo non a bordo di un gommone. Ma infondo cosa cambia se sarà un gommone, un treno o un autobus? Dovranno ricominciare daccapo per l’ennesima volta, sempre con la speranza di una vita diversa, migliore. Di un futuro non più incerto. Di una base stabile da cui ricominciare da zero. Queste persone non dimenticano. La guerra non si può dimenticare. Si può solo ricominciare e allora forse è giusto che chi permette loro di affrontare un viaggio che mette in pericolo la loro stessa vita trovi anche una soluzione per il futuro affinché si possa parlare davvero di viaggio della speranza perché allo stato attuale sembra più il viaggio della disperazione. Una disperazione che ha riempito di cadaveri il Mar Mediterraneo, stroncando tante vite di adulti e bambini.

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