ROSCIGNO. Il paese oggi conosciuta come patrimonio dell’Unesco, soprannominato “il paese che cammina” una zona che è sempre stata soggetto a frane e smottamenti.
I documenti ritrovati parlano di frane che si sono susseguite nei secoli, nell’archivio della curia di Teggiano è conservato un manoscritto, risalente al 1791, che parla dello spostamento e la costruzione del paese.
Nel 1860 una nuova frana rischia di trascinare il paese a valle tanto che tra il 1888 e il 1891 il genio civile di Salerno decide di trasferire l’abitato in un’altra contrada. All’inizio del ‘900 in base alla disposizione di due leggi stabilirono interventi statali a favore dei paesi franosi legge speciale del 7 Luglio 1902 n. 301 e legge del 9 Luglio 1908 n. 445.
Gli abitanti furono ancora una volta costretti alla migrazione forzata, verso la località più in alto verso il Monte Pruno. Il paese vecchio è sgomberato e si inizia la costruzione a un km di distanza.
La Roscigno vecchia è rimasta cristallizzata, le case, le botteghe sono ancora integre. La zona gode di una vista strategica per controllare “la Via Istmica”, detta anche “via del sale” la via istmica era un’antica via di comunicazione che collegava lo Ionio con il Tirreno; via comoda di passaggio, di transumanza, di commercio, che collegava l’interno e il mare.
Monte Pruno il balcone degli Alburni
Il Monte Pruno, per la sua particolare struttura geografica è soprannominato “il “balcone degli Alburni” alto circa 900 m sorveglia, il Passo della Sentinella e la Sella del Corticato, ossia i due principali passi d’accesso al Vallo di Diano.
Questa particolarità, associate alle numerose sorgenti hanno dato vita a degli insediamenti che risalgono all’anno V a.C.
La scoperta dell’area Archeologica di Monte Pruno
Intorno agli anni trenta un contadino, impegnato nella coltivazione dei campi, fece una straordinaria scoperta. Fu scoperto un vasto insediamento enotrio e lucano, databile tra il VII e il III secolo a.C.
Nel 1938 iniziarono gli scavi ma era un periodo acerbo per la tutela degli oggetti antichi, la zona non fu tutelata e diete vita a scavatori di frodo che saccheggiarono gli antichi oggetti. Negli anni ’60 fu l’archeologa francese J. De La Genière, impegnata negli scavi del santuario di Hera a Paestum, ad affermare l’esistenza di un vasto insediamento antico che occupa la collina di Roscigno risalente al secolo VI sec. a.C.
Bisogna, però, aspettare gli anni 80 quando la Soprintendenza Archeologica di Salerno avvia le ricerche, definendo i limiti di un parco archeologico da salvaguardare. Dagli scavi sta venendo fuori un’estesa e ricca necropoli. Fino ad oggi sono state organizzate circa dieci campagne di scavo, in collaborazione con l’Università di Napoli Federico II e la Banca di Monte Pruno ha portato la nascita del parco archeologico di Roscigno-Monte Pruno e della Scuola Scavo Monte Pruno.
Il corredo dei principi
Sul Monte Pruno fu ritrovata una tomba di un principe insieme al corredo funebre. Il defunto, disposto supino, aveva gli oggetti del corredo disposti lungo i fianchi e ai piedi. Fra gli oggetti rinvenuti c’era la corona d’argento e il carro da guerra. Vasi a figure rosse di produzione magno-greca, e vari oggetti di bronzo di influenza etrusca, tra i quali strigili e un candelabro decorato con un piccolo gruppo figurato, un kantharos d’argento e due pendagli in oro. Secondo delle ipotesi la tomba potrebbe appartenere a un capo della popolazione indigena degli Enotri, insediati sul monte Pruno intorno alla prima metà del VI secolo a.C. prima di essere sopraffatta dal popolo dei Lucani.
Negli scavi sono emerse anche delle tombe femminili, risalente alla metà del VI secolo a.C., fu il recupero di un nucleo di ben quarantasei pezzi d’ambra, alcuni intagliati con testine femminili caratterizzate da grandi occhi a mandorla e teste di Sileni.
Dagli scavi è emersa anche una cinta muraria, IV secolo a.c., costruita intorno all’insediamento del centro fortificato che raccoglieva in caso di pericolo la popolazione sparsa su una vasta area.
Gli insediamenti sembrano essere stati abbandonati in modo abbastanza improvviso alla fine del III secolo a.C., probabilmente in coincidenza con l’arrivo dei Romani.
Gli oggetti sono conservati nel Museo archeologico provinciale di Salerno.