SALERNO. Rubò soldi all’Asl, ma viene riassunto e dovrà pure essere risarcito. Era stato già condannato in via definitiva per peculato. Aveva rubato i soldi dei ticket sanitari. Nonostante tutto, la Sezione Civile della Corte di Cassazione ha respinto il ricorso dell’Asl contro la sentenza dell’Appello di Salerno che aveva accolto l’istanza del dipendente pubblico. E l’Asl dovrà anche pagare le spese legali: oltre 5mila euro.
Lo scandalo
Lo scandalo era esploso ben 22 anni fa. Era il 1996 e al Poliambulatorio di Pastena si scoprì che alcuni dipendenti, secondo l’accusa, avevano inventato un sistema per intascare i soldi che i cittadini versavano per i ticket sanitari. In pratica, facevano risultare nella contabilità Asl che l’utente poteva accedere alle prestazioni sanitarie con tariffa ridotta, ma incassavano in realtà l’intero importo, senza esenzione. La differenza finiva nel loro portafogli.
La denuncia dell’Asl
L’Asl si accorse di tutto e denunciò i dipendenti alla Procura. In primo grado (ottobre 2006), il dipendente in questione fu condannato per falso e peculato ad una pena di quattro anni di reclusione. Sei anni dopo, in Appello, la condanna fu confermata, ma solo per il reato di peculato (il falso era prescritto): 3 anni, 8 mesi e 20 giorni, con l’applicazione della pena accessoria dell’interdizione perpetua dai pubblici uffici. In virtù di questa sentenza l’Asl (che si era costituita parte civile) licenziò senza preavviso il coadiutore amministrativo.
L’escamotage: un incidente di esecuzione
A quel punto, il dipendente propose un incidente di esecuzione: la pena principale era inferiore a cinque anni, ma il giudice dell’Appello non aveva provveduto a ridurre la pena accessoria. Violando l’articolo 29 del Codice penale. La Corte riconobbe l’errore, riducendo a cinque anni la durata della misura interdittiva.
L’impugnazione del licenziamento
A questo punto il dipendente impugnò il licenziamento disciplinare, contestando all’Asl la violazione delle norme procedimentali. Il giudice, anche in questo caso, gli diede ragione e applicò al licenziamento illegittimo il regime sanzionatorio risarcitorio ai sensi della vecchia formulazione dell’articolo 18 della legge del 1970 (poi modificato dalla legge 92 del 2012 che, in questi casi, prevede per il dipendente illegittimamente licenziato solo un indennizzo patrimoniale e non anche la reintegra nel posto di lavoro come nel vecchio Statuto).
L’illegittimità del licenziamento
La Corte d’Appello dopo aver preso atto che sull’illegittimità del licenziamento per violazione delle garanzie procedimentali si era formato il giudicato, e non avendo l’Asl proposto appello incidentale sullo specifico capo di sentenza, in riforma della pronuncia del Tribunale, ritenne applicabile la tutela reintegratoria e risarcitoria prevista dal vecchio articolo 18: il dipendente infedele, malgrado la condanna definitiva, andava reintegrato e risarcito.
L’Asl a questo punto ha deciso di ricorrere in Cassazione, uscendone però sconfitta.