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Salerno, telefonini in carcere: nascosti in una forma di formaggio

Non solo un tentato suicidio: quella di ieri è stata una giornata movimentata nel carcere di Salerno dove sono stati trovati due telefonini nascosti in una forma di formaggio. Venerdì da incubo nella Casa circondariale di Salerno, dove solo grazie al tempestivo e professionale intervento della Polizia Penitenziaria si è impedito che un detenuto si togliesse la vita.

Salerno, telefonini nascosti in carcere: erano nella forma di formaggio

La notizia arriva dal Sindacato Autonomo Polizia Penitenziaria SAPPe, per voce del Segretario Regionale della Campania Tiziana Guacci che aggiunge: L’uomo ha prima inghiottito delle lamette ed ha poi tentato il suicidio mediante impiccamento, utilizzando una vestaglia. Tempestivo è stato l’intervento degli “angeli azzurri” della Polizia Penitenziaria che ha per fortuna cambiato il corso del destino dell’uomo, sottraendolo alla morte. Fondamentale è stato il lavoro di squadra dei vari poliziotti in servizio, che hanno reso possibile il salvamento dell’uomo da morte certa. Restano ignote le motivazioni che hanno portato il detenuto a porre in essere il gesto estremo. In ogni caso, il dato certo è che la scelta di togliersi la vita è originata da uno stato psicologico di disagio. E’ un dato oggettivo che chi è finito nelle maglie della devianza spesse volte è portatore di problematiche personali sociali e familiari”.

Guacci riferisce che, sempre ieri, “i controlli degli Agenti hanno impedito l’ingresso in carcere di due telefoni cellulari, abilmente occultati in una forma di formaggio contenuta in un pacco destinato ai familiari”.

La scoperta

Per il segretario del SAPPE, Donato Capece, “questa è la Polizia Penitenziaria pronta ad agire con gli altri operatori e con gli stessi detenuti, come in tale evento critico al carcere di Salerno, per tutelare la vita dei ristretti. Questa è comunità, ma nel rispetto dei difficili ruoli che ognuno viene chiamato a svolgere per la propria parte di competenza. L’ennesimo tentato suicidio di una persona detenuta, sventato in tempo dalla professionalità ed attenzione dei poliziotti, dimostra come i problemi sociali e umani permangono, eccome, nei penitenziari”.

Il leader nazionale del SAPPE richiama un pronunciamento del Comitato nazionale per la Bioetica che sui suicidi in carcere aveva sottolineato come “il suicidio costituisce solo un aspetto di quella più ampia e complessa crisi di identità che il carcere determina, alterando i rapporti e le relazioni, disgregando le prospettive esistenziali, affievolendo progetti e speranze. La via più netta e radicale per eliminare tutti questi disagi sarebbe quella di un ripensamento complessivo della funzione della pena e, al suo interno, del ruolo del carcere. Proprio il suicidio è spesso la causa più comune di morte nelle carceri. Gli istituti penitenziari hanno l’obbligo di preservare la salute e la sicurezza dei detenuti, e l’Italia è certamente all’avanguardia per quanto concerne la normativa finalizzata a prevenire questi gravi eventi critici. Ma il suicidio di un detenuto rappresenta un forte agente stressogeno per il personale di polizia e per gli altri detenuti”. 

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