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Tasse Universitarie 2014-2015: aumentano i costi

Università italiana: un lusso per pochi? I meno abbienti tremano. Già maglia nera europea quanto a capacità di sfornare laureati, la nostra università inanella l’ennesimo primato: quello delle le tasse d’oro, figlio della tendenza (ormai comunemente percepita come “vitale” dai nostri atenei) a scaricare i costi dell’istruzione su studenti e famiglie. È il verdetto “corale” emerso dalle ultime rilevazioni comunitarie: le rette “tricolori” corrono ampiamente sopra la media, attestandosi ormai stabilmente intorno ai mille euro (medi) per studente.

Peggio di noi solo Inghilterra e Olanda (dati Ocse), che erogano però più borse per il diritto allo studio contro il 20% scarso degli Atenei nostrani, mentre Francia, Spagna, Belgio e Austria si fanno preferire per una tassazione mediamente più morbida.

Sistema al collasso

Morale scontata: se le tasse universitarie continueranno ad aumentare, il sistema non reggerà. Lo rivela uno studio UE dello scorso Giugno (che ha analizzato l’impatto negli ultimi 15 anni dell’evoluzione delle tasse universitarie in nove paesi che presentano modelli diversi di finanziamento: Austria, Canada, Regno Unito, Finlandia, Germania, Ungheria, Polonia, Portogallo e Corea del Sud) nelle cui conclusioni si invitano i governi comunitari ad un maggiore sostegno agli studenti per bilanciare gli effetti distorsi del caro tasse universitarie, primo fra tutti la sempre più vistosa emorragia delle iscrizioni.

Aumenti della tasse universitarie anno accademico 2014-2014

Caro tasse universitarie da guinness che nel decennio 2003-2013 ha fatto registrare un rotondo +70% rende noto il Miur. I costi della vita “universitaria” – secondo l’Ocse – “mangiano” in media un terzo delle spese totali della vita di uno studente. Trend in ascesa, avvertono le associazioni studentesche, anche nella stagione 2014-2015. Buongiorno che si vede dal mattino se i primi finire nel mirino degli aumenti sono stati, manco a dirlo, i contributi necessari a sostenere i rituali test di ammissione: da 20 fino a 100 euro, non rimborsabili a nessun titolo. Un tesoro che, solo nell’ultimo decennio, ha garantito alle università un gettito del +274%.

Ma le “vere” note dolenti cominciano a farsi sentire con le tasse per l’immatricolazione, a cominciare dalla tassa regionale per il diritto allo studio per proseguire con le due rate della tassa di iscrizione. Un totale che, 10 anni fa, raggiungeva i 700 euro medi a studente, ma che ha oggi sfondato ampiamente il tetto dei mille euro (1.200 euro circa). Costi che pesano nell’economia della famiglia o dello studente che si mantiene da solo. Soprattutto se deve fare i conti con altre ed altrettanto “sanguinose” voci di spesa: affitti anzitutto e poi libri, tasse per dottorati, master, corsi di specializzazione e perfezionamento nonché i recenti Tfa (che frutteranno agli atenei circa 20 mln). Un autentico salasso quello che pende sulla testa degli universitari e di tante famiglie italiane già abbondantemente spremute dalla crisi. Ma mentre si moltiplicano gli appelli ad un cambio di rotta, non si registrano reazioni positive da parte di Governo ed atenei, con i costi che continuano a lievitare, sospinti dall’impennata contributiva sancita dalla famigerata “spending review”, che dal 2012 ad oggi ha praticamente raddoppiato gli esborsi soprattutto per fuoricorso e iscritti delle Università del Sud.

Bastano pochi numeri per prendere il polso della sofferenza finanziaria dei nostri atenei. In generale l’aumento delle tasse universitarie è addebitabile alle tante, troppe inefficienze politiche degli ultimi cinque anni. Anche se già durante la naturale metamorfosi dell’università da istituto élitario a realtà massificata (30 anni fa circa), non si era osservata alcuna crescita dei fondi pubblici proporzionata al boom (clamoroso per i tempi) degli iscritti. Lo Stato, sostiene la maggioranza dei rettori italiani, non fa la sua parte. Anzi.

“I finanziamenti pubblici – ammonisce Stefano Paleari, presidente della Conferenza dei rettori (Crui) – ammontano a 6 miliardi di euro l’anno, 100 euro per abitante, uno dei contributi più bassi d’Europa, un terzo di quanto erogato da Francia e Germania. Dal 2009 l’università ha perso ogni anno 1 miliardo di euro : un calo del 20% in termini reali […]Ma la leva della contribuzione studentesca è esaurita in Italia, lo Stato deve prendersi le sue responsabilità”.

Lo zenit dell’impennata contributiva, nel 2012, quando la mannaia della Spending review montiana sfronda il FFO di ben 300 mln. Chiarissima l’indicazione, per quanto “implicita”, del Ministero: rincarare i contributi degli studenti. Il tetto del 20% (percentuale massima esigibile dagli atenei) dev’essere dribblato. Ma le conseguenze non tardano ad arrivare: fioccano i ricorsi. Per la legge le tasse richieste da molte Università sono eccessive e questo rischierebbe di innescare un domino infinito di ricorsi. Con quella legge 45 università statali su 63 sarebbero costrette a restituire la parte eccedente delle tasse universitarie versate dagli studenti. Il governo Monti fa dietrofront e modifica la legge, allentando strategicamente la cinghia sui tetti. Tradotto: nuovi e dolorosi rincari per tutti.

Ma a “rubare” risorse preziose, con conseguente rincaro per le tasse universitarie, non sono amnesie e sviste governative. Alla base del fenomeno, unitamente alla latitanza del finanziamento pubblico, va menzionata la grave incidenza dell’evasione fiscale (dacché il calcolo delle tasse universitarie si basa sulla dichiarazione dei redditi). È dato in evidente espansione, infatti, il numero degli studenti che pur provenendo da famiglie monoreddito di lavoratori autonomi rientrano nelle fasce più basse(soprattutto seconda, redditi fino a 10.000 Euro), pagando contributi relativamente più bassi. Situazione che determina una contrazione delle risorse da distribuire con conseguente penalizzazione per tutti coloro che meriterebbero davvero di usufruire dell’istruzione pubblica senza dilapidare patrimoni. Per loro, invece, la beffa atroce di pagare imposte superiori a quelle che vengono richieste al figlio di un orafo o di un pellicciaio.

La fotografia della crisi di Federconsumatori – Secondo il IV Rapporto sui costi degli atenei italiani, curato da Federconsumatori, solo nell’ultimo a.a., il 2013/2014, la media nazionale complessiva degli importi avrebbe fatto registrare un incremento del +3% rispetto all’anno accademico 2012/2013.

Niente di nuovo in un sistema finanziariamente ingessato, per il quale le tasse universitarie continuano a rappresentare una sorta di cuscinetto, capace di prevenire quell’attrito doloroso tra i costi di gestione, rigidi ed in galoppante espansione, ed un finanziamento statale in drammatica contrazione.

Gli atenei più cari, Nord batte Sud, al Centro le rette più miti

Le Università del Nord impongono tasse più alte rispetto alle altre. Rispetto alla media nazionale studiare al nord costa l’8,22% in più se si tiene conto della prima fascia, il 15,54% per la terza fascia e del 23,23% se si considera il massimo importo dovuto. Emerge, tuttavia, un trend indedito rispetto agli anni scorsi: questa volta sarebbero gli Atenei del Centro Italia, e non quelli del Sud, a risultare più economici. La media del Nord supera quella del Centro mediamente del 30%, addirittura del 42% per la prima fascia. La palma di Università più cara va al Politecnico di Milano: per frequentarla gli studenti devono versare tasse medie minime di 748,50 euro. Battuta l’Università di Parma, che fino allo scorso anno deteneva il primato di ateneo più caro dello Stivale. Segue Padova, che per la fascia più bassa prevede mediamente imposte di 722,77 euro annui.

Tasse d’oro in un ateneo su cinque. A guida la classifica delle tasse universitarie “over-size”, il Politecnico di Milano, con più di 1.600 euro in media di tasse annuali per ogni studente. A seguire ancora Milano, con La Statale, che si ferma ai 1.470 euro l’anno. Rette alte che, va detto, riflettono, nella maggioranza dei casi, un’offerta qualitativa nettamente sopra la media nazionale. Al terzo posto della classifica si piazza l’Università di Modena e Reggio Emilia, con quasi 1.400 euro annui di tasse universitarie. Completano la graduatoria la Ca’ Foscari di Venezia, l’Università di Pavia, quella di Brescia e quelle di Torino, Como, Genova e Ferrara. Conferma, invece, per l’economicità degli atenei del Sud, che assicurano tasse universitarie piuttosto contenute (in media del 28,3%).

Aumento delle tasse universitarie e diminuzione dei diritti degli studenti

Si dice, ed è scritto nel Manuale di economia per principianti, che al costo di un servizio, a maggior ragione se significativamente elevato, debba – in teoria – corrispondere una qualità dello stesso quantomeno proporzionata alla spesa sostenuta. Adagio o regola se volete che male si applica ai nostri atenei. L’Italia, infatti, risulterebbe indigesta a studenti e famiglie non solo per qualità e tenore delle tasse universitarie, ma anche rispetto al cosiddetto «diritto allo studio», più che un indicatore la ratio stessa di ogni intervento diretto al benessere della pubblica istruzione, che gli esborsi sanguinosi di cui sopra dovrebbero foraggiare, ma che la realtà ci restituisce ogni giorno più depresso e vilipeso. Secondo l’ultimo rapporto Ocse, la nostra Università vanta la percentuale più bassa di studenti con borse di studio (il 20%) unitamente alla percentuale più bassa (a pari merito con la Spagna) di residenze universitarie (il 2% sul totale degli studenti).

Universitarie più care, ma meno utili ed eque

Intanto Renzi e Ministero promettono ossigeno a borse di studio e prestiti agevolati per gli studenti quali strumenti indispensabili a controbilanciare le conseguenze negative delle tasse universitarie e dei loro aumenti sul numero di iscrizioni, in particolare per i soggetti più vulnerabili. Forse in tempi di Riforme costituzionali, patti del Nazareno ecc, qualcuno si ricorderà di quell’art. 34 della Carta Costituzionale, che ai commi 3 e 4, assolutizza il diritto allo studio per capaci e meritevoli. Sognare non costa niente, attendere giustizia invece sì. Toccherà di nuovo alle famiglie (già scoraggiate da lauree che sempre più spesso sanno di lusso e “scommessa”) l’alto sacrificio di stringere la cinghia e “ringraziare” per le inadeguatezze di ieri e (quasi certamente) di domani? Campa cavallo che la retta cresce.

Quali sono le tasse universitarie e quanto sono alte

L’entità effettiva delle rette, com’è noto, varia in funzione del reddito, del tipo di corso (più care le facoltà scientifiche che le umanistiche) e dell’ateneo prescelto. La contribuzione studentesca è una conseguenza diretta dell’Indicatore della Situazione Economica Equivalente (Isee) relativo al singolo studente.

Le tasse universitarie sono:

La tassa va versata in quanto controprestazione di un servizio reso dall’Università, mentre i contributi sono prelievi coattivi relativi ad opere di pubblica utilità. Secondo l’articolo 2, secondo comma:

“I contributi universitari sono determinati autonomamente dalle università in relazione ad obiettivi di adeguamento della didattica e dei servizi per gli studenti, nonché sulla base della specificità del percorso formativo”

Tasse Universitarie e ISEE 2014-2015

Lo studente che non dichiara il proprio reddito nel modulo di autocertificazione relativo all’immatricolazione o all’iscrizione, viene inserito direttamente nell’ultima fascia contributiva quindi in quella più costosa. In genere coloro che sono esonerati dal pagamento delle tasse sono i vincitori di borse di studio regionali. Inoltre, le Università italiane al fine di garantire il diritto allo studio agli studenti disabili, cosi come previsto dalla Legge 5 febbraio 1992 n. 104 e dalla Legge 28 gennaio 1999 n. 17, riconoscono, dietro richiesta, diverse agevolazioni economiche:


(Fonte: controcampus)

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