23 novembre 1980. Una scossa da 6.8 gradi della scala Richter, tra 9 e 10 gradi della scala Mercalli causa nel sud Italia quasi 3.000 i morti, 8.900 feriti e 280.000 sfollati. Un disastro con pochi precedenti e con conseguenze che scontiamo ancora oggi in termini di ricostruzione e di identità territoriale.
Acerno e Baronissi, Eboli, Positano e Piano di Sorrento, Vallo della Lucania tra i comuni che commemoreranno istituzionalmente il tragico terremoto dell’80 che tante vittime e danni ha contato tra i paesi a cavallo delle province di Salerno, Avellino e Potenza. Le manifestazioni si caratterizzeranno con la celebrazione di messe e fiaccolate in memoria di quanti perirono sotto le macerie. Ma le vittime di quell’inaspettato e devastante evento sismico non si limitano solo ai morti.
Ancora oggi, a trent’anni di distanza, molti Comuni hanno nei propri Uffici Urbanistici le cosiddette pratiche “ex Legge n. 219”, a dimostrazione del fatto che non solo la ricostruzione è stata lenta, corrotta, anonima, ma spesso ha tradito nel rifacimento le realtà locali creando, laddove c’erano casupole i cui dirimpettai condividevano le corde per i panni, ampie strade carrabili oggi percorse dagli sparuti abitanti, piazze immense lì dove c’erano piccole agorà con due – tre bar uno attiguo all’altro, luoghi deserti a causa delle lungaggini della ricostruzione, del naturale spopolamento dei piccoli borghi, ma soprattutto di una ricostruzione calata dall’alto che non ha tenuto in minimo conto le identità territoriali. Luoghi profanati due volte: la prima dalla violenza della natura, la seconda dai cinici interessi dell’uomo.
In alcune realtà la commemorazione, dimenticata dalle Amministrazioni Locali, è appannaggio dei media locali che mantengono ancora viva la memoria trasmettendo reportage televisivi, effettuati dai soccorritori (in particolare francesi ed inglesi) nelle ore immediatamente successive al disastro. Di alcuni paesini, infatti, ad oggi rimane solo il ricordo in foto d’epoca e filmati amatoriali, ma ugualmente indispensabili a ricordarci che “un paese che non ha memoria è un paese non ha futuro”.