Quali sono i clan di camorra più potenti della zona di San Sebastiano al Vesuvio? L’organizzazione criminale più potente del mondo è la camorra. A dichiararlo è la Dia, il Reparto di Investigazione di massimo livello, la cui relazione 2023 aggiornata è stata di recente pubblicata dal Ministero dell’Interno.
Le indagini svolte su oltre 200 famiglie di camorra hanno permesso di identificare migliaia di affiliati operanti in Campania, in altre regioni italiane e nazioni. Inoltre, la camorra, presente in diversi continenti, fattura annualmente centinaia di migliaia di milioni di euro. Il resoconto che segue riguarda il più potente clan della zona di San Sebastiano al Vesuvio, il clan De Micco.
Camorra: il clan più potente della zona di San Sebastiano al Vesuvio, il clan De Micco, la storia
Il clan De Micco ebbe la sua genesi nel 2012. Fu fondato da Marco De Micco, insieme ai fratelli Salvatore e Luigi De Micco, altri familiari e fedeli affiliati. Marco De Micco, iniziò la sua “carriera criminale” dal nulla, gestendo una piazza di spaccio per conto del clan Cuccaro del quartiere Barra.
Marco De Micco, dopo essersi guadagnato la fiducia dei boss storici che gli avevano fatto anche da guida, ottenne anche il loro benestare quando decise di fondare il proprio clan. Presto divenne noto come “Bodo“, nome alternativo con il quale iniziò ad essere identificato l’intero suo clan e con il quale divenne un capo e un simbolo, tanto da guadagnarsi diversi appellativi, come “imam“, “leone”, “re”, “eroe” e “guerriero”.
Marco De Micco, tra i suoi affiliati e non solo, veniva visto come un uomo guida, importante, di potere e prestigio. Appoggiato dai “barresi”, dopo aver fatto accordi, compiuto azioni “militari” e omicidi eccellenti, il clan De Micco divenne egemone nel quartiere Ponticelli e zone limitrofe.
Antonio De Martino: la leggenda di “XX”
Antonio De Martino, primo di tre figli del ras Francesco De Martino, detto “Ciccio ‘o pazzo” e di Carmela Ricci, conosciuta come “donna Lina”, una delle donne più attive nello scenario camorrista, fu cresciuto negli ambienti malavitosi in mezzo ad omicidi, azioni violente ed efferate. Antonio De Martino, riuscì a diventare uno tra i più temuti uomini dei palazzoni del plesso di case popolari in cui ebbe inizio la “leggenda di XX”, il camorrista che non si poteva nominare. Antonio De Martino, in virtù della fama da picchiatore violento e cecchino dalla mano ferma e dalla mira infallibile, riuscì a garantirsi rispetto ed omertà, imponendo a chiunque, uomini della malavita e non, di evitare di pronunciare il suo nome.
L’immagine di Antonio De Martino venne facilmente mitizzata, contribuendo ad incrementare fascinazione e consensi intorno al clan andato incontro ad una rapida e feroce ascesa, soprattutto grazie agli omicidi sui quali c’era la firma dell’innominabile “XX”.
Quella tra il clan De Micco e il clan De Martino, fu un’alleanza nata da un episodio tutt’altro che indolore. Un legame frutto di una necessità ben precisa e che seguitò a tenere banco tra le strade di Ponticelli per assecondare logiche dettate da interessi di vario tipo.
Il clan De Martino si vide costretto prima ad entrare in affari con il clan De Micco e poi a giurargli fedeltà eterna, seppure inizialmente provarono a stroncare sul nascere l’ascesa di quel clan sconosciuto, appoggiato dai “barresi”. Erano gli anni in cui a Ponticelli regnava l’anarchia, complice il declino dell’era del clan Sarno che vide pentimenti che generarono una sequenza di agguati, di morti ed arresti che contribuirono a favorire le condizioni utili all’ascesa di qualsiasi organizzazione in grado di manifestare una forza economica e militare, tale da riuscire ad imporre la propria egemonia.
Francesco De Martino e la sua convinzione di diventare il boss del quartiere Ponticelli
Francesco De Martino, il capostipite di una delle famiglie camorriste più temprate, era fortemente convinto di riuscire a diventare il boss di Ponticelli. Ma fu commesso un grave omicidio, un omicidio “eccellente” quello di Massimo Imbimbo, appartenete al clan De Martino-Perrella-Circone, nonchè nipote del ras Francesco De Martino. Un omicidio sul quale c’era la firma del clan De Micco, all’epoca alleati del clan Cuccaro. Salvatore De Micco, fratello di Marco De Micco, fondatore dell’omonimo clan e Gennaro Volpicelli, furono i killer che uccisero Massimo Imbimbo.
Massimo Imbimbo fu freddato mentre, a notte fonda, a bordo di uno scooter, transitava in via Alfieri. Travolto da una pioggia di proiettili, fu ferito ad una mano, al braccio sinistro, al fianco sinistro, al dorso, ad una coscia e infine, fu raggiunto da un colpo letale al cuore.
Il ras Francesco De Martino, inconsapevole di essere intercettato, nei giorni successivi all’agguato, palesava allarmismo ed apprensione per la sorte degli altri affiliati e soprattutto per i figli Antonio De Martino e Giuseppe De Martino, già addentrati nelle fila del clan, mentre il figlio minore, Salvatore De Martino, minorenne, era poco più di un bambino. Temeva che i rivali del clan De Micco, con l’intento di favorire l’ascesa e la supremazia del clan Cuccaro di Barra a Ponticelli, potessero mettere a segno un altro delitto eccellente. L’oggetto della disputa, come di consueto, era il controllo dei traffici illeciti e del business della droga.
Sino a prima dell’omicidio di Massimo Imbimbo, i gestori delle piazze di spaccio di Ponticelli versavano la quota al clan De Martino. Dopo quel delitto eclatante, lo scenario cambiò repentinamente e di fatto, tutti iniziarono a pagare la tangente al clan De Micco.
A nulla servì l’irruzione presso “il circolo di Bombò” che a tutti gli effetti rappresentò la replica della fazione capeggiata dai De Martino all’omicidio di Massimo Imbimbo.
Per sedare la faida che, di giorno in giorno, diventava sempre più temibile, il ras Francesco De Martino stipulò una tregua in seguito ad un incontro con i vertici del clan Cuccaro, al quale partecipò personalmente.
Da storici nemici ad ambigui alleati: clan De Micco-De Martino
Nacque così l’alleanza tra i De Micco e i De Martino, sulla base di un sonoro colpo all’orgoglio inflitto ad una temprata famiglia d’onore di Ponticelli. Per questo motivo, tra le reclute della malavita, la nascita di quel sodalizio apparentemente così solido e coeso, era sempre stato oggetto di suggestive ipotesi. Secondo quelle più accreditate, Antonio De Martino, detto “XX” avrebbe silenziosamente covato un senso di vendetta, animato dalla ferma volontà di rendere giustizia al cugino Massimo Imbimbo, in attesa del momento più propizio per colpire i rivali di un tempo, poi diventati alleati e sopperire alle forzate esigenze dettate dalle circostanze.
Tra i rioni contesi, da tempo immemore, aleggiava una pesante suggestione secondo la quale “XX” mirava ad uccidere il boss Luigi De Micco, reggente dell’omonimo clan in seguito all’arresto dei fratelli Marco e Salvatore De Micco. Per portare a compimento l’agognata vendetta ma anche per appropriarsi di un ruolo più autorevole all’interno di quel clan che lui stesso aveva concorso a consolidare con omicidi eclatanti come quello del ras del Lotto “zero”, Salvatore Solla e della lady boss Annunziata D’Amico, reggente dell’omonimo clan.
Dal suo canto, Luigi De Micco, consapevole della brama di rivalsa covata dal temibile “XX” aveva studiato una strategia utile a batterlo sul tempo. Luigi De Micco, lasciava credere che al cospetto del suo imminente arresto, sarebbe stato “XX” ad ereditare le redini del clan, auspicando che quella prospettiva ne potesse sedare la sete di vendetta. A mettere un punto risolutivo alle rispettive strategie, fu un blitz che fece scattare le manette sia per Luigi De Micco che per Antonio De Martino, oltre che per altri 21 affiliati al clan De Micco.
Antonio De Martino e suo fratello Giuseppe De Martino, contribuirono all’ascesa del clan De Micco, attraverso estorsioni ed azioni eclatanti ed entrambi finirono in manette. Contestualmente all’arresto di Antonio e Giuseppe De Martino e delle altre figure apicali del clan De Micco, le redini dei De Micco-De Martino passarono a Salvatore De Martino, sotto l’austera guida della madre che poco dopo fu arrestata, in quanto custode dell’arsenale di armi del clan.
Il clan De Micco-De Martino: quando finzione e realtà si fondono
Che si tratti di romanzi, film, serie Tv, fiction, o documentari, molto spesso le opere prendono spunto dalla realtà. Ma alcune volte la realtà supera la fantasia e sembra quasi immortalare scene di fantasia. Roberto Saviano, giornalista, scrittore, autore di inchieste e opere per il cinema e la Tv, spesso riporta fatti reali, a volte in modo romanzato, a volte descrivendo veri accadimenti.
È il caso di citare tra le opere di Roberto Saviano, “Gomorra”, prima divenuta bestseller, poi film cinematografico e infine fortunata serie Tv di successo, tradotta in molte lingue e distribuita in tante nazioni. La stessa sorte di Gomorra è toccata alle successive opere di Roberto Saviano come “la paranza dei bambini”, alla quale sono seguiti altri libri e film. Le storie narrate sono quelle della vita quotidiana di persone normali ma soprattutto le vite di boss e lady boss degli ambienti malavitosi, della criminalità, della corruzione, della politica, della camorra che tutto avvolge e sconvolge in determinati territori.
La lady boss Annunziata D’Amico, reale boss dell’omonimo clan, uccisa come il boss Salvatore Solla, sono solo alcuni esempi di come anche quando non si cita direttamente il nome di una persona, probabilmente si sta facendo riferimento alla sua vera storia che diventa un personaggio di fantasia in un libro, di un film, o in una serie Tv. Poi, c’è l’omicidio di Carmine D’Onofrio, incensurato, figlio naturale del boss Giuseppe De Luca Bossa che addirittura sarebbe stato vittima di uno scherzo del destino. Infatti, Carmine D’Onofrio, prese parte davvero in “Gomorra”, come comparsa. Uno scherzo del destino, perché fu ucciso, nella realtà, per aver partecipato ad un vero attentato dinamitardo, ai danni di uno dei boss del clan De Micco.
Il clan De Micco-De Martino: il comando nelle mani di Salvatore De Martino
Seppur minorenne e senza esperienza, dotato di una tempra e di un carattere tutt’altro che equiparabili a quelli dei suoi fratelli e dei genitori, Salvatore De Martino si vide costretto a fare quello che andava fatto e prima ancora di diventare maggiorenne, si trovò a capo del clan di famiglia, attorniato dagli amici di sempre, “i pisciazzielli della paranza” del rione che in breve divennero i gregari, in un momento storico molto concitato. Nonostante Salvatore De Martino avesse preso l’incarico di ras, era troppo inesperto e anche se Antonio De Martino non aveva mai smesso di dirigere i suoi fedelissimi, dettando strategie ed impartendo direttive al clan “Bodo-XX”, non riuscì a fare altro che preservare il controllo dei traffici illeciti nei rioni storicamente sotto la sfera egemone dell’organizzazione.
Il clan De Micco: un’amara sconfitta
Per la prima volta, i De Micco furono costretti a capitolare, riconoscendo la supremazia dei clan alleati di Napoli est. Un fatto che rappresentò una ferita al cuore e all’orgoglio di un clan irriverente come quello dei De Micco. Francesco De Martino fu gambizzato tra le strade del quartiere, mentre beneficiava di un permesso premio di pochi giorni. Successivamente, Ciccio ‘o pazzo, organizzò una controffensiva. Un agguato tra le concitate fasi della faida tra i reduci del clan De Micco-De Martino e le famiglie d’onore di Napoli est che convergevano in un unico cartello.
Quello andato in scena sotto le direttive di De Martino senior fu l’ultimo colpo di coda degli “XX” prima di sventolare bandiera bianca al cospetto dei rivali.
In seguito ad una rottura con i De Luca Bossa-Minichini-Casella, fortemente voluta proprio da Antonio De Martino per ragioni riconducibili agli stipendi elargiti ai detenuti, iniziò una faida che tenne banco per diverso tempo.
L’alleanza De Micco-De Martino: le incomprensioni e il ritorno alle proprie radici
Una serie di incomprensioni minarono anche i rapporti tra i De Micco e gli “XX”, principalmente a causa di una sostanziale divergenza di vedute sulle strategie e i modus operandi adottati e che si rivelarono determinanti nel decretare l’ascesa dei rivali. Dissidi che si accentuarono all’indomani di una provvisoria scarcerazione del boss Marco De Micco e ancor più, in seguito al suo arresto, avvenuto dopo appena un anno trascorso a Ponticelli.
Un arco temporale breve, ma intenso che il boss Marco De Micco sfruttò per ridisegnare l’assetto da imprimere al suo clan che a sorpresa lasciò nelle mani di un businessman della droga come Ciro Naturale, detto ‘o mellone. Il boss Marco De Micco, consapevole di finire nuovamente dietro le sbarre, a discapito proprio dell’inesperto ras minorenne Salvatore De Martino che non recepì bene le scelte di “Marco Bodo”.
Ciccio ‘o pazzo, stroncò sul nascere chiacchiere e pettegolezzi che indicavano il suo clan in rotta di collisione con i De Micco, compiendo un gesto semplice, eclatante, risolutivo, un tatuaggio e non un tatuaggio qualunque. Infatti, non passò inosservato quel nomignolo, “Bodo”, tatuato sulla sua nuca. Un atto di fedeltà plateale, voluto per zittire le polemiche. Del resto, la sorte di suo figlio Antonio De Martino, condannato all’ergastolo per gli omicidi compiuti in veste di affiliato al clan De Micco, era legata a filo doppio a quella dei “Bodo”, non solo sotto l’aspetto processuale. Infatti, i De Micco poterono, garantire al killer “XX” un’adeguata assistenza legale, oltre al sussidio elargito per il mantenimento in carcere dei detenuti.
Il clan De Micco: il riassetto e la rinascita
Dopo la fase nella quale i componenti del clan De Micco sono stati costretti dai clan alleati a rinnegare la precedente affiliazione bruciando i tatuaggi, un colpo di scena inaspettato ha ridisegnato le gerarchie all’interno del clan. L’organizzazione camorristica egemone nel quartiere Ponticelli, nel comune di San Sebastiano al Vesuvio e zone limitrofe, si è concentrata a consolidare il controllo del territorio attuando una vera e propria strategia del terrore. I cittadini e i commercianti del territorio, sono stati letteralmente terrorizzati non solo dalle nuove leve, ma anche dai nuovi leader del clan.
Quando il superboss Marco De Micco e i suoi fratelli sono stati arrestati, per diretta scelta di Marco De Micco, alla guida del clan è stato messo il fidato Ciro Naturale.
Una decisione dettata dalla necessità di garantire al clan una solidità economica indispensabile per preservare la supremazia conquistata attraverso omicidi e azioni violente, relegando ai De Martino la gestione dell’apparato militare del clan e anche meno. Ma in seguito all’agguato al quale è miracolosamente sopravvissuto il ras Ciro Naturale, il clan De Micco si è riorganizzato adottando un nuovo assetto interno.
Il tentato omicidio di Ciro Naturale e lo zampino del clan De Martino
Contestualmente al tentato omicidio di Ciro Naturale, sul quale è molto evidente la firma dei De Martino, gli equilibri interni ed esterni al clan sono stati stravolti da una serie di dinamiche. In questo scenario sarebbe maturato il nuovo assetto del clan De Micco che vede collocati ai vertici dell’organizzazione, uno dei fedelissimi, tornato a piede libero da circa un anno e un altro dei fratelli De Micco che finora si era tenuto relativamente a distanza dagli affari illeciti. La famiglia De Micco conta cinque figli maschi. Oltre a Luigi, Marco e Salvatore De Micco, ci sono altri due fratelli che però si erano sempre tenuti alla larga dalle logiche camorristiche che hanno portato gli altri tre a finire in carcere. Proprio lo status di detenuti dei tre fondatori dell’omonimo clan, potrebbe aver inciso pesantemente sulla necessità di inserire nelle dinamiche malavitose un altro membro della famiglia in grado di rappresentare in maniera credibile e autorevole i De Micco.
Il destino dei tre fratelli detenuti appare ormai segnato, Luigi De Micco è stato condannato all’ergastolo per l’omicidio del ras Salvatore Solla, anche Marco De Micco sembra avviarsi verso la stessa condanna, in quanto accusato di essere il mandante dell’omicidio di Carmine D’Onofrio, incensurato, figlio naturale del boss Giuseppe De Luca Bossa. Un delitto particolarmente efferato, maturato per vendicarsi del raid subito dal boss poco tempo prima, nell’ambito del quale Carmine D’Onofrio avrebbe piazzato un ordigno esplosivo nel cortile dell’abitazione di Marco De Micco che ha danneggiato i vetri delle auto parcheggiate. In quel raid, a mandare su tutte le furie il boss Marco De Micco fu la consapevolezza che avevano rischiato di perdere la vita sua figlia e le sue nipoti che fino a pochi minuti prima dell’esplosione si era trattenute a giocare proprio in cortile.
L’unico dei tre fratelli De Micco attualmente detenuti che potrebbe sperare di rivedere la luce del sole è Salvatore De Micco che proprio poche ore prima dell’omicidio di Carmine D’Onofrio era stato assolto per l’assassinio di Gennaro Castaldi e Antonio Minichini, quest’ultimo, cugino di Carmine D’Onofrio, in quanto figlio di Anna De Luca Bossa. Un verdetto scaturito dalle incongruenze emerse dalle testimonianze dei collaboratori di giustizia. Un colpo di scena che potrebbe concorrere a rimettere in libertà Salvatore De Micco.
La discesa in campo del fratello incensurato dei De Micco e l’espansione del clan verso San Sebastiano al Vesuvio
Il tentato omicidio di Ciro Naturale, le fibrillazioni con i De Martino e le perenni insidie insite nella presenza di altri clan sul territorio, seppure debellati da omicidi e arresti, avrebbero indotto uno dei due fratelli De Micco, liberi e incensurati, a scendere in campo in prima persona, per appropriarsi delle redini del clan di famiglia. Un impero solido e produttivo, quello dei De Micco, costruito facendo leva sull’intelligenza tattica di Marco De Micco, il fiuto per gli affari e la ferocia di Luigi De Micco e la forza militare di Salvatore De Micco. Un cospicuo capitale economico, una massiccia disponibilità di armi e un vero e proprio esercito di reclute, rifocillato anche dalla migrazione di ex affiliati ai clan ormai in declino, confluiti tra le fila dell’organizzazione sempre più egemone, ma che rivendica la necessità di preservare ed estendere il potere conquistato.
La presenza di uno dei fratelli ai vertici del clan, affiancato da uno degli affiliati più fedeli e servili, avrebbe conferito ai De Micco l’assetto stabile e necessario per ambire a una leadership duratura. Una mossa che inoltre, restituisce maggiore sicurezza agli occhi dei fondatori del clan, una vera e propria garanzia, in termini di affidabilità e non solo.
Un fatto che è destinato a stabilire un nuovo punto di partenza importante, non solo per il coinvolgimento di un incensurato, ma anche per le dinamiche strettamente correlate a questa scelta strategica.
Il clan De Micco ha iniziato una nuova fase di espansione nelle aree limitrofe di Ponticelli, come nel comune di San Sebastiano al Vesuvio.
Relazione Dia
Dai risultati delle indagini svolte sul campo e riportati nella relazione Dia 2023 aggiornata, pubblicata dal Ministero dell’Interno, si evince che il clan De Micco è in fase di recupero ed espansione. Infatti, dallo storico quartiere Ponticelli, roccaforte del clan, l’organizzazione criminale in oggetto sta estendendo la propria presenza a San Sebastiano al Vesuvio e zone limitrofe. Tale attività espansionistica è tutt’altro che pacifica. Il clan De Micco, ancora una volta, sta dimostrando le proprie capacità “militari”. Va sottolineato che il suddetto clan è classificato tra i più belligeranti, sanguinari e potenti dal punto di vista militare.
Il clan De Micco, dispone di ingenti quantitativi di armi da guerra e di dispositivi esplosivi che utilizza frequentemente. Non a caso è tra i gruppi criminali con il più alto numero di agguati, omicidi e attacchi dinamitardi al suo attivo. L’attività di espansione verso San Sebastiano al Vesuvio, comune logisticamente vantaggioso e geograficamente prossimo al quartiere Ponticelli, è avvenuta attraverso stese, attacchi dinamitardi e terrorizzando cittadini e commercianti, mettendo a fuoco locali, attività commerciali e abitazioni. A seguito di fibrillazioni e intrighi con gli alleati De Martino, il clan De Micco, è tornato in modo solitario e indipendente ad agire negli affari e nelle altre attività illecite. Il clan De Micco, ha attuato un nuovo assetto nella linea di comando ed ha potenziato le proprie fila.
Il clan De Micco oggi
Il clan De Micco, nonostante i duri colpi subiti dalle Interforze dello Stato e l’arresto e il decesso di figure apicali, non si è disarticolato. Noto anche come clan De Micco-De Martino, a seguito di un periodo di alleanza, il clan De Micco, ha scelto di tornare ad una propria indipendenza. I clan De Micco e De Martino strinsero un’alleanza basata su ambigue motivazioni che fu portata avanti più per timori di ripercussioni che per reali motivazioni di interessi economici, o di reciproco sostegno. Infatti, non furono rare strategie messe in atto dai reggenti dei rispettivi gruppi criminali che avevano più un aspetto di tipo vendicativo e di rivalsa che di potenziamento. Tuttavia, dopo una fase che ha visto alternarsi diverse volte i De Micco e i De Martino alla guida dell’alleanza, alla fine il clan De Micco, si è confermato gruppo criminale dominante.
L’organizzazione criminale De Micco, persiste nell’imposizione delle estorsioni ad attività commerciali, ad aziende, cantieri edili e abitazioni popolari. Il traffico di sostanze stupefacenti e di armi, la gestione di grosse piazze di spaccio e gli omicidi, restano le principali fonti di guadagno che fanno entrare nelle casse del clan centinaia di milioni di euro. Attraverso smartphone introdotti di nascosto, illegalmente nelle carceri, gli storici boss del clan continuano a dare ordini. Inoltre, l’inserimento nel nuovo assetto della linea di comando di un altro fratello incensurato dei De Micco e alla possibilità che Salvatore De Micco sia rimesso in libertà, una nuova generazione di ras e affiliati, permettono al clan non solo la continuità, ma il costante potenziamento delle fila. Con tali caratteristiche di recupero e incremento, soprattutto militare, il clan di camorra più potente della zona di San Sebastiano al Vesuvio, è il clan De Micco.