Tv e Spettacoli

Sanremo 2025: testo e significato di Crêuza de mä di Fabrizio De André

Creuza de ma Fabrizio De André
Creuza de ma Fabrizio De André
Creuza de ma Fabrizio De André

Nel corso della serata dedicata alle cover al Festival di Sanremo 2025, il cantautore genovese Bresh e Cristiano De André renderanno omaggio a Fabrizio De André con una reinterpretazione di Crêuza de mä, uno dei brani più iconici della musica italiana. Pubblicata nel 1984 e interamente cantata in dialetto genovese, la canzone rappresenta un viaggio poetico tra le sonorità del Mediterraneo, raccontando la vita dura e affascinante dei pescatori. L’incontro tra la voce graffiante di Cristiano e lo stile contemporaneo di Bresh promette di restituire nuova energia a questo capolavoro senza tempo, nel segno di una tradizione musicale che continua a rinnovarsi.

Testo di Crêuza de mä – Fabrizio De André

Umbre de muri muri de mainé
dunde ne vegn
ì duve l’è ch’ané
da ‘n scitu duve a l’ûn-a a se mustra nûa
e a neutte a n’à puntou u cutellu 
ä gua
e a munt
ä l’àse gh’é restou Diu
u Diàu l’é in çë e u s’è gh’è faetu u n
ìu
ne sciurt
ìmmu da u mä pe sciugà e osse da u Dria
e a funtan-a di cumbi ‘nta c
ä de pria

E anda umè umè e anda umè umè e anda ayò
E anda umè umè e anda umè umè e anda ay
ò

E ‘nt’a cä de pria chi ghe saià
int’à c
ä du Dria che u nu l’è mainà
gente de Lûgan facce da mandill
ä
qui che du luassu preferiscian l’
ä
figge de famiggia udù de bun
che ti peu ammiàle senza u gundun

E anda umè umè e anda umè umè e anda ayò
E anda umè umè e anda umè umè e anda ay
ò

E a ‘ste panse veue cose ghe daià
cose da beive, cose da mangi
ä
frittûa de pigneu giancu de Purtufin
çervelle de bae ‘nt’u meximu vin
lasagne da fiddià ai quattru tucchi
paciûgu in aegruduse de lévre de cuppi

E anda umè umè e anda umè umè e anda ayò
E anda umè umè e anda umè umè e anda ay
ò

E ‘nt’a barca du vin ghe naveghiemu ‘nsc’i scheuggi
emigranti du r
ìe cu’i cioi ‘nt’i euggi
finché u matin crescià da puéilu rechéugge
frè di ganeuffeni e dè figge
bacan d’a corda marsa d’aegua e de s
ä
che a ne liga e a ne porta ‘nte ‘na creuza de m
ä

E anda umè umè e anda umè umè e anda ayò
E anda umè umè e anda umè umè e anda ay
ò

Il significato di Crêuza de mä – Fabrizio De André

Il termine crêuza de mä, nel dialetto genovese, si riferisce a un piccolo sentiero o una mulattiera, spesso caratterizzata da scalinate, che solitamente segna il confine tra proprietà e conduce verso il mare. Letteralmente, l’espressione significa viottolo di mare, evocando il legame profondo tra la terra e l’acqua, tra la vita quotidiana e il richiamo dell’ignoto.

Questa espressione dà il titolo alla celebre canzone di Fabrizio De André che apre l’omonimo album Crêuza de mä, pubblicato nel 1984 e interamente cantato in dialetto genovese. Si tratta dell’undicesimo lavoro del cantautore genovese, realizzato in collaborazione con Mauro Pagani, e rappresenta un punto di svolta nella musica italiana, introducendo sonorità mediterranee e raccontando storie di mare, di viaggio e di esilio.

I pescatori: uomini senza terra, anime erranti

I protagonisti del brano sono i pescatori, figure solitarie e sfuggenti, che appaiono quasi come stranieri rispetto alla terraferma. La loro esistenza è scandita dal mare e dalle sue regole imprevedibili, tanto che chi vive sulla terra fatica a comprenderli e li guarda con sospetto. Sono uomini costretti a viaggiare per mestiere, sempre in balia degli elementi, esposti ai capricci della natura e a una vita di fatiche e pericoli.

Il mare è il loro regno, ma anche la loro condanna: essi provengono da luoghi lontani, dove “la luna si mostra nuda”, perché in mare aperto non ci sono alberi, case o colline che possano oscurarne la vista. Il mare è uno spazio vasto e senza confini, una dimensione in cui la solitudine si mescola con il destino inevitabile della loro esistenza.

Il porto e la taverna: tra vizi e incontri fugaci

Quando i pescatori fanno ritorno sulla terraferma, le loro soste sono brevi e spesso accompagnate dagli eccessi. Il vino e la taverna diventano rifugi momentanei, luoghi di sollievo e di sfogo, dove marinai e abitanti della terraferma si incontrano. De André descrive la taverna di Andrea, un ambiente frequentato da persone poco raccomandabili, tra cui loschi individui provenienti da Lugano e giovani donne di buona famiglia.

Qui si mescolano realtà e apparenza, il confine tra il lecito e l’illecito si fa labile, e il cibo stesso diventa simbolo di questa ambiguità: accanto a pietanze considerate comuni e accettabili, come il pesce fritto e le interiora, si trovano piatti più insoliti e provocatori, come il pasticcio di lepre di tegole (un eufemismo per indicare il gatto, servito come se fosse coniglio). Questa scelta alimentare è una provocazione, un elemento che sottolinea la diffidenza tra il mondo della terraferma e quello del mare. È come se De André volesse evidenziare l’ostentata superiorità della società benpensante, che però si ritrova mescolata con chi vive di espedienti e di avventure.

Il richiamo del mare: un destino ineluttabile

Ma la sosta non può durare a lungo. Dopo il vino, il cibo e la compagnia delle prostitute, arriva il momento in cui il padrone richiama i pescatori al loro lavoro. Il loro legame con il mare è simboleggiato da una “corda marcia d’acqua e sale”, la cima che tiene la barca ormeggiata al porto: l’unico legame tangibile tra il mondo della terraferma e l’orizzonte infinito del mare.

La necessità o la scelta di vita porterà inevitabilmente i pescatori a riprendere il mare, a percorrere ancora una volta la loro crêuza de mä, quel viottolo che rappresenta il loro destino, la strada che li conduce verso l’ignoto.

Il mare della vita: una metafora esistenziale

Nel testo di Crêuza de mä, il mare non è solo un elemento naturale, ma diventa la metafora della vita stessa: un viaggio inarrestabile, fatto di momenti di sosta e ripartenze, di incontri fugaci e di partenze forzate. Pesci fritti e interiora, muri scrostati, vino cattivo e un pasticcio di gatto non sono solo dettagli di un’osteria portuale, ma diventano simboli di quel precario equilibrio tra sopravvivenza e piacere, tra illusione e realtà.

Sono piccoli scogli a cui ci si aggrappa per un istante, prima di lasciarsi trascinare nuovamente dalla corrente invincibile della vita. Forse, in questo viaggio continuo, l’unica vera conquista è l’esperienza stessa: nuovi porti, nuovi volti, nuovi sapori, che si intrecciano lungo il cammino e lasciano il loro segno, come impronte sulla sabbia destinate a scomparire con l’onda successiva.

Sanremo 2025