Cronaca

Sanremo, vigile in mutande assolto, le motivazioni: “Timbrare in slip non è un reato, errori nell’indagine”

Era diventato un simbolo mediatico dell’assenteismo e le immagini del vigile di Sanremo immortalato in mutande mentre timbrava il cartellino erano diventate virali. Alberto Muraglia, questo il nome del vigile, è stato assolto. Era finito sotto inchiesta nell’indagine della Gdf sui furbetti del cartellino, poi assolto con rito abbreviato.

Il giudice ritiene per quel che riguarda l’oramai ex vigile che “la timbratura in abiti succinti non costituisce neppure un indizio di illiceità penale e ha una sua spiegazione logica”.

Esisteva, infatti, una disposizione del comandante della polizia locale secondo cui Muraglia, in funzione di custode, doveva timbrare dopo aver aperto il mercato municipale e in abiti borghesi, il cosiddetto “tempo tuta”.

Le motivazioni, con le quali il giudice ha spiegato perché a gennaio ha deciso di assolvere dieci impiegati del Comune di Sanremo, tra cui Muraglia, smontano la tesi accusatoria, dando atto al pm di aver fatto del suo meglio sulla base, però, di un impianto viziato da errori di interpretazione e clamorose sviste investigative.

Vigile di Sanremo in mutande: assolto

Le 319 pagine di motivazioni con le quali il giudice Paolo Luppi ha spiegato perché, a gennaio, decise di assolvere dieci impiegati del Comune di Sanremo – presunti furbetti del cartellino fra i quali il celebre vigile in mutande-, sono da un lato un invito a non trasformare lo stereotipo in elemento di giudizio, e dall’altro la concreta manifestazione dello Stato di Diritto. Quello che non opera sulla base del sentimento della piazza, ma attraverso il rispetto di norme e codici.

Cinque anni fa, a ottobre, l’Italia aveva in pasto il nemico più odiato: impiegati pubblici, di uno dei comuni più glamour, sorpresi nell’atto del tradimento assenteistico e, udite udite, commesso in mutande e canotta. Retatona con 34 arresti, decine di indagati, Comune militarizzato. Nel frattempo, 16 hanno patteggiato (quelli sorpresi in flagrante nello shopping o remare in canoa durante l’orario di servizio), altri 16 sono stati rinviati a giudizio e dieci, a gennaio 2020, vennero processati. Fra di loro il simbolo dell’operazione: Alberto Muraglia, vigile urbano addetto alla custodia del mercato municipale. Tutti assolti.

Sanremo vigile mutande assolto

Le assenze

La maggior parte delle contestazioni riguardava l’assenza ingiustificata in orario d’ufficio. L’impostazione accusatoria è stata smontata dal giudice sulla base delle procedure in vigore a Palazzo Bellevue. Le testimonianze dei dirigenti sono servite per spiegare che, prima dello scandalo, il dipendente che usciva per ragioni di servizio doveva dirlo al suo dirigente e poi annotarlo su un registro.

La presenza di un sistema elettronico di comunicazione- Infopoint – effettivamente presente anche durante l’indagine, sarebbe stato però in uso solo per le mancate timbrature, ferie o altri tipi di permessi e non per le uscite di servizio. E il giudice si chiede: “E sarebbe stato altresì interessante capire per quali ragioni, data l’abitualità di tale modus procedendi, i dirigenti dei settori ai quali appartenevano i dipendenti ritenuti infedeli, non siano stati ritenuti responsabili (o comunque non siano stati indagati) per un loro (nell’ottica del PM) palese concorso nei reati commessi datali dipendenti”.

Per quanto riguarda invece le timbrature effettuate da colleghi le motivazioni della sentenza spiegano che: “Tutti hanno dimostrato che la timbratura effettuata con il loro badge da colleghi si accompagnava alla loro presenza in ufficio, talvolta con la loro presenza a pochi metri di distanza dal collega ‘timbrante'”.

Accuse “annientate”

Le motivazioni fanno a pezzi l’accusa. L'”annientano” come scrive Luppi a proposito delle tesi difensive. O meglio danno atto al pm di aver fatto del suo meglio sulla base però di un impianto viziato da errori di interpretazione e clamorose sviste investigative.

Per dirne un paio, proprio riferite a Muraglia, gli inquirenti avevano ipotizzato che non si trovasse sul posto di lavoro senza essersi accorti: in un caso di aver scambiato il suo numero per quello di sua moglie che in effetti era fuori Sanremo, e in un’altra occasione che si trovava al poligono con i colleghi per i tiri obbligatori, e infine che quella volta che si spogliò davanti alla porta di casa, e venne immortalato dalla telecamera nascosta, fu perché aveva appena gestito il traffico sotto il diluvio in contemporanea con la Milano- Sanremo.

In molte occasioni in cui era accusato di aver frodato sull’orario, il giudice non solo ha smontato la ricostruzione della procura, ma ha addirittura evidenziato come Muraglia, uscito ad ispezionare il piazzale alle 5.30, mezz’ora prima dell’inizio del suo orario fosse quindi a credito per un'”attività in esubero, non retribuita e non retribuibile, per un totale di un’ora e otto minuti. Se davvero il Muraglia fosse stato un agente sciatto e lavativo, difficilmente si sarebbe preoccupato di iniziare a lavorare circa mezz’ora prima dell’orario”.

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Simbolo mediatico

Il giudice dedica la parte conclusiva della sentenza al rilievo mediatico di quelle immagini.

“Anche ammesso che talvolta il Muraglia abbia timbrato in mutande o in abiti succinti non va dimenticato che le contestazioni mosse al predetto imputato erano di falso e di truffa… non di atti osceni o di atti contrari alla pubblica decenza (illeciti anch’essi, comunque, insussistenti in quanto allorché timbrava in mutande il Muraglia era visto solo …..dai finanzieri che avevano collocato le telecamere).

Se i media hanno fatto delle immagini del vigile in mutande, diffuse senza risparmio da giornali e televisioni, il simbolo di un malcostume generalizzato dei pubblici dipendenti (non è questa la sede per confutare tali considerazioni)…. questo giudice ritiene, in adesione a quanto sostenuto dalla difesa, che la timbratura in abiti succinti non costituisca neppure un indizio di illiceità penale e che abbia una sua spiegazione logica e non connotabile come indizio di illiceità…”.

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