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Santo del giorno 10 maggio, oggi si venera San Giovanni d’Avila

San Giovanni d’Avila viene ricordato il 10 maggio. È stato un presbitero spagnolo. Grande predicatore e mistico, è considerato l’Apostolo dell’Andalusia. Il 7 ottobre 2012 è stato proclamato dottore della Chiesa da Papa Benedetto XVI.
La dottrina del Santo è incentrata sull’imitazione di Cristo Salvatore. Per lui fondamento indispensabile di tutta la vita spirituale è la preghiera, senza la quale è impossibile conoscersi.

San Giovanni d’Avila oggi, il Santo del giorno

Alle anime più perfette egli raccomandò l’orazione di raccoglimento. Prima di ricercare l’intima unione con Dio, suggerisce di meritarla spogliandosi delle passioni con una costante mortificazione.

La virtù non è possibile senza l’umiltà. Essa consiste nel camminare nella verità. Egli insegna che “bisogna scavare nel fango del nostro nulla per raggiungere la terra ferma; Dio. Poiché il Signore sulla croce ci ha donato tutto, dobbiamo amarlo fino alla follia e seguirlo sulla croce”.

Nell’incorporazione a Cristo vede il fondamento dell’apostolato. È un dovere quindi di tutti amare e sopraspendersi per le membra di Gesù alle quali siamo strettamente legati mediante la grazia.



Una infanzia penitente

Giovanni d’Avila era figlio di Alonso d’Avila e Caterina Gijón, una coppia di sposi onorata e di condizioni agiate di Almodóvar del Campo. Prima della sua nascita, sua madre aveva intrapreso un penoso pellegrinaggio alla Cappella di Santa Brigida, situata su una montagna impervia a una certa distanza dalla città, scalza e con un cilicio, per implorare il dono della maternità.

Una tale devota preghiera fu ascoltata e nella festa dell’Epifania dell’anno 1499 veniva alla luce questo bambino, che avrebbe segnato un’epoca e sarebbe stato elevato all’onore degli altari e al Dottorato della Chiesa.

Nella più tenera infanzia, Giovanni iniziò una precoce via di ascesi e penitenza. A quattro anni di età, i suoi genitori si misero in viaggio per un pellegrinaggio al Santuario di Guadalupe, a Cáceres, e lo lasciarono a dei vicini loro amici. Quale non fu lo stupore dei padroni di casa quando, nel bel mezzo della notte, lo trovarono disteso sul pavimento, sopra dei ruvidi rametti che aveva raccolto.

A soli dieci anni chiese ai genitori che gli sistemassero una grotta in una stanza appartata della casa, per condurvi una vita solitaria, in un ambiente propizio alle sue preghiere e sacrifici, lasciando “edificati i chierici e gli abitanti del luogo”. Questo luogo è noto ancor oggi come la Grotta delle penitenze.

Si svela la vocazione del predicatore

Compiuti 14 anni, partì per Salamanca, per frequentare il corso di Diritto nella sua famosa università. Dopo quattro anni di studio, la Provvidenza volle chiamarlo a Sé in un modo sui generis: durante una festa di toros y cañas, Nostro Signore gli fece sentire vivamente il vuoto delle cose terrene e la necessità di preoccuparsi della salvezza eterna. Preso dalla grazia, se ne andò dalla festa disposto a darsi interamente a Dio.

Abbandonati gli studi, ritornò alla grotta della sua infanzia nel 1517, con l’obiettivo di ricominciare l’antica vita di raccoglimento, e per tre anni si dedicò alla contemplazione. Era incredibile come si mortificasse e facesse penitenza, oltre a frequentare assiduamente i Sacramenti e a dedicare molte ore di adorazione a Gesù Sacramentato.



In queste circostanze, un francescano amico di famiglia, temendo che la grande vocazione che intravvedeva in Giovanni non si sviluppasse, gli consigliò di studiare teologia all’Università di Alcalá de Henares, affinché “con i suoi testi potesse servire meglio Nostro Signore nella sua Chiesa”. Accettando l’invito, Giovanni frequentò prima arti e logica, poi la scienza sacra, e ascese al presbiterato nel 1526.

Egli aveva ricevuto una considerevole eredità dai suoi genitori, morti prima della sua ordinazione sacerdotale. Preso dall’ardente desiderio di essere missionario nell’allora poco conosciuto continente americano, vendette tutti i suoi beni, distribuì il denaro ai poveri e si offrì per accompagnare il Vescovo di Tlaxcala, Mons. Julián Garcéz, appena nominato, in Messico. Siccome il prelato sarebbe partito per il Nuovo Mondo dal porto di Siviglia, Giovanni vi si diresse, disposto a lanciarsi in questa audace missione.

Mentre aspettava, si dedicò a predicare nella città e nei dintorni. Lì incontrò nuovamente il Venerando Fernando de Contreras, suo antico compagno di studi ad Alcalá. Stupito per il fervore e l’oratoria del giovane chierico, egli chiese all’Arcivescovo, Mons. Alonso Manrique, che facesse in modo che Giovanni d’Avila rimanesse in Spagna a predicare il Vangelo in terre iberiche, così bisognose di anime apostoliche come la sua.

L’ecclesiastico accolse il suggerimento e, in nome della santa obbedienza, ordinò a Giovanni di rimanere lì. Rinunciando al suo sogno, egli obbedì prontamente all’ordine ricevuto, poiché riconobbe in esso i disegni di Dio a suo riguardo.



Attirando folle

Il primo sermone fatto per ordine dell’Arcivescovo fu in quello stesso anno 1526, nella Chiesa di San Salvador, a Siviglia, in occasione della festa di Santa Maria Maddalena, davanti ad autorità religiose e civili. Egli salì sul pulpito tremando e, invece, fu questa una delle sue prediche migliori. Cominciava per Giovanni d’Avila un lavoro missionario nel quale fu instancabile.

Dalle sue prediche non c’era chi se ne andasse indifferente. Le omelie duravano circa due ore e nessuno si stancava o reclamava, tale era l’attrazione che esercitava sui fedeli! Ricchi e poveri, giovani e anziani, giusti e peccatori, tutti accorrevano ad ascoltarlo. Le esortazioni che faceva sembravano fare eco all’Imitazione di Cristo: “Ascolta le mie parole, che infiammano il cuore e illuminano l’intelligenza, portano al pentimento ed infondono molte consolazioni”.

Perché attraeva tanto? Una delle ragioni della fecondità delle sue pratiche veniva dal fatto che lui le preparava davanti a un Crocifisso, genuflesso, in orazione.

Significativa è la testimonianza di uno dei suoi principali biografi riguardo questo apostolato: “Quando egli predica, si riempiono le chiese, e pronuncia i suoi sermoni anche nelle piazze pubbliche. Le persone restano composte e si moderano solo vedendolo; vive poveramente, non accetta mance né elemosine per i suoi sermoni, e se vogliono dargli qualcosa chiede che sia invece consegnato ai poveri. È umile, paziente, molto zelante per il bene altrui, organizza collette per aiutare i bisognosi e mantenere i chierici studenti”.



Istituzioni scolastiche, discepoli e seguaci

San Giovanni d’Avila riunì intorno a sé un gruppo di sacerdoti che, ispirati dalle sue virtù e dal suo esempio, si misero sotto la sua influenza e con lui fondarono varie scuole di chierici. Essi erano a servizio dell’Arcivescovado, e avevano per obiettivo la formazione della gioventù, soprattutto di quelli che si preparavano al sacerdozio. Tra questi collegi – che dopo il Concilio di Trento si sarebbero trasformati in seminari conciliari – diventarono famosi quello di Santa Caterina, quello degli Abati e quello di San Michele, a Granada.

Nei collegi di Avila “si imparava non tanto a consumare la vista nello studio quanto a fare i calli alle ginocchia, in preghiera”. In una lettera a uno dei suoi discepoli, raccomandava di leggere gli scritti di San Giovanni, San Paolo e Isaia e, se necessario, di ricorrere a “qualche interprete santo” di queste opere, specialmente Sant’Agostino. E aggiungeva: “Si metta davanti a un Crocifisso e comprenda Lui in tutto, perché Lui è il tutto e tutto Lo proclama: preghi, mediti e studi”.



Ai suoi discepoli consigliava anche di “irrobustire la propria vita spirituale attraverso la frequentazione della Confessione e della Santa Comunione, e, se possibile, di non tralasciare mai di dedicare due ore di preghiera mentale alla Passione e i Novissimi, la mattina e la sera”.

In questo modo, il darsi al prossimo sarebbe stato un traboccamento della vita interiore. Raccomandava loro un apprezzamento della preghiera più che dello studio, poiché così avrebbero appreso la vera arte della predicazione e avrebbero ottenuto migliori frutti apostolici. Insegnava che non bastava che loro salissero sul pulpito solo con devozione: dovevano aver fame e sete di conquistare anime per Nostro Signore.

La sua influenza andò oltre l’ambito delle scuole. L’Università e il Reale Collegio di Granada, per esempio, fondati dall’imperatore Carlo V, devono parte del “loro lustro, se non della loro erezione, alla sollecitudine e agli orientamenti del venerando maestro Giovanni d’Avila”, cui si appoggiò Mons. Gaspar Ávalos de la Cueva, Arcivescovo metropolitano, incaricato dal sovrano di “essere il patrono, redigere gli statuti e scegliere i professori” di queste due istituzioni educative.

Giovanni d’Avila fondò, anche, l’Università di Baeza, a Jaén, che fu “importante punto di riferimento per secoli per la formazione qualificata di chierici e secolari”.

Grande difficoltà

Mossi dall’invidia e approfittando di certe sue affermazioni suscettibili di una errata interpretazione, nel 1531 alcuni ecclesiastici lo denunciarono al Tribunale dell’Inquisizione di Siviglia. L’ardente predicatore fu incarcerato e sottoposto a successivi interrogatori per vari mesi.

Anche in carcere il suo zelo apostolico non gli permise di restare inattivo: oltre a scrivere numerose lettere ai suoi figli spirituali e a varie persone che gli chiedevano una parola, riformulò l’antica traduzione spagnola dell’Imitazione di Cristo.



In questo periodo di difficoltà – confidò a fra Luigi di Granada –, Nostro Signore gli concesse, in modo molto intimo, la penetrazione e la conoscenza dei misteri della Redenzione, dell’amore di Dio per gli uomini, e poté confermare quanto grande è la ricompensa riservata ai giusti dopo che hanno sopportato con gioia le difficoltà in questa vita. Una così eminente grazia lo portò a considerare beata quella prigione, “poiché in essa apprese, in pochi giorni, più che in tutti i suoi anni di studio”!

Fu sotto tale impulso che cominciò a scrivere la sua grande opera di spiritualità, l’Audi, Filia: “meravigliosa sintesi della vita cristiana, concepita da Avila come una partecipazione dell’anima al grande mistero di Cristo”.

Alla metà del 1533, il Tribunale dell’Inquisizione lo assolse, considerando la perfetta ortodossia dei suoi insegnamenti e la mancanza di fondamento di tutte le accuse sollevate contro di lui. La sua uscita dalla prigione fu contrassegnata da una Messa solenne nella Chiesa di San Salvador. Quando salì sul pulpito, cominciarono a suonare le trombe e i fedeli lo acclamarono con grande entusiasmo.

Relazione tra Santi

Numerose furono le conversioni operate attraverso i sermoni pieni di unzione di questo uomo apostolico, anche di anime che la Chiesa avrebbe iscritto, più tardi, nel catalogo dei Santi.

Celebre è il fatto capitato a Granada il 20 gennaio 1537, festa di San Sebastiano. Giovanni d’Avila parlava della felicità di soffrire per Cristo Gesù su questa Terra, per partecipare alla sua gloria nel Cielo.

Egli tracciò un quadro così attraente delle caste delizie della virtù e della disgrazia riservata ai peccatori, che le sue parole penetrarono a fondo nel cuore di un altro Giovanni, il quale, tutto preso da compunzione, si convertì e diventò il grande San Giovanni di Dio, fondatore dell’Ordine dei Frati Ospedalieri. Diventato discepolo del maestro Avila, gli chiedeva aiuto in tutte le sue prove e difficoltà, e fu da lui stimolato nella sua vocazione fin da questo primo incontro: “Ti dichiaro che la misericordia del Signore non ti abbandonerà mai”.13

Il nostro santo predicatore godeva della profonda stima di Sant’Ignazio di Loyola, con cui scambiò alcune lettere. Ebbe rapporti con altri distinti membri della Compagnia di Gesù e a questa indirizzò una trentina dei suoi migliori discepoli. Svolse un importante ruolo nella conversione del duca di Gandia, futuro San Francesco di Borgia: avendo questi verificato – nel seppellimento dell’imperatrice Isabella, sposa di Carlo V, a Granada – quanto sia effimera la bellezza umana, cercò il maestro Avila e, dopo averlo ascoltato, abbandonò la corte, si fece gesuita e fu il terzo superiore generale della Compagnia.



Tra tutti quelli che si beneficiarono dello zelo e della scienza dell’Apostolo dell’Andalusia possiamo evidenziare San Tommaso de Villanueva e San Pietro d’Alcântara. San Giovanni de Ribera gli chiese predicatori per rinnovare la sua diocesi, a Badajoz, e possedeva nella sua biblioteca 82 dei suoi sermoni manoscritti.

Santa Teresa di Gesù – anche lei Dottore della Chiesa – aveva il maestro Avila come consigliere spirituale e con lui mantenne un’assidua corrispondenza, inviandogli anche, dopo molte difficoltà, uno dei primi manoscritti del suo Libro della Vita. San Giovanni della Croce riuscì, con l’aiuto dei discepoli del nostro Santo, a riformare il Carmelo maschile di Baeza.

Oltre a queste, innumerevoli furono le anime che lo presero a modello. Proclamandolo Dottore della Chiesa, nel 2012, Benedetto XVI menziona anche il Beato Bartolomeo dei Martiri, fra Luigi di Granada – il suo più illustre biografo – e il Venerando Fernando de Contreras, responsabile della sua permanenza in Spagna, tra altri “che riconobbero l’autorità morale e spirituale del maestro”.14

Pienezza della vocazione

Sebbene già stremato dalla malattia che lo avrebbe portato alla morte, l’Arcivescovo di Granada voleva portarlo come teologo assessore nelle due ultime sessioni del Concilio di Trento. Impossibilitato a comparire, redasse i suoi Memoriali, che grande influenza esercitarono sul grande evento ecclesiale.

In essi segnalava che la Chiesa del suo tempo aveva bisogno di due categorie di sacerdoti: i confessori e i predicatori. Questi ultimi, egli precisava, dovevano essere il braccio destro del Vescovo, “il quale, da essi accompagnato e circondato, ‘come il capitano dai suoi cavalieri, possa essere terribile contro i demoni'”.15

Sentendo avvicinarsi la fine della sua vita, decise di lasciare alla Compagnia di Gesù l’eredità dei suoi discepoli e scuole, desiderio che non arrivò a concretizzare a causa di ostacoli imprevisti. Vinte molte altre prove e difficoltà, si ritirò nella città andalusa di Montilla, dove morì santamente, il 10 maggio 1569. Le sue ultime parole, ripetute varie volte, furono: “Gesù, Maria”.

Senza dubbio, San Giovanni d’Avila realizzò la sua vocazione in pienezza. Predicare, per lui, “fu qualcosa di innato al suo temperamento di apostolo: alla predicazione era finalizzato principalmente il suo studio; la sua preghiera era il fuoco nel quale temperava il suo spirito per il pulpito; le sue stesse lettere, cos’erano, se non sermoni scritti? Si potrebbe anche affermare che la sua scuola e i suoi discepoli erano l’eco vibrante e piena di unzione della sua voce, che si diffondeva in tutti gli ambiti della Spagna”.17

L’autenticità delle sue parole fu fissata dalla sua vita pia e senza macchia, come si addice a ogni sacerdote, che deve esser santo “per poter essere in grado di trascinare, convincere e incantare”.18 Non ci resta che dire, con tutta correttezza, che questo insigne predicatore trascinò, convinse e incantò!

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