Il Santo del giorno 2 maggio è Sant’Atanasio. Sant’Atanasio, patriarca di Alessandria d’Egitto, fu indomito assertore della fede nella divinità di Cristo, negata dagli Ariani e proclamata dal Concilio di Nicea (325).
Per questo soffrì persecuzioni ed esili. Narrò la vita di Sant’Antonio Abate e divulgò anche in Occidente l’ideale monastico. Si celebra il .
Sant’Atanasio oggi, il Santo del giorno
Sant’Atanasio nacque ad Alessandria d’Egitto alla fine del III secolo nel momento in cui stavano terminando le ultime grandi persecuzioni da parte dell’Impero romano e qualche anno prima dell’adozione da parte dello stesso impero del cristianesimo come religione ufficiale.
Crebbe in questa città che, tra le tre più grandi città del mondo antico, era sicuramente la più turbolenta e la più ricca culturalmente: vi erano presenti, oltre a una consistente scuola cristiana tradizionale, anche molti cristiani considerati eretici, gnostici, nestoriani e numerosi i pagani, tra cui i devoti del dio Serapide.
Il Concilio di Nicea del 325 d.C
La vita di Atanasio fu indissolubilmente legata al grande sforzo che la Chiesa cattolica dovette sostenere in quegli anni per definire la Trinità di Dio.
Ancora diacono accompagnò il suo vescovo Alessandro al Concilio di Nicea del 325, voluto dall’imperatore Costantino I per dirimere la questione sollevata dalla predicazione di Ario, anch’egli di Alessandria, circa la natura di Cristo.
Con il termine in greco ὁμοούσιος (homoousios, consostanziale), in quel Concilio, si affermava in modo chiaro la perfetta uguaglianza del Verbo e del Padre, Verbo considerato dalla Chiesa cattolica “generato” e non “creato”, in netta antitesi al pensiero di Ario che predicava invece la creazione del Verbo da Dio e quindi la negazione della divinità del Cristo. Ecco le parole con cui Atanasio affronta questo tema:
«Il Verbo di Dio, immateriale e privo di sostanza corruttibile, si stabilì tra noi, anche se prima non ne era lontano. Nessuna regione dell’universo infatti fu mai priva di lui, perché esistendo insieme col Padre suo, riempiva ogni realtà della sua presenza. Venne dunque per amore verso di noi e si mostrò a noi in modo sensibile. Preso da compassione per il genere umano e la nostra infermità e mosso dalla nostra miseria, non volle rimanessimo vittime della morte.
Non volle che quanto era stato creato andasse perduto che l’opera creatrice del Padre nei confronti dell’umanità fosse vanificata. Per questo prese egli stesso un corpo, e un corpo uguale al nostro perché egli non volle semplicemente abitare un corpo o soltanto sembrare un uomo. Se infatti avesse voluto soltanto apparire uomo, avrebbe potuto scegliere un corpo migliore. Invece scelse proprio il nostro.
Egli stesso si costruì nella Vergine un tempio, cioè il corpo e, abitando in esso, ne fece un elemento per potersi rendere manifesto. Prese un corpo soggetto, come quello nostro, alla caducità e, nel suo immenso amore, lo offrì al Padre accettando la morte.
Così annullò la legge della morte in tutti coloro che sarebbero morti in comunione con lui. Avvenne che la morte, colpendo lui, nel suo sforzo si esaurì completamente, perdendo ogni possibilità di nuocere ad altri. Gli uomini ricaduti nella mortalità furono resi da lui immortali e ricondotti dalla morte alla vita.
Infatti in virtù del corpo che aveva assunto e della risurrezione che aveva conseguito distrusse la morte come fa il fuoco con una fogliolina secca. Egli dunque prese un corpo mortale perché questo, reso partecipe del Verbo sovrano, potesse soddisfare alla morte per tutti. Il corpo assunto, perché inabitato dal Verbo, divenne immortale e mediante la risurrezione, rimedio di immortalità per noi.
Offrì alla morte in sacrificio e vittima purissima il corpo che aveva preso e offrendo il suo corpo per gli altri liberò dalla morte i suoi simili. Il Verbo di Dio a tutti superiore offrì e consacrò per tutti il tempio del suo corpo e versò alla morte il prezzo che le era dovuto. In tal modo l’immortale Figlio di Dio con tutti solidale per il comune corpo di morte con la promessa della risurrezione rese immortali tutti a titolo di giustizia. La morte ormai non ha più nessuna efficacia sugli uomini per merito del Verbo, che ha posto in essi la sua dimora mediante un corpo identico al loro»
(Discorso sull’incarnazione del Verbo, 8-9; PG 25, 110-111)
L’esilio
Atanasio fu per tutta la vita testimone e strenuo difensore di questo principio. A causa di questa sua testimonianza dovette subire almeno cinque esili negli anni che vanno dalla sua nomina a Vescovo e Patriarca di Alessandria d’Egitto nel 328, appena trentenne, al 362.
Oltre a questi, fu vittima di intrighi e calunnie di ogni genere e per un certo tempo venne persino abbandonato dal Papa, anch’esso vittima di intrighi orchestrati e imposti dall’imperatore.
Per questo viene ricordato dalle Chiese cattolica, ortodossa e copta come Athanasius contra mundum (“Atanasio contro il mondo”), per la sua incrollabile fedeltà a questi principi di fronte a tutto e a tutti.
Nel suo primo esilio a Treviri tra il 335 e il 337 completò il suo doppio trattato Contro i Gentili – Sull’Incarnazione, nel quale dava le sue ragioni della vera identità di Cristo, “vero Dio” e “vero uomo”.
In quel momento la cristianità si dibatteva per trovare la verità, con una Chiesa di Roma più ferma attorno a papa Giulio I sui principi del Concilio di Nicea, mentre la Chiesa d’Oriente, più speculativa e culturalmente vivace, presentava molte facce che andavano dall’arianesimo puro a infinite sfumature del semi-arianesimo.
Con la morte di Costantino nel 337, l’Impero fu diviso tra i suoi tre figli, tra cui Costanzo II, che si interessava di teologia. Come il padre, anche Costanzo si lasciò convincere da Eusebio di Nicomedia, capo dei semi-ariani, a combattere le teorie di Atanasio tacciandole di sabellianismo, eresia propugnata da Marcello d’Ancyra.
In quel momento Costanzo non era ancora unico imperatore. Il fratello Costante I, che regnava in Oriente, in accordo con papa Giulio I, riunì il concilio di Sardica (l’odierna Sofia) nel 343.
Presente Atanasio e in assenza del Papa, sotto la direzione di Osio di Cordova, dopo il ritiro degli eusebiani, venne riaffermato il Credo Niceno e riabilitato Atanasio, che poté rientrare nuovamente a Alessandria nel 346.
L’anno precedente, in un Concilio tenutosi a Milano, la Chiesa d’occidente condannava le dottrine di Fotino di Sirmio e del suo maestro Marcello d’Ancyra.
Nel 350 morì assassinato Costante e Costanzo rimase unico padrone dell’Impero. Eusebio di Nicomedia era morto così come Ario, ma due vescovi, Basilio di Ancira e Acacio di Cesarea, le cui dottrine erano state condannate nel concilio di Sardica, entrarono nelle grazie dell’imperatore e lo convinsero a indire tutta una serie di Concili per porre fine all’eresia di Fotino di Sirmio, in realtà con l’obiettivo di far dire che la dottrina di Atanasio non era altro che un fotinianismo camuffato.
Siccome in Occidente le idee di Atanasio erano più sostenute, l’imperatore, spinto dai suoi consiglieri semi-ariani, moltiplicò in Italia e in Gallia i Concili destinati a distruggere quella pretesa d’eresia, detta dei niceani, cioè dei sostenitore del Concilio di Nicea del 325. In questi Concili i vescovi erano costretti a scegliere tra la condanna di Atanasio o l’esilio.
Alla morte di Papa Giulio I nel 352 gli successe Liberio che, non avendo accettato di condannare Atanasio, fu dapprima esiliato a Beroea in Tracia (attuale Veria in Grecia) e poi sostituito da un antipapa di nome Felice II 355-365.
Con vari Concili indetti dall’imperatore tra il 351 e il 359, tenutisi a Sirmio, abituale residenza di Costanzo, si tentò di contrapporre varie formule a quella di Atanasio.
Si andava dal termine più dissimile, quello degli Ariani che definivano Cristo in greco ἀνόμοιος anomoios, (dissimile dal Padre), chiamati anomei, al termine più vicino a quello di Atanasio, quello di ὁμοιούσιος homoiousios (simile nella sostanza al Padre), sostenuto dagli omeousiani.
Concetto intermedio era quello degli omei che si accontentavano di definirlo ὅμοιος homoios (simile al Padre). Nel 358 si riuscì a far condannare da papa Liberio Atanasio per l’uso del termine consostanziale. Ancora vari concili si tennero nel più completo disordine e senza nessuna chiarezza fino alla morte dell’imperatore nel 361.
Questo breve e travagliato periodo fece pronunciare a San Girolamo la famosa frase: “L’universo gemette nello sbalordimento di vedersi diventato ariano!”.
Il nuovo imperatore, Giuliano l’Apostata, con un editto del 361, permise a tutti i Vescovi cristiani di fede non ariana di rientrare dall’esilio.
Così anche per Atanasio, che negli ultimi esili si era dovuto rifugiare nel deserto presso gli anacoreti monaci del deserto, già conosciuti in gioventù e da lui sempre molto ammirati. Atanasio scrisse la vita di uno dei più famosi: Sant’Antonio abate.
Il Concilio d’Oriente e la morte
Al termine di questa travagliata esistenza, Atanasio ebbe la soddisfazione di riuscire a convocare nel 362 nella sua Alessandria un Concilio d’Oriente che, con grande prova di larghezza d’animo, pose fine a tutte le dispute dogmatiche, facendo semplicemente rivivere i decreti del concilio di Nicea rifuggendo da qualsiasi discussione di termini.
Moriva il 2 maggio del 373 nel suo letto, lui che aveva dovuto per buona parte della sua vita girovagare esiliato e profugo.
La sepoltura
Ma il suo corpo non aveva ancora finito di girovagare. Originariamente sepolto ad Alessandria, la sua salma comparve nel medioevo a Venezia, città famosa per l’incetta di reliquie. Ma il Patriarca copto di Alessandria, Papa Shenouda III nel maggio del 1973 ottenne da Papa Paolo VI la traslazione della salma presso la cattedrale copta di San Marco al Cairo in Egitto.
Alla vita di Atanasio di Alessandria si ispirò il polemista tedesco Johann Joseph von Görres per l’opera polemico-apologetica “Atanasio, affari di Colonia” a favore dell’arcivescovo di Colonia, Clemens August Droste zu Vischering, imprigionato nel 1837 per aver difeso i principi della Chiesa cattolica contro lo Stato.
Culto
Il corpo è conservato ad Alessandria d’Egitto presso la cattedrale copta di San Marco. Alcune reliquie si conservano a Venezia, presso l’antica chiesa di San Zaccaria, dove il corpo rimase sino al maggio del 1973. A Santa Sofia d’Epiro (CS), presso la chiesa madre è conservata la reliquia di una falange del santo.
È patrono della città di Scanzano (AQ). I festeggiamenti in suo onore prevedono Vespri, santa Messa e processione, durante la quale la statua del santo viene accompagnata per le vie del paese. Le celebrazioni avvengono in occasione della ricorrenza della morte, il 2 maggio di ogni anno.
È patrono di Santa Sofia d’Epiro, comunità di origine e lingua albanese. La festa si svolge il 2 maggio. Le celebrazioni liturgiche avvengono, come da antica tradizione, con rito bizantino-greco.
Il culmine si raggiunge con la processione del santo che, tra sacro e profano, si svolge attraverso un particolare percorso di circa 4 chilometri. Per annunciare la festa si procede al lancio in aria di un grande pallone (Paluni i Shën Thanasit).
La vigilia della festa è caratterizzata da una spettacolare fiaccolata (pisheza) lungo la strada della campagna circostante dove si trova la cappella del santo.
È patrono di Villa Piattoni, comune di Castel di Lama (AP). In suo onore si svolge nella parrocchia di Santa Maria la tradizionale processione con la statua del santo.