Proclamato santo da Papa Leone X nel 1519, eremita fondatore dell’Ordine dei Minimi, San Francesco da Paola è il principale patrono della Calabria, dove è venerato in molti santuari e chiese; fra questi vi sono il santuario di Polistena (Reggio Calabria), Paterno Calabro (Cosenza), Marina Grande di Scilla, Catona di Reggio Calabria e Lamezia Terme-Sambiase (che custodisce la reliquia di un dito del Santo). Attualmente, parte delle sue reliquie si trovano presso il Santuario di San Francesco di Paola, meta di pellegrini devoti, provenienti da tutto il mondo.
San Francesco nasce a Paola (Cosenza) il 27 marzo del 1416 da Giacomo Martolilla e Vienna da Fuscaldo. I genitori erano sposati senza figli da quindici anni e per ottenere la grazia di un figlio si rivolsero a San Francesco d’Assisi, al quale erano particolarmente devoti. Per questo motivo al figlio maschio che nascerà da lì a poco viene dato il nome di Francesco; questi sarà inoltre vestito con l’abito votivo del frate di Assisi.
Santo del giorno 2 aprile: oggi si celebra San Francesco da Paola
Francesco nacque il 27 marzo 1416 a Paola (Cosenza) da Giacomo Martolilla e Vienna da Fuscaldo. Già in età avanzata, i genitori attribuirono la nascita del loro primogenito all’intercessione di S. Francesco, e per questo gli diedero il nome del Santo assisiate e promisero di rivestirlo dell’abito votivo dei Francescani.
All’età di quindici anni Francesco fu accompagnato presso i Conventuali di S. Marco Argentano (Cosenza) per sciogliere il voto e prestare l’anno di famulato. Qui Francesco manifestò la sua propensione alla preghiera e le sue doti di pietà, accompagnate da manifestazioni soprannaturali, le stesse che, successivamente, avrebbero alimentato la sua fama di grande taumaturgo. Al termine della sua permanenza i religiosi avrebbero voluto trattenerlo, ma il giovane Francesco, sentendo vicino il tempo di una radicale scelta di vita e avvertendo in sé uno spiccato desiderio di conoscere le diverse forme di vita religiosa, lasciò il convento e, assieme ai genitori, intraprese un pellegrinaggio. Si recò ad Assisi, toccando Montecassino, Roma, Loreto e visitando gli romitori che costellavano Monte Luco. La visita di Roma lo turbò profondamente: secondo il suo primo anonimo biografo, Francesco redarguì lo sfarzo di un cardinale con le parole: “Nostro Signore non andava così”. L’episodio mostra come nell’animo del giovane andasse ormai maturando l’idea di una riforma della vita ecclesiale basata sulla povertà.
Il pellegrinaggio costituì motivo di riflessione e di decisioni per il suo futuro. Ritornato a Paola, Francesco espresse ai suoi genitori il desiderio di condurre vita eremitica. Attorno al 1435, si ritirò fuori dell’abitato di Paola, in un terreno di proprietà della famiglia, suscitando grande stupore fra i concittadini per l’austerità del suo modo di vivere. L’esperienza di Paola lo forgiò alla contemplazione, al lavoro, alla solitudine e alle privazioni e mortificazioni corporali.
Ben presto iniziarono ad affluire al suo eremo molte persone desiderose di porsi sotto la sua guida spirituale e di condividere lo stesso austero genere di vita. Con l’arrivo in diocesi di mons. Pirro Caracciolo, nominato arcivescovo di Cosenza il 31 agosto 1452, il movimento ottiene il beneplacito dell’ordinario diocesano e può dotarsi di un oratorio. I flussi di pellegrini che si portano all’eremo di Paola attirano l’attenzione di Paolo II che, agli inizi del 1467, invia un suo visitatore per indagare sulla vita di Francesco. Al rientro in Curia, mons. Baldassarre De Gutrossis rassicura il papa sulla fedeltà di Francesco alla Sede Apostolica e, visto che l’Eremita aveva avviato la costruzione di una chiesa, il 7 luglio 1467 gli fa ottenere una lettera collettiva di quattro cardinali con la quale concedevano l’indulgenza, alle consuete condizioni, a coloro che visitavano o contribuivano alle spese per l’erigenda chiesa di Paola.
Col trasferimento a Paola, agli inizi del 1470, dell’ex visitatore che assumerà il nome di P. Baldassarre da Spigno, inizia l’iter giuridico che porterà al riconoscimento ufficiale del movimento eremitico fondato da Francesco. La prima tappa è costituita dal nulla osta rilasciato da mons. Caracciolo il 30 novembre 1470. A distanza di alcuni anni, grazie al fattivo interessamento dell’arcivescovo cosentino e all’opera diplomatica di P. Baldassarre, il 17 maggio 1474 il movimento ottiene l’approvazione pontificia assumendo il nome di “Congregazione eremitica paolana di S. Francesco d’Assisi”. Al romitorio di Paola seguirono quelli di Paterno Calabro (1472), Spezzano della Sila (1474), Corigliano Calabro (1476) e Milazzo (1480). La vita di questi eremiti era regolata dagli “ordinamenti e statuti” che, in parte, confluirono nelle successive stesure della regola.
Francesco divenne per Paola un punto di riferimento religioso e sociale, entrando nel cuore della gente che si recava da lui per sottoporgli problemi di diversa natura. L’Eremita era visto, inoltre, come l’unico baluardo in grado di opporsi ai soprusi della corte aragonese, come la persona capace di mettersi dalla parte della gente povera e semplice di quel lembo del Regno di Napoli e di assumere un ruolo di vero “umanista” nell’interesse di chi non aveva voce. Francesco era, per il suo genere di vita, un contestatore che richiamava le grandi figure dell’anacoretismo. Lo avvicinavano potenti e semplici, ed egli non faceva distinzione di ceto: una testimonianza al processo apostolico di Cosenza afferma che Galeazzo di Tarsia, barone di Belmonte, si recò più volte a Paola chiedendo la guarigione, e che Francesco gli fece portare le pietre insieme agli altri operai. Il Santo seppe creare attorno a sé un ambiente di profonda religiosità e fede con l’invito costante alla preghiera e all’osservanza della volontà di Dio.
Fin dall’inizio, Francesco ebbe fama di grande taumaturgo I prodigi accompagnarono tutta la sua vita, a partire dalla costruzione dei primi conventi fino alla sua andata in Francia. Fu il suo un potere taumaturgico a favore di tutti, ma in particolare dei poveri e degli oppressi dalle diffuse malversazioni dei potenti, contro le quali Francesco non si stancò di levare la voce. Gli elementi usati per il miracolo erano davvero secondari o insignificanti, i primi a portata di uomo, quasi a far capire che non erano essi a guarire o a risolvere il problema, bensì Dio. C’è un fatto che ben sottolinea la “metodologia” del miracolo. Un giovane di Paola, nonostante il consulto di medici di fama, aveva su un braccio una piaga che non si rimarginava. La madre gli disse: “Vai anche tu al romitorio di Francesco e vedrai che ti farà la grazia”. Si decise, andò ed espose il suo problema e tutti i tentativi fatti per guarire. Francesco si abbassò, prese la prima erba che gli venne tra le mani e gli disse: “Falla bollire, mettila sulla piaga e sarai guarito!”. Il giovane lo guardò e gli disse: “Di quest’erba ve n’è tanta a Paola, possibile che fa miracoli?”. L’Eremita replicò: “É la fede che fa i miracoli!”. Ad un prete che gli faceva questa domanda: “Come fai a sapere che quest’erba ha delle virtù?”, Francesco rispose con semplicità evangelica: “A chi serve fedelmente Dio e osserva i suoi comandamenti, anche le erbe manifestano le loro virtù”. Molti dei suoi miracoli impressionarono grandemente letterati e artisti, che l’immortalarono nelle loro opere, come il noto episodio del passaggio dello Stretto di Messina compiuto sul mantello steso sulle onde del mare.
Portata dai mercanti napoletani, la fama di Francesco giunse in Francia, alla corte di Luigi XI, allora infermo, il quale chiese a papa Sisto IV di far arrivare l’Eremita paolano al suo capezzale. Fu l’inizio del “capitolo diplomatico” della vita di Francesco. Il pontefice, desideroso di un riavvicinamento alla Francia, con la quale avrebbe voluto un accordo per l’abolizione della Prammatica Sanzione di Bourges del 1438, accolse favorevolmente l’ambasceria francese e altrettanto fece il re di Napoli. Furono però necessari molti mesi per convincere Francesco, il quale accettò di partire solo quando il papa glielo impose. Fu per l’Eremita un’obbedienza difficile: aveva 67 anni, la sua Congregazione si era da poco estesa anche in Sicilia e, soprattutto, aveva ritrosia ad andare a vivere in una reggia con un appannaggio sovrano, dopo aver vissuto per più di trent’anni in un romitorio. Il sacrificio richiestogli di lasciare il Regno di Napoli sarebbe poi stato largamente compensato dal favore della corte francese verso il suo Ordine e dagli interventi della medesima presso la Curia Romana.
Lasciato l’eremo paternese il 2 febbraio 1483, Francesco fu accolto a Napoli trionfalmente sia dal popolo, sia dalla corte, che dalla sua andata in Francia sperava in un allontanamento della paventata invasione del Regno da parte dei Valois. Il re Ferdinando I avrebbe preteso un rapporto preferenziale dal suo suddito. A Roma Sisto IV lo ricevette più volte, affidandogli delicati incarichi. Al suo arrivo al castello di Plessis–les–Tours, Luigi XI si inginocchiò di fronte a lui, chiedendogli la benedizione. Il sovrano non ottenne la guarigione, ma l’azione a corte del Paolano portò ad un lungo periodo di buoni rapporti tra il papato e la monarchia francese, di cui beneficiarono anche i Regni di Spagna, Boemia e Napoli.
Francesco fu subito benvoluto a corte e – nonostante la non conoscenza della lingua – fu avvicinato dai semplici, come dai dottori della Sorbona, desiderosi di riforma personale questi ultimi e in cerca di interventi prodigiosi i primi. Francesco visse in Francia circa venticinque anni e si creò il suo mondo lavorando un appezzamento di terra, presentandosi come riformatore della vita religiosa e con l’aureola di uomo di Dio penitente, eremitico, un nuovo Giovanni Battista. Per questo suo austero stile di vita viene scelto da alcuni benedettini, francescani ed eremiti, che lasciano le rispettive famiglie religiose per aggregarsi a Francesco. Il loro arrivo, oltre a internazionalizzare la Congregazione calabrese, determinò un profondo cambiamento al suo interno, in quanto fu abbandonato l’eremitismo e fu introdotta la vita cenobitica. Tale svolta porterà alla nascita dell’ Ordine dei Minimi, seguita dalla fondazione prima del Terz’Ordine secolare e poi delle Monache. Le rispettive regole furono definitivamente approvate da Giulio II il 28 luglio 1506.
Francesco si spense a Tours il 2 aprile 1507. La fama di questo taumaturgo, attraverso i tre rami della famiglia Minima (frati, monache e terziari), si diffuse in Europa, favorendo la sua beatificazione (7 luglio 1513) e la sua canonizzazione (1° maggio 1519) avvenuta a soli dodici anni dalla morte.
Francesco entrava nel cuore della gente e la sua protezione si estese su numerosi Regni; si moltiplicarono le chiese in suo onore, la gente lo invocava con familiarità e ne conservava i ricordi come preziose reliquie (a Paola, nel 1510, ancor prima della sua beatificazione c’era chi andava per toccare o per rivestirsi degli indumenti da lui usati). Patrono della Gente di mare italiana – Pio XII lo dichiarò tale il 27 marzo 1943 – e di diversi regni, tra cui Francia, Spagna, Napoli, Boemia, è invocato in modo particolare per la prole. L’emigrazione delle popolazioni del Sud d’Italia – Francesco è patrono della Calabria con breve di Giovanni XXIII del 1963 – e le conquiste territoriali della corona di Spagna hanno contribuito molto a diffondere il culto e alcune pratiche devozionali da lui suggerite. É uno dei santi più conosciuti della cristianità e il suo nome è dato a molti, perpetuando tradizioni familiari.
L’iconografia è abbondante. L’effigie più conosciuta e che poi ha ispirato numerosi pittori è quella di Jean Bourdichon. Occorre dire che già, prima della canonizzazione (1519), sul sepolcro di Francesco c’era “il retracto del buon homo de naturale, quale tenea una gran barba bianca, scarno e d’una faccia grave et piena di santità”. Dopo il Concilio di Trento, parallelamente a quanto avvenuto in campo agiografico, l’iconografia ha evidenziato del Santo soprattutto il dato taumaturgico.
La festa liturgica ricorre il 2 aprile.