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Santo del giorno 5 aprile: oggi si venera San Vincenzo Ferrer, l’Angelo dell’Apocalisse

San Vincenzo Ferrer era un giovane teologo domenicano che insegnava filosofia e teologia nella sua città natale, Valenza, in Spagna, dove era nato nel 1350, figlio di un notaio.
Nel 1367 era entrato nel convento domenicano della sua città. Studiò e poi insegnò logica, filosofia e teologia. Nel disorientamento prodotto dallo scisma aderì al papa di Avignone Clemente VII, ed entrò in rapporti di amicizia con Pietro de Luna, anch’egli di Valenza, che era il legato papale di Clemente VII.

San Vincenzo Ferrer oggi, il Santo del giorno

Quando il de Luna nel 1394 divenne papa col nome di Benedetto XIII, Vincenzo ricoprì alla corte pontificia di Avignone l’incarico di confessore papale e penitenziere apostolico. Nel 1398 fu colpito da una grave malattia, la cui guarigione egli attribuì a un intervento soprannaturale: gli sarebbe apparso Cristo assieme a san Domenico e a san Francesco per guarirlo e affidargli la missione di predicare.

L’anno successivo, lasciata la corte papale di Avignone, anche a motivo dei primi disaccordi con Benedetto XIII, Vincenzo iniziò un’intensa attività di predicazione itinerante, che nel giro di un ventennio lo porterà in Provenza, Piemonte, Lombardia e poi nuovamente in Spagna e in Francia.

L’Angelo dell’Apocalisse

Tra il 1399 e il 1412 fu ad Arles, Marsiglia, Genova, Savona, in Savoia, nel Monferrato e infine a Piacenza e a Milano. Divenne confessore di Margherita di Savoia (beatificata nel 1676) e ad Alessandria conobbe il giovane Bernardino da Siena.

In Provenza e nelle valli delle Alpi piemontesi predicò a lungo contro gli errori dei catari e dei valdesi, compiendo una fruttuosa opera di evangelizzazione.

Lo seguiva una folla di discepoli, ai quali impose regole di vita e un abito bianco e nero. Soprattutto a partire dal 1409, l’anno del concilio di Pisa e dell’elezione di un terzo papa, la sua predicazione assunse un carattere decisamente apocalittico, tanto da venir chiamato l’“angelo dell’Apocalisse” profetizzato da San Giovanni.



Vincenzo invitava alla penitenza, alla riforma dei costumi e della Chiesa, sollecitando i cristiani a un’autentica conversione ed evocando come imminente una violenta catastrofe finale del mondo.

Predicava come prossima la venuta dell’Anticristo, il personaggio che secondo la tradizione apocalittica del tempo si sarebbe opposto e sostituito a Cristo prima della fine del mondo, perseguitando i credenti e seducendone molti con i suoi prodigi, ma che sarebbe stato annientato al momento del ritorno di Cristo.

L’Anticristo diventava così il simbolo personificato di tutto ciò che si opponeva al regno di Dio, un simbolo ben comprensibile in un momento in cui la cristianità era da tempo divisa in “obbedienze” a tre papi diversi in lotta fra loro, e la coscienza dei cristiani più avvertiti turbata dall’impossibilità di trovare un rimedio a questa situazione di lacerazione.

Nel cuore della crisi religiosa

Vincenzo predicava con un’energia straordinaria e appassionata, e le sue parole avevano grande presa sull’animo popolare disorientato. L’autorità dei suoi costumi gli procurava un rispetto indiscusso.

Secondo le convinzioni apocalittiche del tempo, affermava che nell’imminenza della fine del mondo si sarebbero verificati eventi prodigiosi, come il ritorno del profeta Elia, ma che alla distruzione ultima sarebbe stata concessa una proroga per consentire ai cristiani un’autentica conversione.

A chi gli chiedeva quando sarebbe arrivato l’Anticristo e la fine del mondo, rispondeva però che nessuno conosceva il giorno e l’ora, ma che bisognava attendere con spirito di penitenza, secondo l’ammonimento del Signore: “Vegliate e pregate”.

Alla crisi della società e all’angoscia dell’attesa della fine si accompagnò una forte ripresa dei movimenti penitenziali. Si assistette allo spettacolo di processioni con centinaia di persone che si flagellavano a scopo penitenziale, una pratica iniziata nell’Italia centrale alla metà del XIII secolo e poi diffusasi in molte parti d’Europa.

La figura di Vincenzo divenne l’esempio più celebre della profondità della crisi religiosa dell’Occidente negli anni del “grande scisma”; quando gli uomini spesso disperavano di trovare indicazioni e salvezza nelle istituzioni ecclesiastiche, e cercavano una risposta alla loro ansia religiosa e al desiderio di un contatto più diretto con il divino tramite discutibili forme di penitenza, che spesso sconfinavano in deprecabili estremismi.



La consapevolezza del dramma vissuto dalla cristianità e delle sue negative ricadute sul tessuto ecclesiale spinse Vincenzo ad adoperarsi per il ritorno della Chiesa all’unità. Dopo aver lasciato Avignone, iniziò a condurre una segreta attività diplomatica per contribuire a por fine allo scisma.

Nel novembre 1408 partecipò al concilio di Perpignano, indetto da Benedetto XIII dopo l’annuncio della convocazione da parte di molti cardinali di un concilio a Pisa.

Vincenzo rivolse allora a Benedetto un forte appello perché rinunciasse al papato, appello che ripeté, con più vigore, nel 1414 assieme al re Ferdinando d’Aragona.

L’anno dopo, ancora a Perpignano, predicò alla presenza di Benedetto XIII e dei suoi cardinali, sottolineando con forza la necessità dell’unità nella Chiesa, condannando le resistenze inutili e orgogliose ed evocando con chiare allusioni il giudizio di Dio.



Nel 1416 diede pubblicamente lettura dell’atto con il quale il re d’Aragona, da lui convinto, si sottraeva all’“obbedienza” del papa di Avignone.

Mentre a Costanza si riuniva il concilio, che con l’elezione di Martino V, avrebbe posto fine allo scisma, Vincenzo riprese la sua missione di predicatore itinerante, percorrendo la Borgogna, dove conobbe Colette Boylet, l’iniziatrice del ramo delle clarisse colettine, e spingendosi da ultimo in Bretagna, dove continuò a predicare e a guidare processioni di penitenti fino alla morte, avvenuta a Vannes il 5 aprile 1419.

Le opere

Di Vincenzo ci rimangono alcune opere: il Trattato sulla vita spirituale fu quella più conosciuta e diffusa alla fine del Medioevo, mentre le raccolte dei suoi Sermoni (alcuni, scritti in catalano, sono particolarmente vivaci e coloriti), hanno costituito per il clero il modello classico di predicazione sino al Seicento.



Dopo la canonizzazione a opera di Papa Callisto III nel 1455, il culto di San Vincenzo Ferrer fu diffusissimo in Spagna, Francia e Italia (soprattutto in Piemonte, Lombardia e nell’Italia meridionale), anche in luoghi che il santo non aveva mai visitato, come Napoli, dove gli fu attribuita la liberazione della città dall’epidemia di colera del 1836, contro la quale non erano valse le suppliche rivolte a san Gennaro.
L’iconografia di Vincenzo è molto ricca: l’arte lo ha rappresentato spesso come l’angelo dell’Apocalisse e il predicatore dell’ultimo giudizio, con in mano una tromba e una fiamma sulla fronte. Celebre la rappresentazione che ne fece il Beato Angelico (Firenze, Museo San Marco), in atto di predicare con il dito levato al cielo.
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