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Il 20 luglio del 1969 l’uomo sbarca sulla luna, l’incredibile avventura dell’Apollo 11

Gli americani dovevano effettuare lo sbarco sulla Luna, a tutti i costi, per surclassare i sovietici nella corsa allo spazio. Era una sfida tecnologica e politica ma portava in grembo anche un sogno, assecondava una predisposizione naturale, la curiosità di spingersi oltre, la voglia di conoscenza. Le colonne d’Ercole ormai sono l’atmosfera e la gravità della Terra. Il nuovo mondo, la superficie di un altro pianeta. Quando Neil Armstrong e Buzz Aldrin posarono lo scarpone sulla soffice polvere del Mare della Tranquillità, era il 20 luglio 1969, sei ore dopo aver toccato il suolo con il modulo Eagle, l’Aquila, il buon esito della missione era ancora tutt’altro che scontato.

20 luglio 1969: l’uomo sbarca sulla luna

Il 20 luglio 1969 alle 20:17:40 UTC. Armstrong fu il primo a mettere piede sul suolo lunare, sei ore più tardi dell’allunaggio, il 21 luglio alle ore 02:56 UTC. Aldrin arrivò 19 minuti dopo. I due trascorsero circa due ore e mezza al di fuori della navicella, e raccolsero 21,5 kg di materiale lunare che riportarono a Terra. Il terzo membro della missione, Michael Collins (pilota del modulo di comando), rimase in orbita lunare mentre gli altri due erano sulla superficie; dopo 21,5 ore dall’allunaggio, gli astronauti si riunirono e Collins pilotò il modulo di comando Columbia nella traiettoria di ritorno sulla Terra. La missione terminò il 24 luglio, con l’ammaraggio nell’Oceano Pacifico.


Aldrin con Neil Armstrong riflesso nel proprio casco.

Lanciata da un razzo Saturn V dal Kennedy Space Center, il 16 luglio alle 13:32 UTC, Apollo 11 fu la quinta missione con equipaggio del programma Apollo della NASA. La navicella spaziale Apollo era costituita da tre parti: un Modulo di Comando (CM) che ospitava i tre astronauti ed è l’unica parte rientrata a Terra, un modulo di servizio (SM), che forniva il modulo di comando di propulsione, energia elettrica, ossigeno e acqua, e un Modulo Lunare (LM). La navicella entrò in orbita lunare dopo circa tre giorni di viaggio e, una volta raggiunta, gli astronauti Armstrong e Aldrin si spostarono sul modulo lunare Eagle con cui discesero nel Mare della Tranquillità. Dopo aver messo piede sulla Luna e aver effettuato la prima passeggiata lunare della storia, gli astronauti utilizzarono lo stadio di ascesa di Eagle per lasciare la superficie e ricongiungersi a Collins sul modulo di comando. Sganciarono, quindi, Eagle prima di effettuare le manovre che li avrebbero portati fuori dall’orbita lunare verso una traiettoria in direzione della Terra dove ammararono nell’Oceano Pacifico il 24 luglio dopo più di otto giorni nello spazio.

La prima passeggiata lunare fu trasmessa in diretta televisiva per un pubblico mondiale. Nel mettere il primo piede sulla superficie della Luna Armstrong commentò l’evento come «un piccolo passo per [un] uomo, un grande balzo per l’umanità». Apollo 11 concluse la corsa allo spazio intrapresa dagli Stati Uniti e dall’Unione Sovietica nello scenario più ampio della guerra fredda, realizzando l’obiettivo nazionale che il presidente degli Stati Uniti John F. Kennedy aveva definito il 25 maggio 1961 in occasione di un discorso davanti al Congresso degli Stati Uniti: «prima che finisca questo decennio, di far atterrare un uomo sulla Luna e farlo tornare sano e salvo sulla Terra».

Contesto storico

Tra la fine degli anni 1950 e l’inizio degli anni 1960, gli Stati Uniti d’America erano impegnati nella cosiddetta “guerra fredda”, una rivalità geopolitica con l’Unione Sovietica. Il 4 ottobre 1957, quest’ultima lanciò lo Sputnik 1, il primo satellite artificiale. Questo sorprendente successo scatenò paure e immaginazioni in tutto il mondo. Non solo servì a dimostrare che l’Unione Sovietica possedeva la capacità di colpire con armi nucleari su distanze intercontinentali, ma anche di poter sfidare le aspettative statunitensi riguardo alla superiorità militare, economica e tecnologica. Questo fece scaturire la crisi dello Sputnik e innescò quella che verrà conosciuta come “corsa allo spazio”. Il presidente Dwight D. Eisenhower reagì a queste notizie creando la National Aeronautics and Space Administration (NASA) e dando impulso all’inizio del Programma Mercury, che aveva come obiettivo di portare un uomo in orbita geocentrica. Tuttavia il 12 aprile 1961 gli statunitensi vennero nuovamente anticipati quando il cosmonauta sovietico Jurij Gagarin divenne la prima persona nello spazio e il primo ad orbitare intorno alla Terra. Fu un altro colpo all’orgoglio statunitense. Quasi un mese dopo, il 5 maggio 1961, Alan Shepard divenne il primo americano nello spazio, completando un volo suborbitale di 15 minuti. Dopo essere stato recuperato nell’Oceano Atlantico, ricevette una telefonata di congratulazioni dal successore di Eisenhower, John F. Kennedy.


Da sinistra a destra: Armstrong, Collins e Aldrin.

Kennedy si preoccupava di ciò che i cittadini di altre nazioni pensassero degli Stati Uniti e credeva che fosse nell’interesse nazionale non solo essere superiori agli altri, ma che fosse importante tanto essere potenti quanto apparire tali. Era quindi considerato intollerabile che l’Unione Sovietica fosse più avanzata nel campo dell’esplorazione spaziale e che fosse determinata a battere gli Stati Uniti in una sfida che massimizzasse le sue possibilità di vittoria. Poiché l’Unione Sovietica poteva vantare i vettori con la capacità di carico più elevata, agli Stati Uniti si presentava una sfida che andava al di là della capacità nella produzione di sistemi balistici della generazione esistente per uguagliare i sovietici, ma che doveva presentare un traguardo più spettacolare, anche se non giustificato da motivi strettamente militari. Dopo essersi consultato con i suoi esperti e consulenti, Kennedy scelse un progetto del genere. Il 25 maggio 1961, si rivolse al Congresso degli Stati Uniti su “Urgenti necessità nazionali” e dichiarò:

«Credo che questa nazione si debba impegnare a raggiungere l’obiettivo, prima che finisca questo decennio, di far atterrare un uomo sulla Luna e di farlo tornare sano e salvo sulla Terra. Nessun progetto spaziale di questo periodo sarà più impressionante per il genere umano, o più importante per l’esplorazione spaziale a lungo raggio; e nessuno sarà così difficile e dispendioso da compiere. Proponiamo di accelerare lo sviluppo del veicolo lunare appropriato. Proponiamo di sviluppare alternativamente dei booster con carburante solido e liquido, molto più grandi di quelli attualmente in sviluppo, finché non sarà certo qual è il migliore. Proponiamo fondi aggiuntivi per lo sviluppo di altri motori e per esplorazioni senza equipaggio che sono particolarmente importanti per uno scopo che questa nazione non trascurerà mai: la sopravvivenza dell’uomo che per primo farà questo audace volo. Ma in un certo senso, non sarà solo un uomo ad andare sulla Luna, se esprimiamo questo giudizio favorevolmente, sarà un’intera nazione. Perché ciascuno di noi dovrà lavorare per portarlo là».

Allunaggio

Quando Armstrong ebbe modo di guardare nuovamente all’esterno, poté vedere che il luogo dell’atterraggio proposto dal computer si trovava in una zona disseminata di massi e situata nei pressi di un cratere di 91 metri di diametro (che prese il nome di cratere West). Armstrong, dunque, prese il controllo della navetta in modalità semi-automatica. Inizialmente pensò di atterrare vicino alla zona con i massi in modo tale da raccogliere dei campioni geologici, ma non riuscì per la velocità orizzontale troppo alta. Durante la discesa, Aldrin riferiva i dati di navigazione ad Armstrong, che era occupato a pilotare Eagle. A 33 metri sopra la superficie, Armstrong sapeva che il propellente iniziava a scarseggiare, quindi stava cercando di atterrare il prima possibile. Armstrong trovò un appezzamento di terreno libero e vi indirizzò il veicolo. A 30 metri dalla superficie, restava loro propellente disponibile solamente per altri 90 secondi. I motori del LEM sollevarono della polvere che cominciò a offuscare la visuale. Da questa nuvola di polvere spuntarono delle rocce, e Armstrong le prese come riferimento durante la discesa per determinare il movimento del veicolo.


Il CAPCOM Charles Duke, con gli astronauti di riserva Jim Lovell e Fred Haise, mentre ascoltavano la discesa dell’Apollo 11.

Pochi istanti prima dell’allunaggio, un indicatore luminoso informò Aldrin che almeno una delle sonde da 170 cm che penzolavano dalle gambe di atterraggio dell’Eagle aveva toccato la superficie, e disse: “Contact light!” (“Luce di contatto!”). In teoria Armstrong avrebbe dovuto spegnere subito i motori, dal momento che gli ingegneri sospettavano che la pressione causata dallo scarico dei motori che rimbalzava sulla superficie lunare avrebbe causato un’esplosione, ma se ne dimenticò. Tre secondi più tardi, Eagle era allunato e Armstrong disse “Shutdown”. Aldrin immediatamente rispose «Ok, arresto del motore. ACA – out of detent». Armstrong confermò: «Out of detent. Auto». Aldrin proseguì: «Modalità di controllo, entrambe impostate su automatico, comando motore di discesa disabilitato, braccio del motore spento. 413 inserito».

ACA era l’altitude control assembly, la cloche del LEM; questa mandava il segnale al LM Guidance System (LGC) per controllare il reaction control system (RCS). “Out of detent” significa che la cloche era spostata dalla posizione centrale; come gli indicatori di direzione delle auto, una molla la riportava al centro. L’indirizzo 413 del LGC conteneva la variabile che indicava l’allunaggio del LEM. Le modalità di controllo disponibili erano PGNS (primary guidance) e AGS (abort guidance).

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